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Glass Onion – Knives Out: Daniel Craig, c’è vita dopo Bond

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Il suo nome è Blanc, Benoit Blanc. A interpretarlo è un fantastico Daniel Craig, ed è un investigatore. Ma è molto lontano da James Bond, l’iconico – e ingombrante –  personaggio con cui Craig ha convissuto per gli ultimi 15 anni. E la libertà di poter essere finalmente qualcun altro si vede tutta in Glass Onion – Knives Out, il nuovo film con Daniel Craig, diretto da Rian Johnson, al cinema per una sola settimana dal 23 novembre e su Netflix dal 23 dicembre. Guardare Daniel Craig è un vero e proprio film nel film che merita di essere visto su grande schermo per essere goduto appieno, e poi rivisto in piattaforma. Ma Daniel Craig è solo una delle attrattive di un film delizioso. È il seguito di Knives Out, da noi arrivato con il titolo Cena con delitto.

Benoit Blanc (Daniel Craig) si trova in una lussuosa proprietà su un’isola greca, ma come e perché ci sia arrivato è solo il primo dei tanti misteri da scoprire. Blanc incontra presto un gruppo poco omogeneo di amici giunti su invito del miliardario Miles Bron (Edward Norton) per la loro riunione annuale. Tra gli ospiti ci sono l’ex socio di Miles Andi Brand, la governatrice del Connecticut Claire Debella, l’innovativo scienziato Lionel Toussaint, la stilista ed ex modella Birdie Jay con la coscienziosa assistente Peg, l’influencer Duke Cody e la fedele fidanzata Whiskey. Come in tutti i gialli che si rispettino, ogni personaggio ha i propri segreti, bugie e motivazioni. Alfred Hitchcock diceva che, quando in scena c’è una pistola, si sa che sparerà. E quindi…

C’è un gruppo di disruptors, quei creatori di nuove imprese che hanno rotto le regole del mercato, i creatori di app e social network, al cento della storia. E il miliardario Miles Bron di Edward Norton è un mix tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, con i vezzi e le idiosincrasie di questi personaggi, che sono i nuovi dominatori del mondo. Glass Onion – Knives Out è una satira tagliente di certi ambienti e certi personaggi, e il primo livello di divertimento è qui.

L’altro, e quello principale, è senza dubbio il giallo, un genere classico della letteratura e del cinema che Rian Johnson, con il suo Cena con delitto (Knives Out) ha riportato in auge e allo stesso tempo ha rinnovato. In questo nuovo Glass Onion – Knives Out bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale. Il divertimento del giallo è lo stesso, ed è godibilissimo. Ma, allo stesso tempo, tutto è nuovo. Cena con delitto era classico, statico, paludato. Era una riedizione del tipico giallo alla Agatha Christie, in una casa borghese, un luogo chiuso e visto molte volte. Glass Onion  – Knives Out inizia con un mosaico di luoghi diversi, con un montaggio frenetico tra tutti i “concorrenti” che parteciperanno al gioco. Per poi riunirli in un unico posto. Ma stavolta è un luogo bizzarro, inedito, mai visto: è una villa sul mare, in Grecia, con un attico a forma di cipolla di verto. È la Glass Onion del titolo. Che prende il nome dalla famosa canzone dei Beatles, dal White Album, che sentiamo sui titoli di coda.

E non è la sola canzone che Rian Johnson sceglie di mettere nel film. Nella colonna sonora troviamo anche i Bee Gees e ben due brani di David Bowie, Star e Starman, segno che il regista, reduce dal successo del primo film, può davvero permettersi di tutto. Come un cast stellare che, oltre a Daniel Craig ed Edward Norton, annovera Janelle Monáe, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr., Jessica Henwick, Madelyn Cline, Kate Hudson – strepitosa – e Dave Bautista. Johnson può permettersi anche di schierare in campo – e con un ruolo non banale nel film – la Gioconda. Sì, proprio la Monna Lisa, il capolavoro di Leonardo Da Vinci. Che cosa ci fa in un film così lo lasciamo scoprire a voi.

