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Gli Infedeli. Riccardo Scamarcio e Valerio Mastrandrea in storie di ordinaria infedeltà. Su Netflix

Pare che ogni uomo andrebbe a letto con il 90% delle donne. È statistica. O così almeno dicono i protagonisti de Gli infedeli, il film di Stefano Mordini disponibile in streaming dal 15 luglio su Netflix. Sono Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea e Massimiliano Gallo, tre amici a cena nell’epilogo che, dopo un prologo e quattro episodi, chiude il film. Gli infedeli è il remake dell’omonimo film francese del 2012 che, con diversi registi dietro la macchina da presa, raccontava una serie di storie di ordinaria infedeltà. Quel film aveva avuto una certa attenzione perché il protagonista era Jean Dujardin, reduce dal successo di The Artist. Nella sua versione italiana, Gli infedeli è diretto da Stefano Mordini, una solida carriera nel documentario e una serie di film, da Provincia meccanica ad Acciaio fino a Pericle il nero, tra il drammatico e il noir.
Gli infedeli si apre su una gag dal ritmo sincopato e sovraeccitato: in un aeroporto una coppia (Massimiliano Gallo ed Euridice Axen) si trova a litigare su un presunto tradimento, sulle basi di un cellulare che è rimasto spento troppo a lungo. Ma è solo un breve prologo, e ben presto ci troviamo catapultati nella storia di un’altra coppia (Valerio Mastandrea e Valentina Cervi) che, dopo una serata tra amici in cui si è parlato di tradimenti, decidono di svelarsi le rispettive scappatelle. Che magari sono delle vere e proprie storie. E che finiscono per tirare fuori incomprensioni, frustrazioni, mancanze della loro vita di coppia. Neanche il tempo di affezionarsi alla loro storia, e siamo in una cornice molto più prosaica: in un hotel, durante una convention aziendale, un uomo sposato (Riccardo Scamarcio, con un make up alla dentatura che lo rende più goffo) si mette in testa di avere un’avventura extraconiugale a tutti i costi, rivedendo anche le sue aspirazioni, e finendo per diventare ridicolo e molesto. Tutto è più tranquillo nella vita di un’altra coppia (Valerio Mastandrea e Marina Foïs), che vive una routine un po’ stanca: lui è un impiegato dell’anagrafe, il giorno è in ufficio e la sera, ogni tanto, va a vedere la partita della squadra del cuore: in realtà frequenta un peep show, dove guarda altre donne, ma senza toccarle. Infine, veniamo coinvolti nel frenetico pedinamento di una moglie (Laura Chiatti) nei confronti del marito (Riccardo Scamarcio), presunto traditore: lei sembra avere un quadro molto chiaro, ma il giorno dopo, tornando con lui sul luogo del delitto, non v’è traccia del tradimento, e la sua sembra essere stata un’allucinazione. E poi, nel finale, ci troviamo a cena tra amici in cui ci viene detto, sì, che andremmo a letto con il 90% delle donne nel mondo. E che la stessa cosa vale anche per le donne…
Traditori seriali, traditori occasionali, traditori professionisti e traditori improvvisati. L’infedeltà può avere tante facce e Gli infedeli vuole provare a tracciare uno spaccato del mondo dei fedifraghi. C’è chi confessa a fatica, ma con sincerità, e trova un’altra confessione dall’altra parte, come accadeva a Tom Cruise e Nicole Kidman in Eyes Wide Shut. Ci sono quelli per cui il tradimento è un “voglio ma non posso”, chi non è proprio tagliato per il tradimento, e non ce la può fare neanche con tutto l’impegno. C’è chi non prende una situazione di questo tipo come un dramma, ma prova a trarre nuova forza per la coppia. E chi, pur sapendo, continua a negare, a fare come se niente fosse.
Se il film originale francese si rifaceva alla Commedia all’Italiana, in particolare ai nostri film a episodi come I mostri e I nuovi mostri, nella versione italiana il riferimento è ancora più evidente: uno sguardo attento sulla nostra società (vedi l’ossessione per i telefonini, che ammicca a un successo italiano come Perfetti sconosciuti), la struttura a episodi, un certo tono grottesco, il trucco per far apparire più goffi alcuni personaggi. Non c’è però quella cattiveria, quel tono tagliente e acido che avevano quei film. Gli infedeli si ferma sempre un attimo prima. Rispetto alla versione francese è meno volgare e cialtrone, e prova ad essere più profondo, riuscendoci fino a un certo punto. I difetti sono quelli dell’originale: una certa discontinuità tra gli episodi, una certa incompiutezza, sia nelle singole storie, sia nel complesso del film, e la mancanza, nei singoli episodi, di una vera epifania in grado di dare un senso agli stessi.
