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Style & Luxury

Black Widow: perché tutte le donne possano decidere da sole ora

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Caricate le pistole e portate gli amici. È buffo perdere e fingere. Lei è arcistufa e sicura di sé”. Sono le parole di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, che ascoltiamo, in una versione lenta e ipnotica di Think Up Anger ft. Malia J, sui titoli di testa di Black Widow, il nuovo film Marvel con Scarlett Johansson che esce, dopo più di un anno di attesa, il 7 luglio al cinema e il 9 su Disney+ con accesso vip. Di pistole, e altre armi, nel film ne vedremo molte. Su quei titoli di testa vediamo una serie di bambine allevate duramente per diventare dei supersoldati. Black Widow è il film che avrebbe dovuto aprire la fase 4 del Marvel Cinematic Universe, dopo che Avengers: Endgame e Spider-Man: Out Of Home avevano chiuso la fase 3. La pandemia ha voluto che il film fosse rimandato di oltre un anno, e così l’onore di aprire la fase 4 è toccato alle serie WandaVision, The Falcon And The Winter Soldier e Loki. In ogni caso Black Widow non è un vero e proprio inizio della nuova fase, quanto una sorta di “ponte” tra due fasi. O uno spin-off, un film che vive di vita propria e funziona anche da solo. È un omaggio a un personaggio carismatico e molto amato, quello della Vedova Nera, un componente degli Avengers che non aveva finora avuto il suo film stand alone.

Era entrata quasi in sordina, nel mondo degli Avengers, la Vedova Nera. Natasha Romanoff sembrava essere solo una nuova segretaria in camicetta bianca di Tony Stark in Iron Man 2. Ma, a un certo punto di quel film, nella sua tutina aderente, e in una serie di mosse di arti marziali altamente iconiche, aveva tirato fuori la sua vera natura. Sono passati più di dieci anni, e nel frattempo Black Widow è diventata prima la protagonista di grandi film corali come i 4 film degli Avengers, e ora la protagonista assoluta di un film tutto suo. In fondo nella saga degli Avengers avevamo iniziato a conoscerla, a capire i rapporti con gli altri eroi, da Hulk a Capitan America, ma avevamo solo intuito qualcosa del suo passato. Ora è arrivato il momento di conoscerlo. Black Widow inizia nel 1996, in Ohio. La scena sembra uscita da una puntata della serie Americans. Natasha è una bambina che gioca in giardino con la sorella. Al momento di mettersi a tavola con la mamma e il papà, capiamo che i suoi genitori sono degli agenti russi infiltrati in America. Sono stati scoperti, e dovranno lasciare immediatamente gli Stati Uniti. Così raggiungono Cuba in aereo. Il primo snodo della trama avverrà lì. 21 anni dopo, troviamo Natasha in Norvegia, isolata. E ricercata. L’azione si svolge infatti dopo i fatti di Captain America: Civil War, con la squadra degli Avengers, per il momento, sciolta e dispersa.

Quello che fa Black Widow è costruire una famiglia, una storia, un mondo attorno alla figura di Natasha Romanoff. All’inizio è strano vederla muoversi in questo mondo, che non è quello degli Avengers, ma uno scenario da spy-story, da Guerra Fredda, allo stesso tempo un po’ rétro e proiettato nel futuro. Rispetto a un film degli Avengers, Black Widow è meno pop e più cupo. Ma, rispetto a un film di spionaggio, è molto più tecnologico e più action. La famiglia che ruota intorno alla Vedova Nera è composta dal padre, Alexei Shostakov, alias Red Guardian (David Harbour) dalla sorella Yelena (Florence Pugh) e dalla madre Melina (Rachel Weisz). Natasha interagisce soprattutto con loro, invece che con Tony Stark o Steve Rogers. Che nel film non appaiono mai, anche se vengono evocati dai dialoghi. Tra il Marocco, Budapest e la Russia Natasha dovrà rimettere insieme la sua famiglia “putativa”, dopo aver lasciato l’altra (gli Avengers) per combattere Dreykov (Ray Winstone), uno spregiudicato politico che ha creato un esercito di super soldatesse, le vedove, che obbediscono incondizionatamente a lui, dopo che ha trovato un sistema per controllarle.