Ma alla fine arriva Blanc, Benoit Blanc, il protagonista, la vita dopo Bond di Daniel Craig. Che, smessi lo smoking e gli abiti eleganti, la Walther PPK e l’Aston Martin di James Bond, qui sembra davvero libero di volare alto, di divertirsi. Il Craig che impersona Benoit Blanc è espressivo come non mai: ci sono i suoi occhi blu ghiaccio, che qui ama sgranare come non aveva mia fatto prima. C’è il suo broncio, le labbra arricciate. Se riuscite a vedere il film in lingua originale potrete anche gustarvi la sua voce profonda. Daniel Craig qui è libero nelle espressioni, libero nei movimenti, e anche negli abiti. Indossa vestiti di lino chiari e camicie azzurre o rosa, l’ascot al posto della cravatta o del papillon che erano il marchio di fabbrica del look di James Bond. E poi quel buffo costume “intero”, a righe bianche e blu che indossa per tuffarsi in piscina, lui che è famoso per il suo fisico statuario e per quella apparizione in boxer in Casino Royale, il suo primo 007.

Ironico, e soprattutto autoironico, il Benoit Blanc di Daniel Craig è un Hercule Poirot con un fisico da James Bond e una vis comica fuori dal comune. E con il tempismo di Jessica Fletcher  – alias La signora in giallo – per come appare sempre dove sta per essere commesso un delitto. A proposito, nel film c’è un cameo di Angela Lansbury, che rimarrà la sua ultima apparizione sullo schermo prima della sua scomparsa. La recitazione di Craig, e quella di tutti gli attori, è sopra le righe, ma non troppo. Quel tanto che basta per rendere il film scoppiettante e sorprendente, ma rimanendo nell’ambito di una storia credibile.

Con Glass Onioon – Knivers Out Rian Johnson porta il giallo classico alla Agatha Christie in una nuova era. E, da quello che ci sembra, questa nuova franchise, alla seconda puntata, è solo all’inizio. Glass Onion – Knives Out è un film spassoso, caleidoscopico, bizzarro, un perfetto film da guardare al cinema, e poi, tutte le volte che volete, in streaming. Ricordate questo nome, perché nei prossimi anni vi ritroverete a ripeterlo spesso. Blanc, Benoit Blanc.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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La legge di Lidia Poët: Matilda De Angelis è un’eroina senza tempo

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Gli occhi blu di Matilda De Angelis brillano, sempre in primo piano, nelle scene de La legge di Lidia Poët, la serie in 6 episodi, prodotta da Matteo Rovere e la sua Groenlandia. La serie creata da Guido Iuculano e Davide Orsini è disponibile in streaming dal 15 febbraio su Netflix  La serie è diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire e scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo. Matilda De Angelis è Lidia Poët, la prima donna in Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati. Ed è la protagonista assoluta di una di quelle serie che non ti aspetti.

Siamo Torino, alla fine del 1800. Lidia Poët ha studiato legge ed è un bravo avvocato. Ma, proprio mentre è alle prese con un caso scottante, una sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima la sua iscrizione di all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione, Il motivo? È un lavoro che per sua natura non si addice ad una donna. Senza lavoro, Lidia torna alla casa della sua famiglia e inizia a lavorare presso lo studio legale del fratello Enrico, mentre prepara il ricorso per ribaltare le conclusioni della Corte. Intanto Jacopo, giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti di Torino magniloquente.

Quando, molti mesi fa, avevamo letto del progetto di questa serie, avevamo pensato a qualcosa di completamente diverso da quello che è. Ci aspettavamo un biopic classico e ben ancorato nel tempo in cui è ambientato. Ma La legge di Lidia Poët, è chiaro fin dalle prime immagini, e sempre di più man mano che si vedono i vari episodi, è tutt’altro. La storia vera di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia, è soltanto lo spunto per creare una serie moderna, accattivante, pop, con una serie di anacronismi creati ad arte. La serie, che è un period drama, e non può essere altrimenti, nelle mani di Matteo Rovere diventa anche un light procedural. Cioè un vero e proprio racconto poliziesco, con una serie di casi che vengono risolti nel giro di ogni episodio.

