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Rosanna Bianchi Piccoli. Ricerca etno-socio-antropologica 1957–1963

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Venerdì 3 settembre alle 17.30 nei rinnovati antichi spazi dell’ISIA di Faenza sarà inaugurata la mostra Rosanna Bianchi Piccoli. Ricerca etno-socio-antropologica 1957–1963, curata da Anty Pansera, promossa dall’Associazione DcomeDesign e organizzata con ISIA Faenza e con il patrocinio di Comune di Faenza e Amici della Ceramica e del MIC di Faenza, in concomitanza con la seconda edizione della manifestazione Made in Italy dell’Ente Ceramica Faenza.

L’evento espositivo è un omaggio alla ceramista Rosanna Bianchi Piccoli, che, dalla fine degli anni Cinquanta, si è dedicata al design ceramico con passione e spirito innovativo, sempre in contatto con gli artisti del suo tempo – da Lucio Fontana a Giò e Arnaldo Pomodoro – e capace di imporsi grazie a uno stile personale, caratterizzato dalla profonda conoscenza del materiale ma allo stesso tempo costantemente aperto alle ricerche contemporanee.

Rosanna Bianchi Piccoli (Milano, 1929) apre il suo primo studio a Milano dopo il Liceo Artistico e parallelamente frequenta la Scuola di Pittura di Carlo Carrà e di Mauro Reggiani all’Accademia di Belle Arti di Brera. Fin da giovanissima viaggia in tutta Europa: nei paesi d’Oltralpe, dove l’unità delle arti – pura, applicata, decorativa e design – è una realtà assodata; in Danimarca, Svezia e Finlandia, dove si interessa alla produzione industriale. Alla fine degli anni Cinquanta, tra il 1957 e il 1963, inizia per l’E.N.A.P.I (l’Ente Nazionale Artigianato e Piccole Industrie) un progetto pilota dal taglio etno/socio/antropologico sulla grammatica ceramica del passato allo scopo di individuare una sintassi contemporanea. Un lavoro di ampio respiro che la porta da Milano alle Marche, dall’Abbruzzo alla Sicilia, e le permette di incontrare i “mastri artigiani”, come il milanese Romeo Daccò, Zizi Tritapepe di Lanciano, Litterio Iachetta di Collesano nelle Madonie, i Fabiani di Fratte Rosa, cocciai dal 1730. Come scrive la curatrice Anty Pansera, past president dell’istituto faentino, nel catalogo della mostra: “Rosanna ha studiato a fondo i tratti, le caratteristiche, le specificità essenziali della tradizionale ceramica italiana, e così ha saputo rivisitarle/reinventarle dando loro nuove funzioni anche del decoro: progettando/mettendo in forma pezzi vitali, ever green, che continuano a saper suscitare suggestioni ed emozioni, rigenerando anche antichi colori. La sua padronanza della materia una valenza indiscutibile e indiscussa, ben visibile”.

L’esposizione all’ISIA di Faenza è composta da 33 pezzi provenienti dalla collezione di Rosanna Bianchi Piccoli, realizzati in Abruzzo, Marche e Sicilia tra il 1958 e il 1963, alcuni dei quali prodotti appositamente in occasione della mostra a partire dal progetto originale: oggetti d’uso comune senza tempo, insieme antichi e moderni, contraddistinti da un’intensa ricchezza formale, che la ceramista aveva appreso nelle antiche botteghe dei maestri e che aveva imparato felicemente a reinterpretare, con il suo approccio intellettuale di donna colta e raffinata.

Maria Concetta Cossa, Direttore di ISIA Faenza, scrive nel suo testo in catalogo: “Rosanna si era fatta valere – cosa non facile per una donna che nell’immediato dopoguerra aveva scelto un mestiere storicamente maschile e addirittura confrontandosi con le botteghe più artigianali e inevitabilmente più arcaiche – lavorando come e meglio di un uomo, non temendo di “sporcarsi le mani”, di dormire nei retrobottega e di perseguire quel sogno utopistico di recuperare gli antichi saperi, le antiche manualità ormai spazzate via dall’avvento della civiltà industriale e del consumismo”.