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Black Widow, per il terreno che frequenta, è un film più cupo di molti altri degli Avengers. Ma è solo una delle sfumature del racconto. Che qua e là è costellato di un’ironia sottile e tagliente (una sorta di humour russo?) che rende a tratti la visione spassosa. Ci piace tantissimo il Red Guardian di David Harbour, ex supereroe che si sente la risposta russa a Capitan America, e che millanta improbabili sfide nel passato con Steve Rogers. E che tenta di entrare a fatica nella sua vecchia tuta, ormai stretta, come Mr. Incredible ne Gli incredibili. Ma anche Yelena, “sorella” di Natasha, che Florence Pugh interpreta con la sua ormai nota grinta da cucciolo dolce e combattivo, e si permette anche di ironizzare sulle ormai note “mosse” da combattimento della Vedova Nera, accusandola giocosamente di “spararsi le pose”. Rachel Weisz ci regala poi il ritratto di una “madre” intensa e sensibile. Tutti questi legami familiari erano falsi, una copertura per i due agenti russi. Ma tutti, alla fine, dimostrano di sentire quella famiglia come qualcosa di reale. Un po’ come quando, a Natale, aspetti che Babbo Natale ti porti i regali sotto l’albero: sai che non esiste, ma tu senti tutto questo come qualcosa di vero. Tutto questo fa sì che Black Widow sia un film intenso e divertente. Forse avrebbe avuto più senso metterlo in produzione in un altro momento, prima che la saga degli Avengers come li abbiamo conosciuti fino ad oggi finisse, perché tutto sarebbe stato più coinvolgente. Oggi che la storia, o almeno la sua prima parte, si è conclusa, il tutto forse ci emoziona di meno. Ma è un grande omaggio a uno dei personaggi femminili più riusciti nella storia dei cinecomic. Vale la pena di conoscere la sua storia. E un film che, in qualche modo, ha una sua autonomia all’interno della continuity del Marvel Cinematic Universe, può essere visto anche se non si sono visti gli altri film degli Avengers, senza il rischio di non capire la storia.

Ma c’è qualcos’altro in questo film che lo rende qualcosa di più di un cinecomic. È quel senso di rivalsa femminile (e si solidarietà tra donne) verso un mondo di uomini (un retaggio di un’altra epoca, come ci fa capire il fatto che la storia inizi più di venti anni fa) che pensa ancora di poter controllare le donne a suo piacimento, sottometterle, deciderle per loro. La storia delle vedove, soldatesse eterodirette grazie a una manipolazione scientifica è un’iperbole, una metafora che ci vuole dire che, in fondo, nel nostro mondo ancora troppi uomini pensano di poter prendere decisioni per le donne che hanno accanto. Yelena, la sorella di Natasha, una volta “liberata”, le dice di essersi comprata un giubbetto, perché fino a quel momento non aveva mai scelto niente da sola. E in quel “potete decidere da sole ora”, che la nostra eroina dice a un ex esercito di donne combattenti, ormai liberate, c’è tutto il senso di un film che, pur essendo una storia fuori dalla nostra realtà, in fondo la racconta benissimo. Che si parli degli Avengers, che si parli delle donne che, insieme, combattono per non essere sottomesse, ancora una volta le parole di Kurt Cobain ci stanno benissimo. “Il nostro piccolo gruppo è sempre esistito. E sempre esisterà fino alla fine”.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Fashion News

Summer 2024, con Benson and Clegg Blazer Buttons!