L’architettura de La legge di Lidia Poët, infatti, è perfetta. C’è una struttura verticale, che permette di seguire ogni episodio come qualcosa di autoconclusivo, un caso nato e risolto nell’arco dei circa 50 minuti di ogni puntata. E poi c’è una struttura orizzontale, che permette di seguire la lotta di Lidia per l’affermazione del suo diritto a fare il suo lavoro, indipendentemente che si pensi che non sia adatto a una donna. In questa storia c’è gran parte della modernità del personaggio di Lidia. Lidia non è solo una donna che vuole fare il lavoro per cui crede di essere portata. È un’anticonformista, che vuole decidere per se stessa, che non vuole per forza essere legata ad un uomo né farsi mantenere da lui. Che può decidere liberamente di andare a letto con un ragazzo per il piacere di farlo, senza definirsi la sua fidanzata. Guido Iuculano è tra gli sceneggiatori di Romulus, sempre prodotta da Matteo Rovere: un’altra serie che, ambientata in tempi lontani (lontanissimi da noi) prova a raccontare delle storie con dei riferimenti attuali.

Matteo Rovere, artista che si divide ormai tra cinema e serialità televisiva, ha ormai ben chiaro il mercato dove andare ad inserire i propri prodotti. Così se Romulus, a suo modo, andava a inserirsi nel filone del fantasy, La legge di Lidia Poët si va ad inserire in un target vicino a quello di film come Enola Holmes. I due film dedicati all’investigatrice sono anch’essi legati a qualcosa di classico, una figura letteraria d’epoca come Sherlock Holmes, e hanno come protagonista una giovane donna. La Lidia di Matilda De Angelis è un po’ come Enola Holmes: giovane, indipendente, sveglia. E con una grande dote: la deduzione. È proprio questa, insieme all’intraprendenza, la grande qualità di Lidia Poët. La capacità, proprio come una Holmes nostrana e al femminile, di vedere indizi che gli altri non vedono, e di giungere a conclusioni e soluzioni a cui altri non arriverebbero. Per questo assistere alla risoluzione degli enigmi raccontati nella serie è particolarmente divertente.

Ma è piacevole soprattutto perché c’è lei, Matilda De Angelis, che ormai seguiamo con piacere dal primo film in cui l’abbiamo vista, Veloce come il vento. Sì, anche in quel film diretta da Matteo Rovere, che di fatto l’ha scoperta, anche lì una giovane donne alle prese con un lavoro che si crede solo per uomini, il pilota automobilistico. Matilda De Angelis in questo ruolo è perfetta, e il suo personaggio contribuisce a definirlo. Il suo volto, al tempo stesso classico e modernissimo, le permette di disegnare un’eroina senza tempo. Che è proprio quello che deve essere la nostra Lidia. Un personaggio storico, legato alla propria epoca. E un personaggio attuale, moderno, in grado di coinvolgere un pubblico giovane, e di parlare alle ragazze dei nostri tempi. Matilda De Angelis incarna tutto questo: una buona dose di irriverenza, e un’altra di indipendenza. La sua Lidia è rock come lei.

Tutto questo è inserito in una cornice pop, quasi da graphic novel. La storia si svolge in una Torino affascinante e misteriosa, oscura e luminosa allo stesso tempo, un po’ come la Londra di From Hell (La vera storia di Jack lo squartatore nella versione italiana), un film che, non a caso, è tratto da una graphic novel. E a tratti questa serie sembra un romanzo a fumetti. Tra una scena e l’altra troviamo spesso colori accesi, costumi che sono d’epoca, ma sono anche quelli che potrebbe indossare una rock band, così come la musica rock interrompe spesso la storia come contrappunto anacronistico ed efficace. Accanto a Matilda De Angelis, spicca Eduardo Scarpetta (visto nella serie Le fate ignoranti), nel ruolo di Jacopo, sensuale ed espressivo. La macchina da presa di ferma spesso sui loro volti. Soprattutto su quello dell’attrice: per enfatizzarlo, illuminarlo, cercare, come dice Matteo Rovere, “di enfatizzare il rapporto tra il suo volto e il suo tempo”. E così Matilda De Angelis diventa un’eroina senza tempo.

di Marizio Ermisino per DailyMood.it

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La vita bugiarda degli adulti. Non ti scordare di Napoli e degli Anni Novanta… Su Netflix