Giovanna Cassese, Presidente di ISIA Faenza, aggiunge: “Questa mostra si inscrive perfettamente nella politica culturale dell’istituzione faentina degli ultimi cinque anni. La volontà di recupero del genius loci della ceramica, da cui è nato lo stesso ISIA più di quarant’anni fa, ci ha portato recentemente anche a riformulare in tal senso l’offerta formativa e a orientare le scelte di ricerca e produzione valorizzando il filone di ricerca del design ceramico, poiché crediamo fermamente nella formazione artistica come patrimonio dei luoghi e nel suo ineludibile ruolo nel sistema del contemporaneo e per il destino del Made in Italy. Dopo ‘Dona un tuo libro all’ISIA’ è  iniziata anche la campagna ‘Dona una tua ceramica al’ISIA’, e proprio grazie alla donazione di Rosanna nascerà una piccola ma importante collezione di straordinari pezzi di design ceramico, un patrimonio essenziale per la didattica e la ricerca”. 

Rosanna Bianchi Piccoli nasce nel 1929 a Milano dove vive e lavora. Frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Brera e in seguito il Laboratorio Tecnico Sperimentale all’Istituto d’Arte G. Ballardini di Faenza. Vince numerosi premi e partecipa a decine di esposizioni, tra cui le Triennali di Milano del 1960 e del 1964 e la Biennale di Venezia del 1972. Suoi pezzi sono stati esposti in importanti musei internazionali quali Palais de Beaulieu – Museo Arti Decorative di Losanna, Louisiana Museum di Humlebek in Danimarca, Vitra Design Museum di Weil am Rhein in Germania, Norway Design Galleryn di Oslo, PAC, Padiglione dell’Arte Contemporanea – Milano, MIC Museo Internazionale della Ceramica in Faenza, Museu de Arte Brasilera di San Paolo e Design Museum della Triennale di Milano.

Mostra Rosanna Bianchi Piccoli.
Ricerca etno-socio-antropologica 1957-1963
Date 3 settembre 2021 – 8 ottobre 2021
Inaugurazione: Venerdì 3 settembre, ore 17.30 
Sede
ISIA Faenza,
Corso Mazzini, 93 – 48018 Faenza (RA)
A cura di Anty Pansera
Promossa da Associazione DcomeDesign
Organizzato con ISIA Faenza
Con il patrocinio di Comune di Faenza e Amici della Ceramica e del MIC – Faenza
Catalogo edito da DcomeDesign
Testi critici di Rosanna Bianchi Piccoli, Giovanna Cassese, Maria Concetta Cossa, Anty Pansera
Progetto dell’allestimento di Maria Concetta Cossa
Orari: dal lunedì a venerdì, dalle 10 alle 17

Orari speciali per Made in Italy:
sabato 4 settembre dalle 10 alle 18; domenica 5 settembre dalle ore 10 alle 13.

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Ai nastri di partenza “The Grapest Award”

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Si avvicina la scadenza per il primo “The Grapest Award” che si terrà il 20 Maggio a Sanremo. Una kermesse che vedrà come protagoniste sui banchi di assaggio, di fronte ad una giuria di esperti, le aziende vitivinicole italiane che intendono entrare in un circuito creato dai professionisti per i professionisti.

“The Grapest Awardle cui  iscrizioni scadranno  il 30 Aprile prossimo, metterà in contatto le cantine e gli operatori del settore, creando un filo diretto tra produttore e il consumatore.

Le cantine e i prodotti vincitori del riconoscimento faranno parte della guida “The Grapest Award 2024” che verrà pubblicata in formato digitale e cartaceo a Ottobre 2023. Una guida tra territori e regioni che  permetterà di attraversare l’Italia, dove  troveremo  le cantine presenti, in un percorso fatto di tradizione e di cultura.

L’iniziativa nasce da Marco Gallo di Decantico  che ha dichiarato  “il vino racconta da sempre tutto ciò di cui siamo parte, la nostra storia,  ospitare le aziende vitivinicole,   e creare questo contest  per noi ha significato  soprattutto accessibilità, creare un linea preferenziale, tra  le cantine italiane…. e il  mondo di consumatori curioso di  scoprire e conoscere …”

Uno step etico, culturale ed anche commerciale, che vedrà l’apertura di una piattaforma di e commerce che contemplerà solo i prodotti premiati diventando il primo negozio online di sole eccellenze nazionali.