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Benson and Clegg e’ un marchio storico dello stile inglese, da sempre associato al Blazer. E’ il produttore di alcune delle cravatte militari e dei bottoni, di vari ordini. Spesso vediamo i prodotti del brand indossati da Re Carlo III, che sotto l’emblema di Principe di Galles, ha insignito Benson and Clegg del Royal Warrant. Il prodotto che vi presento oggi e’ particolare, ma essenziale al tempo stesso, ossia i bottoni, in particolare quelli riferiti al Blazer, che devono essere sempre perfetti. Il blazer infatti è quella giacca/jolly che rifinisce sempre, da un tocco di eleganza vintage, ed è sempre ben apprezzata in qualsiasi contesto casual e non. Quindi, per un giacca multifunzionale come questa, servono assolutamente bottoni di primo ordine, anche perché, le origini del blazer sono di tipo marinaresco, quindi non è mai sbagliato omaggiarle. Ecco, i bottoni Admiral, di Benson and Clegg, servono proprio a questo, esaltare il vostro blazer, con la tradizione del fatto a mano in Inghilterra. Al loro interno, si trova appunto l’emblema di Ammiraglio della Royal Navy, che viene ricreato da mastri artigiani, nel cuore di Birmingham sede storia del brand.I bottoni ovviamente possono essere sostituiti in qualsiasi sartoria, e conferiranno al vostro blazer un tocco storico e classico al tempo stesso. Io consiglio di abbinarli ad una cravatta Royal Navy, di Benson and Clegg, così da completare in maniera perfetta il proprio outfit.

Ringraziamo marchi come questo, che rimanendo esclusivi, permettono di far diventare grande un piccolo particolare.

www.bensonandclegg.com
https://bensonandclegg.com/products/admirals-crest-blazer-button-set

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Accessori

Chanel – The Iconic Handbag

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– “Sorry, do you have any rooms available?”

This quote comes from the film A Man and A Woman (1966), which explores one of life’s greatest emotions: falling in love.

Virginie Viard has always been passionate about cinema – particularly the New Wave – and wanted to pay tribute to Claude Lelouch’s masterpiece. A work that smoulders with sensuality, with that legendary beach scene… the horizon as far as the eye can see… the eternal sea… and, of course, Deauville.

Deauville. The seaside resort where Mademoiselle Chanel opened a hat boutique bearing her name in 1912 and where she presented her first Haute Couture creations in 1913. There are no coincidences… But if they do exist, they are marvellous in terms of intuition, finesse and wisdom, because in the original film, the actress carried a CHANEL handbag during those scenes where love erupts.

This campaign photographed and directed by Inez & Vinoodh repeats almost word for word, shot by shot, some of the film’s original sequences, with Penélope Cruz, a living legend of the film world and CHANEL ambassador since 2018. And Brad Pitt, a cult actor who, with much delicacy, embodies the somewhat daunted, blushing man.

Their characters shudder, traversed by emotion, skin tingling with goosebumps. Penélope Cruz’s hand tightens on her bag, discreetly, as if to hide concern. Her fingers caress the quilted leather, we hear the sound of the clasp turning, and notice the chain over the shoulder… Instantly identifiable with its perfect silhouette, modern and rectangular, the iconic CHANEL bag and its impeccable allure that makes it so unique and desirable.

The bag we see in Claude Lelouch’s film was actually Anouk Aimée’s own bag, her favourite one, which she wore both on and off screen.

Placed on the table in a hotel restaurant, between the man and the woman, the legendary bag symbolises everything that, at some point in our lives, gives us the courage to assert our deepest desires. A unique and special moment. The bag conveys our audacity, the audacity to finally become the heroine of our own lives.

On screen, this legendary bag radiates a fragrance, a trilogy of emotions: fantasy, audacity, freedom. It’s as if there were no longer any boundaries between life and fiction.

– “Do you have any rooms available?”

Who hasn’t dreamt of asking that question? For an hour, a night – or even a lifetime. It’s a question that sends shivers down the spine, that makes the heart beat faster and harder. It’s a story about desire. About freedom. That feeling of being so incredibly alive.

In the original film, it was Jean-Louis Trintignant who asked “the” question. In this spirited remake, Penélope Cruz asks the waitress, played by Rianne Van Rompaey.
The CHANEL bag is an emblem. It metamorphoses according to the mood… a day bag to be worn in the evening, a faithful companion from a sleepless night to rising at dawn. It lasts a lifetime, to then be
handed down from generation to generation. Collection after collection, it appears in countless variations of colour, shape and material.
Imbued with meaning, contrast and mystery, it exudes a sense of freedom. It is a coat of arms slung over the shoulder, a liberated silhouette that reveals something about the wearer. It bears within it the very history of the House of CHANEL, its present, past and future, woven together like the links of its interlacing chains and leather ribbons.
It is a room unto itself, a hideaway, a place for reinventing oneself. Over the years and the CHANEL collections, countless designs have paid tribute to the iconic bag, reinforcing its status as a unique icon, indeed as a legend.