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“Nun te scurda’, nun te scurda’. Nun te scurda’ pecché sta vita se ne va. Nun te scurda’ maje ‘e te”. Inizia con la musica degli Almamegretta, e la voce insinuante di Raiz, La vita bugiarda degli adulti, la nuova serie in 6 episodi prodotta da Fandango e tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, edito da Edizioni E/O, disponibile in streaming su Netflix il 4 gennaio. Nell’onirica sequenza di apertura, che vede la giovane protagonista fluttuare nell’acqua, come in un meccanismo di purificazione, di passaggio, di metamorfosi, ascoltiamo una canzone che è in grado di portarci subito in un mondo, di darci le coordinate, di dirci dove siamo. E siamo proprio dove crediamo di essere: Napoli, anni Novanta. È qui che si svolgono le avventure di Giovanna, e il suo passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

Tutto ha inizio un giorno, quando Giovanna sente i suoi genitori parlare di lei. “Sta mettendo la faccia di Vittoria”. Il che, nel loro gergo, vuol dire che sta diventando brutta, arrabbiata. Vittoria è la zia di Giovanna, la sorella del padre, con cui ha interrotto i rapporti da anni. Giovanna non ha mai conosciuto la zia. E, passato il dispiacere per quello che le è stato detto, comincia a provare curiosità per la figura di Vittoria. E chiede ai genitori di poterla incontrare. La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli diverse: la Napoli di sopra, quella dalla maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna così oscilla tra alto e basso.

Come vi abbiamo detto all’inizio, quello che colpisce subito, ne La vita bugiarda degli adulti, è la cornice anni Novanta che il regista, Edoardo De Angelis (anche sceneggiatore insieme a Elena Ferrante, Laura Paolucci e Francesco Piccolo) riesce a costruire intorno alla storia. Il libro di Elena Ferrante, pur ambientato in quel periodo, lascia un po’ fuori le sensazioni legate all’ambiente e al periodo, concentrandosi molto sulla storia, i rapporti, l’interiorità di Giovanna. Il libro è scritto in prima persona, e spesso c’è il monologo interiore della protagonista. De Angelis invece ci mostra anche tutto quello che c’era intorno. E allora ascoltiamo gli Almamegretta, i Bisca, i 99 Posse, artisti che hanno segnato Napoli – e tutta la scena musicale italiana, e dire il vero – in quegli anni Novanta musicalmente indimenticabili. E con loro ci sono i centri sociali, che in quegli anni facevano cultura.

E poi c’è il Tutto Città. Che ci fa tenerezza, oggi che per qualsiasi cosa usiamo in navigatori sui nostri smartphone. Ma è importante anche per un altro motivo. Il Tutto Città è una mappa, un modo per orientarsi, per scoprire zone della città in cui non si è mai stati. E tutta questa avventura, in fondo, è una mappa, un percorso a alla scoperta di sé, della Giovanna che non lei stessa ancora non conosce. Un percorso fatto di svolte, curve, di discese. E in questo senso è bellissima quella sequenza, quella corsa in motorino che si svolge dall’alto verso il basso, in una serie gironi danteschi giù dalla collina del Vomero. Una discesa che non è una discesa agli inferi, ma nelle viscere di una città, in un cuore pulsante di vita. Che diventa un viaggio dentro di sé, alla scoperta di un io più profondo. Forse il suo vero io, forse una parte di sé che c’era, ma che ancora non sapeva di avere.

Gli interni borghesi, caldi, consueti, un po’ banali della casa di Giovanna sono quelli che ricordiamo degli anni Novanta, e anche degli Ottanta. Sono quelli delle atmosfere del libro, che sono ricostruite alla perfezione. Quello che De Angelis aggiunge, che nel libro non c’è, è la musica, intesa non come sottofondo, ma come scena culturale, come segno sei tempi. E poi aggiunge anche la vita di Giovanna fuori dalla famiglia, le amiche e i centri sociali, la scuola, le strade della città.

La protagonista, Giordana Marengo, è più bella di come la immaginiamo leggendo il libro. Anche se non abbiamo mai creduto alle parole “ha messo la faccia di Vittoria” e, anche leggendo il libro non l’abbiamo mai immaginata brutta, ci figuravamo Giovanna con dei tratti spigolosi, con un modo di essere brusco, scontroso. Giordana Marengo ha un viso molto bello. Ma, per fortuna, lo è in maniera insolita, fuori dalle mode e dal tempo, da ogni somiglianza. I capelli corti, gli zigomi alti, la forma del viso allungato.  E poi quegli occhi verdi, quello sguardo penetrante. La sua Giovanna è interessante ed enigmatica.