Molti gli iscritti a questa prima edizione, la provenienza omogenea è riuscita a coprire tutto il territorio nazionale. Quella dei vigneti Italiani e delle sue cantine è una storia antica, un amore per un prodotto che nasce dal lavoro dell’uomo, che si tramanda per generazioni, il nostro vino.

Le aziende avranno modo di “raccontare” la loro storia,  di fronte ad un pubblico di partner commerciali e buyer e questo riconoscimento vuole diventare, un supporto valido nell’identificazione e la valorizzazione di  distretti vitivinicoli nascosti, tesori del nostro patrimonio  e della nostra identità enoculturale.

Partecipano al “The Grapest Award” i vini che appartengono alle  classificazioni europea DOP o IGP (DOCG, DOC, IGT).

https://thegrapestaward.com/

Le commissioni si riuniranno il 13 – 14 – 15 Maggio 2023 presso Sanremo (IM).

Le degustazioni: le tre giornate di degustazione vedono impegnate le commissioni nell’assaggio di 60 campioni divisi in tre sedute opportunamente intervallate. Tutte le fasi della degustazioni saranno seguite da un notaio che ne certificherà il regolare andamento.

Il valore fondamentale, nelle classificazioni dei vini sarà quello organolettico, dove l’apprezzamento e le  caratteristiche del vino verranno considerate secondo analisi sensoriali.

Divisione dei campioni: dopo essere stati perfettamente anonimizzati, i campioni vengono divisi in categorie (specificate sul regolamento) e preparati per le commissioni.

I vincitori del riconoscimento “The Grapest Award” verranno resi noti in un evento che si terrà a Sanremo (IM) e che verrà trasmesso anche online SABATO 20 MAGGIO 2023.

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Il mood del “crescendo ” di Miart: tra beni rifugio ed il mondo dell’art dealer

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L’arte. Il più grande mercato non regolato al mondo. Affascinante e complesso. Dinamico e criptico per chi non è del settore. Un mondo, quello dell’arte ed in particolare dell’arte contemporanea, che si sta aprendo in una sorta di grande fiera, esattamente come quello della moda, sempre di più anche ai “profani” oltre che ai soliti semplici curiosi. Basta visitare il MIART milanese di quest’anno per rendersene conto.
Che, come recita la presentazione “ è una fiera in cui arte contemporanea, arte moderna e design in edizione limitata dialogano tra loro, esplorando le relazioni tra il passato e il presente della creatività e presentando al pubblico la più ampia offerta cronologica, dall’arte dell’inizio del secolo scorso fino alle opere delle generazioni più recenti“, che sarà possibile visitare dal 14 al 16 Aprile 2023 a Milan presso gli spazi di Fieramilanocity.
La città di Milano, nel solco del mood della moda dell’arte a tutti gli effetti, anche quest’anno, con la Milano Art City. Milano che grazie a MIART, diventa protagonista nuovamente del mood dell’arte contemporanea. Un mood che produce  volume d’affari sempre più con cifre da capogiro: basta una semplice visita agli stand per rendersi conto di quanto lo scenario italiano e contemporaneo offra,in particolare ora dopo la pandemia, l’arte come un vero e proprio “bene di rifugio”con artisti sempre più visionari, capaci e folli a cui le gallerie offrono vetrine inedite e, spesso , sempre più accattivanti a partire dal tema scelto quest’anno “CRESCENDO” (che quest’anno vanta anche la collaborazione inedita con la Triennale di Milano e la Fondazione Nicola Trussardi). Una fiera d’arte, insomma, quella organizzata da Fiera Milano e diretta da Nicola Riccardi che vuole , in questa 28esima edizione, offrire non solo un’occasione di conoscere sempre più gallerie (quest’anno 169 con ben 27 paesi rappresentati), ma anche incrementare la vetrina internazionale degli espositori. Il Crescendo di Miart come vero e proprio mood, insomma. Tra beni di rifugio e art dealer? Chissà.
Sicuramente, quello che si nota visitandolo è il vero e proprio “smantellamento” del silenzio del 2021 per una sorta di crescendo, inteso come crescendo musicale, che si fa anche auento graduale tra vari mondi: quello dell’arte e quello gente comune, in primis.
Ed in questo, la presenza di volti noti ed art dealer affermati, si nota.
Una nuova traiettoria quella intraperesa e fortemente voluta dal suo direttore della fiera di Miart? Chissà. Sicuramente i numero sono da capogiro, quasi raddoppiati rispetto allo scorso anno e la “restituzione” a Milano, che si riconferma capace di attrarre come città “delle mode”, gallerie da tutto il mondo . Ne è un esempio la presenza del progetto “Miartlive” alla Triennale. Visionari e visioni, insomma, che diventano testimonianze artistiche reali per l’art week milanese. E la presenza di Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni e la loro idea di “museo nomade” di arte conteporanea. Contenitori e palinsesti sempre più rinnovati, ma anche artisti, anche molto giovani, esposti.
Concludendo poi, si segnala nel “mood del crescendo”, la presenza di Eva e Franco Mattes che, con l’esatto opposto del loro lavoro presentato a Modena sino ad un mese fa con l’opera di “infrastrutture visibili”, per Miart , proprio all’ingresso, offrono al visitatore un’esperienza “degna” del metaverso e che ben esemplificano il messaggio di Miart di quest’anno : un’opera site specific  composta da canaline digitali che, come recita il comunicato stampa   consentono il passaggio di dati, l’istallazione che accoglie il pubblico, fa circolare al suo interno un’immagine invisibile che viene inviata ai passanti in modo assolutamente casuale via AirDrop dallo smartphone personale del duo. Ispirata alla pratica molto diffusa tra gli adolescenti di sfruttare momenti di calca per airdroppare materiali digitali, l’opera di Eva & Franco Mattes è un lavoro capace di generare una connessione umana che va in contrapposizione all’idea della fiera come luogo di sole transazioni commerciali. Ogni visitatore, anche senza essere un collezionista, avrà così la possibilità di portare via, e a sua volta ridistribuire, un contenuto artistico unico”.