A Man and A Woman by Claude Lelouch

Claude Lelouch’s A Man and A Woman was released in France in 1966 before its international distribution. Winner of the Palme d’Or at the 1966 Cannes Film Festival, the Oscar for Best Foreign Film in 1967 and the Oscar for Best Original Screenplay, the film marked an entire generation of filmgoers and filmmakers.
It tells the story of a man and a woman, both widowed, who meet at their children’s boarding school. The film examines the outpouring of desire, the hesitations and fears of a love encounter. How and when does everything change?
Because the film’s budget was so low, the director had to shoot the film in just three weeks. To save money, he shot the interior scenes in black and white and the exterior scenes in colour. Actress Anouk Aimée wore her own clothes and personal accessories, including her CHANEL bag, which can be seen on screen.

With this campaign, CHANEL continues to build on its longstanding relationship with cinema. Virginie Viard, Artistic Director of the Fashion collections, has always found inspiration in the seventh art. From the free-spirited atmosphere of the New Wave to the Hollywood studios, she regularly draws from her film culture, and just as Gabrielle Chanel did in her day, surrounds herself with the directors to whom she is close.

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Lifestyle

I NUOVI PEZZI DELLA COLLEZIONE “LO-VE” DI DAVIDE APOLLONI AL SALONE SATELLITE 2024

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Creativo e sensibile verso l’ambiente, curioso delle fasi produttive, il designer Davide Apolloni espande la sua collezione “Lo-Ve” con nuovi pezzi, continuando l’esplorazione col tubolare d’acciaio.

La collezione “Lo-Ve” esposta al Salone Satellite nel 2023 quest’anno si espande con l’aggiunta di sei nuovi prodotti. Ogni pezzo riflette il linguaggio di design di Davide Apolloni, orientato alla semplicità, che si distingue per l’uso di curve dolci. Tra i nuovi pezzi che verranno presentati quest’anno, spicca il tavolo rettangolare Jamil, la poltrona Yu declinata in divanetto -dimostrando la volontà del designer di creare una famiglia di pezzi che si completano armoniosamente- e la lampada Lancia, acciaio su marmo, elegante e minimalista, che rappresenta il primo approccio di Apolloni al mondo della luce.

Trasformando materiali altrimenti inutilizzati ha creato delle piccole opere d’arte irripetibili: un tappeto fatto con gli scarti della produzione dei tessuti d’arredo e un tavolino realizzato con gli avanzi della produzione del marmo. Frutto del suo interesse per la sostenibilità e l’innovazione.

La collezione ‘Lo-Ve’ è il risultato di passione per il design ed ispirazione emersa dalle visite aziendali” afferma Davide Apolloni, entusiasta di esporre anche quest’anno.

La collezione nasce mentre studiava all’Architectural Association di Londra ai tempi della tesi, perla quale esplorava la produzione del mobile in Italia in relazione al territorio e il cambiamento climatico. Così, visitando le aziende d’arredo, per caso incontra un imprenditore ottuagenario intraprendente, che notando in lui passione e curiosità, lo sprona a trasformare i suoi disegni in realtà. Progetti che sono stati riconosciuti nella loro bellezza.

Il tavolo “Lo-Ve” ha subito conquistato l’attenzione dei curatori de La Rinascente di Milano che lo hanno selezionano, insieme ad altri talenti emergenti, per esporre nel cuore della città.

Il debutto di Davide Apolloni al Salone Satellite coincide con la fondazione del suo studio, Apolloni Design a Milano.

Nato a Como e cresciuto a New York, Davide Apolloni ha coltivato una formazione internazionale studiando tra Milano e Londra, laureandosi all’Architectural Association di Londra, prestigiosa università londinese in cui hanno studiato architetti di calibro internazionale.

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