Vittoria, evocata per tutto l’inizio della storia, arriva piuttosto presto, dopo mezz’ora del primo episodio. La regia non ce la mostra subito. Con una piccola ellissi, ci fa vedere Giovanna uscire dalla sua casa. Poi ritorna subito indietro, nei suoi ricordi, e ci racconta come è andato quell’incontro. Anche Vittoria è molto più bella di come appare nel libro. Ci mancherebbe, direte: a interpretarla è Valeria Golino. De Angelis è bravo a “sporcarla” un po’ quella bellezza, con un trucco un po’ pesante, i capelli arruffati, con un abbigliamento che smorza l’eleganza della Golino. Lei ci mette la scontrosità, movenze che contrastano con la sua grazia. E crea un personaggio credibile. Gli occhi verdi, poi, sono il legame naturale, l’affinità elettiva con la nipote Giovanna, e con Giordana Marengo.

Così come De Angelis è bravissimo a “sporcare” anche l’immagine. Il sopra e il sotto di Napoli sono girati rispettivamente al Vomero e a Poggioreale. Ed è soprattutto quest’ultimo aspetto, a colpire. Come aveva fatto nel suo film Indivisibili, De Angelis è bravissimo ad accentuare il degrado e le ferite di certi ambienti. In questo modo, il contrasto tra alto e basso è più accentuato rispetto al libro. La serie di De Angelis segue il libro ma aggiunge molto. È un viaggio nell’interiorità di una persona, ma anche in un’epoca, in un sogno. Tocca il privato, ma anche il pubblico, la politica, la religione. Per tutti questi motivi La vita bugiarda degli adulti è una serie da vedere.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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The Crown 5: Elizabeth Debicki, Lady Diana nella terra di nessuno

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Nessuno ti spiega come sarà essere separati. È una strana terra di nessuno. O meglio di nessuna. Non sei sposata né single. Né una reale né una del popolo. Una di quelle donne mitologiche metà donne metà uccelli”. La confessione di Lady Diana Spencer, interpretata da Elizabeth Debicki, arriva, struggente, nell’episodio 7 (Nella terra di nessuno) di The Crown 5, la quinta e penultima stagione della serie Netflix, disponibile dal 9 novembre. La serie racconta la storia della Regina Elisabetta II e della Famiglia Reale, dall’ascesa al trono ai primi anni Duemila. Ci sono molti motivi per vedere oggi la serie: la scomparsa recente della Regina Elisabetta, che rende la visione di The Crown più emotiva del solito, ma anche la storia dolorosa di Lady Diana Spencer, una principessa per cui la favola non è andata a finire con il classico “e vissero tutti felici e contenti”. Dopo averci presentato una giovane Diana nella stagione 4, la stagione 5 arriva agli anni Novanta, quelli del divorzio con il Principe Carlo e della fiera di gossip, confessioni e ripicche che hanno portato la Corona sull’orlo del precipizio. Ed è della storia di Diana che vogliamo parlarvi qui.

Mentre la Regina Elisabetta II (Imelda Staunton) riflette su un regno che ha incluso nove primi ministri, l’avvento della televisione per le masse e il tramonto dell’Impero britannico, e sulle nuove sfide si delineano all’orizzonte, il Principe Carlo (Dominic West) spinge la madre ad acconsentire al divorzio con Diana (Elizabeth Debicki), gettando le basi per una crisi costituzionale della Monarchia. La vita sempre più separata tra marito e moglie alimenta numerosi pettegolezzi. Quando lo scrutinio dei media si intensifica, Diana decide di prendere il controllo della situazione e infrange le regole familiari pubblicando un libro che minaccia il sostegno di Carlo da parte dell’opinione pubblica. Mentre entra in scena Mohamed Al Fayed (Salim Daw) che sfrutta il patrimonio e il potere che si è guadagnato da solo per ottenere un posto alla tavola reale per lui e per il figlio Dodi (Khalid Abdalla). Come saprete, le storie di Dodi e Diana si incroceranno. Ma questo lo vedremo nella prossima stagione.