Tra giovani e meno giovani artisti come Zoe Fiel della galleria Shore  di Vienna ed il suo “Sorry”,  che indaga i sentimenti dell’amore accogliendoli tutti nell’abbraccio di una parola, o  la interessante sudafricana Jody Paulsen , che crea audaci collage  facendo uso di un’arte storica ed artistica come l’arazzo; si segnala inoltre la presenza del progetto “La vedi la luce?” del workshop di Corrado Bonomi con gli augori delle Botteghe d’Arte allo stand del Museo d’arte Paolo Pini tra contraddizione e assurdità che partorisce la mente umana, malata e non.  Non solo arte, fiera, relazioni con altri mercanti e art dealer e mediatori o at advisor, ma un crescendo di voglia di trasformare una passione, come quella per l’arte, in un vero e proprio innamoramento e, chissà, investimento come bene, appunto di rifugio. Una immagine su tutte resta alla fine della visita come una sorta di monito riassuntivo del mood del crescendo di MiArt di quest’anno: il lavoro di un altro duo, Patrick e Anne Poiner, francesi, che, nati artisticamente in Italia, a Villa Medici a Roma, presso lo stand della Galleria Fumagalli espongono un’opera sul cervello umano, più volte negli anni re-interpretata. Una sorta di perfetta sintesi di questi tempi un po’ confusi, dove i labirinti del cervello umano simboleggiano sicuramente il sink creativo (del duo artistico in questo caso) , ma è anche una sorta di monito silenzioso per il futuro alle porte, non solo dell’arte: scelta, gusto e “fattore umano” rimarranno sempre i motivi principali non solo per un acquisto di un bene, in questo caso artistico, ma anche un modo diverso per decidere un pò su tutto nella vita. Con cervello, appunto, se possibile.

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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Paris – Eugene J. Martin Exposition du 28 avril au 30 juin 2023

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La Galerie Zlotowski est ravie de présenter, au sein de son espace de la rue de Seine, la première exposition monographique dédiée à l’artiste peintre afro-américain Eugene J. Martin, du 28 avril au 30 juin 2023. L’exposition réunit des oeuvres majeures de cet artiste prolifique, créations à l’encre, au calame de bambou et à la mine graphite ainsi que, pour la toute première fois en France, des acryliques sur papier des années 1980 et 1990.

Dans la poursuite de son engagement pour la mise en lumière de figures artistiques du XXe siècle, la Galerie Zlotowski a lancé un travail de fond afin de faire redécouvrir l’oeuvre lumineuse, étonnamment libre et joyeuse d’Eugene J. Martin.