Lady Diana è interpretata da una straordinaria Elizebeth Debicki, che porta in scena in maniera impressionante ogni aspetto della “Principessa del Popolo”. A cominciare da quel mondo tutto particolare di tenere il capo inclinato e di lanciare così quello sguardo tagliente, laterale, un po’ obliquo, dal basso verso l’alto. Quel modo di sorridere, di muovere la bocca, di salutare con la mano aperta, sono i suoi. E poi i capelli, il fisico, gli abiti che hanno fatto la storia. come quel famoso tubino nero che lasciava le spalle scoperte. Sembra davvero di vedere la vera Diana, anzi forse una Diana più reale e potente di quella vera. Il sex appeal di Elizabeth Debicki è naturale e notevole, lo sa chi l’ha vista in Tenet di Christopher Nolan. E proprio grazie a questo l’attrice riesce a rende Diana affascinante, ammaliante, amabile come risultava a tutti quelli che le stavano vicino, e che noi, da lontano forse non riuscivamo a cogliere. Elizabeth Debicki è una Diana iperrealista, che riesce a trasmetterci l’aura della Principessa più ancora delle immagini che arrivavano a noi a noi trent’anni fa.

Una delle chiavi di The Crown 5 è proprio questa. Perché The Crown, che da quattro stagioni ricostruisce in modo sontuoso le vicende dei reali inglesi partendo dagli anni Quaranta, è arrivata, se non ai giorni nostri, molto vicino. Quegli anni Novanta sono stati raccontati ampiamente da immagini televisive, fotografiche, da libri e film, che hanno già dato una loro versione della storia. Quella di Peter Morgan e del suo team diventa allora una sfida con la contemporaneità. Ed è una sfida che viene vinta. Tutti ricordiamo di aver visto le librerie tappezzate dalle copertine del libro Diana: Her True Story di Andrew Morton, il primo che squarciava il velo di Maya, raccontano la vera vita della principessa. Qui capiamo come è nato il libro, con una serie di nastri registrati passati di nascosto al giornalista senza che, ufficialmente, i due avessero mai avuto contatti. E capiamo anche tutto il percorso che ha portato alla famosa intervista di Diana alla BBC, che fece scalpore, e che qui è ricostruita riproducendo le esatte immagini di quel video. In The Crown 5 c’è una grande attenzione a riprodurre fedelmente le immagini che conosciamo e, allo stesso tempo, a viaggiare dentro le dinamiche che hanno portato a quelle immagini e quei racconti. Peter Morgan e i suoi sceneggiatori riescono nella non facile impresa di farci rivivere quegli anni riuscendo a dirci di più, svelando ancora molte cose che non sappiamo. È un lavoro davvero magistrale.

Viviamo così gli amori di Diana, come il medico Hasnat Han, un uomo normale incontrato, per caso, in un ospedale, un uomo dalla vita troppo da comune mortale per continuare a vivere accanto a Diana. E, partendo da molto lontano, The Crown 5 ci prepara a quello che forse non è stato il più grande amore di Diana, ma lo è stato sicuramente a livello mediatico: Dodi Al Fayed. La stagione 5 si chiude proprio mentre sta per iniziare la loro storia, dopo che tutta la stagione ci ha raccontato l’ascesa del padre, il magnate di origine egiziana Mohamed Al Fayed. Se in questa stagione, e la prossima, il racconto si incrocia con quello di Diana – La storia segreta di Lady D, il film del 2013 con protagonista Naomi Watts, nella prossima si incrocerà anche con The Queen, il magnifico film di Stephen Frears, scritto sempre da Peter Morgan, che inizia proprio dalla scomparsa di Diana in quella tragica notte a Parigi. E sarà interessante vedere come Morgan ci racconterà la storia stavolta.

In The Crown 5 è riuscito a farlo in modo molto originale. Se dell’episodio 7 vi abbiamo detto, ci ha colpito anche l’episodio 9, intitolato Coppia 31. Il titolo nasce dalla giornata in cui, in sede legale, viene sancito il divorzio. E Carlo e Diana, quel giorno, sono semplicemente la “coppia 31”, e il loro caso viene esaminato dopo che altre trenta coppie si sono divise. Raccontato con luci livide, con una messinscena scarna, l’episodio passa in rassegna tante storie di gente comune. Da un lato, per contrasto, stridono con i privilegi dei Principi del Galles. Dall’altro, ci fa capire come, in fondo, l’infelicità non risparmi nessuno, nobile o non nobile. Anche i ricchi piangono, come recitava il titolo di quella serie. La Regina Elisabetta (una grande Imelda Staunton), commenterà così. “Che tristezza. Il più grande a acclamato matrimonio della storia che finisce così”.

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