Eugene J. Martin naît en 1938 à Washington et vit une enfance difficile. Fils d’un musicien de jazz précaire et d’une mère qu’il perd dès son plus jeune âge, il est séparé de sa famille, maltraité et balloté dans des foyers dont il s’enfuira à plusieurs reprises. Il se sent très tôt attiré par le dessin et suivra sans fléchir sa vocation, malgré les difficultés liées à la ségrégation raciale. Il fréquente la Corcoran Scholl of Art and Design de Washington de 1960 à 1963. Il entame sa carrière en dessinant et en vendant ses pièces dans la rue ou dans les cafés.

Durant ce parcours, il se passionne pour les figures emblématiques de l’art moderne comme Picasso, Kandinski, Klee ou Miro, qui lui seront toujours familières. Quelques mécènes remarquent la créativité sincère de cet artiste atypique et sensible, au tempérament solitaire. Mais c’est sa rencontre en 1982 avec Suzanne Fredericq, sa femme et inconditionnelle admiratrice, qui lui apporte la stabilité et la sérénité qui permettent au peintre de développer toute sa poésie, son imagerie atypique et son talent de coloriste.

Ses débuts figuratifs font assez rapidement place à ce qu’il nommera lui-même Satirical Abstraction (l’abstraction satyrique). Inspirées du cubisme et du surréalisme, mais construites selon sa vision originale et singulière, les compositions d’Eugene J. Martin sont étranges, biomorphiques, empreintes d’une drôlerie et d’une fraîcheur dont il ne se départira jamais. Cet artiste insaisissable est avant tout un esprit libre. A l’écart du marché et de ses stratégies, il se préoccupe moins de vendre que de créer.

Eugene J. Martin voit en l’art son guide unique. Il fera de cette intégrité artistique pure, dénuée de tout engagement politique ou sociétal, la force qui le fait exister en tant qu’artiste jusqu’à sa mort en 2005 en Louisiane. Ses oeuvres ont fait l’objet de nombreuses expositions personnelles aux Etats-Unis, et sont présentes dans les collections permanentes de musées américains.

Parmi une sélection d’oeuvres phares, l’exposition rassemble des oeuvres sans titre de la série Oval Drawings (1971-1974), réalisations colorées inscrites dans un ovale détaché sur fond blanc, surprenantes car très éloignées des tendances dominantes de l’époque.

Une autre série dite des Bambou Drawings compte une dizaine d’oeuvres, principalement réalisées en 1982, exécutées sur papier au calame de bambou (stylet taillé dans du bambou) et à l’encre de différentes couleurs. Avec ces moyens pourtant simples, l’artiste y exprime une impressionnante subtilité de traits, de formes et de nuances chromatiques dans la gamme des gris, bleus, ocres et bruns. Un ensemble de collages, réalisés dans les années 1980 et 1990, comporte des oeuvres aux géométries résolument libres, joueuses et aux assemblages très lumineux.

Les acryliques sur papier réalisées dans les années 1990 également présentées donnent à voir l’extrême maîtrise des constructions de l’artiste, la palette vibrante de ses couleurs et de ses apparitions imprévisibles, sur la ligne ténue, sensible, entre représentation et abstraction.

Récemment, une sélection de dessins d’Eugene J. Martin avait été montrée par la galerie à l’occasion de Drawing Now Art Fair 2022, au Carreau du Temple, à Paris.

Catalogue de l’exposition
Lancement d’une nouvelle collection d’ouvrages consacrés à la galerie aux Éditions
Martin de Halleux

A l’occasion de cette exposition, la galerie et Les Éditions Martin de Halleux s’associent pour lancer une nouvelle collection de livres dédiés à l’art moderne, aux avant-gardes du début du XXème siècle et à des artistes de la seconde moitié du XXème, en suivant les expositions de la galerie.

La Collection de la Galerie Zlotowski est le reflet de la qualité du travail de la galerie présentant à la fois des artistes déjà reconnus ou à découvrir.

Consacré à l’exposition Eugene J. Martin, le premier volume de la collection est une édition bilingue (français et anglais), au format de 20×20 cm relié et cousu de 72 pages, avec plus de 50 oeuvres reproduites. L’ouvrage, préfacé par
Suzanne Fredericq, la veuve de l’artiste, est accompagné d’un texte de Philippe Dagen.

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