Gli infedeli è anche un film di attori. Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea sono i veri mattatori: ognuno è protagonista di due episodi, e appare come comprimario negli altri due. Riccardo Scamarcio è ormai lontanissimo dal sex symbol dei teen drama alla Tre metri sopra il cielo, e anche oltre il personaggio noir che si era costruito nella seconda fase della sua carriera (grazie anche a un altro film di Mordini, Pericle il nero): la sua terza fase potrebbe essere proprio questa, un attore brillante, ironico e autoironico, a suo agio sia come seduttore impenitente che come inguaribile pasticcione, nel suo caso un ruolo davvero inedito. Valerio Mastandrea è nel suo mondo, in una recitazione sui mezzi toni, che in un caso lo avvicina al protagonista di Figli, e nell’altro regala un’altra sfumatura alla sua galleria di personaggi depressi e repressi, quella di un traditore silenzioso e, a suo modo, innocente.
Se Gli infedeli, versione francese, aveva un che di misogino, essendo completamente centrato sugli uomini, infantili e narcisisti, e le donne erano solo oggetti del desiderio o mogli arrabbiate, Gli infedeli italiano ha il merito, e non è da dare per scontato, il fatto di portare in scena dei personaggi femminili a tutto tondo, a loro modo protagonisti, e non presenti solo in funzione dei protagonisti maschili. Nel primo episodio è anche merito di Valentina Cervi, volto bellissimo e poco utilizzato dal nostro cinema, sensuale e intensa, se il personaggio ha un’anima. Nell’ultimo il plauso va a una Laura Chiatti non più oggetto del desiderio, ma moglie tradita, un ruolo in cui riesce a mostrare una bellezza stanca e sfiorita, e non è poco (il suo ruolo nelle serie 1993 e 1994 ha sicuramente aiutato in questo). Marina Foïs ha un personaggio silenzioso ed empatico. Sia lei che Valentina Cervi hanno già lavorato con Mordini, la prima in Pericle il nero, la seconda in Provincia meccanica. Euridice Axen appare, purtroppo, solo nel breve prologo: ma l’attrice che avevamo ammirato in Loro di Paolo Sorrentino ha una bellezza abbagliante e tempi comici perfetti.
Ma, alla fine, ci ritroviamo o no in questo ritratto? Se un film di questo tipo porta chiaramente alcune situazioni al limite, l’assunto di fondo è che, infedeli no, uomini o donne, ci vediamo costantemente inadeguati, esauriti, affannati, frustrati. Ci troviamo a mentire, agli altri, ma forsa anche a noi stessi. Siamo narcisisti e depressi. Come nell’originale francese del 2012, ridiamo di noi stessi, perché le storie fanno leva su quel “sentimento del contrario” di cui parlava Pirandello, e da cui nasce la comicità.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Suburræterna: L’eterno romanzo criminale di Roma torna su Netflix
Published
2 settimane agoon
14 Novembre 2023
“A Berlino che giorno è?”, cantava Garbo in una famosa canzone. Ed è a Berlino che inizia Suburræterna, spin-off della serie Suburra, presentato alla Festa del Cinema di Roma e disponibile in streaming dal 14 novembre su Netflix. È nella capitale tedesca che ritroviamo, 3 anni dopo la terza stagione di Suburra, Spadino. L’erede della famiglia Anacleti, che una volta dominava il crimine di Roma, ha deciso di cambiare vita. È in Germania, fa il deejay nei locali notturni, e finalmente ha un compagno, e così può esprimere la sua sessualità, coda che nella sua famiglia gli era negata. È cambiato: non ha più il taglio di capelli con la cresta e le rasature, ma dei lunghi capelli lisci pettinati da un lato. Veste di nero, con giacche e cappotti eleganti. Lo vediamo all’inizio del primo episodio, e lo rivedremo solo alla fine di questo. Un fatto accaduto a Roma lo riporterà indietro, a fare i conti con la sua vita passata. E con nuovi, e vecchi, amici e nemici.
Suburræterna infatti rimette in gioco alcune figure che avevamo conosciuto nelle tre stagioni di Suburra e li mette in relazione a nuovi protagonisti del crimine, appena arrivati e quindi più affamati di loro. Angelica (Carlotta Antonelli), l’ex moglie di Spadino (Giacomo Ferrara) è spostata con Damiano, che viene da un’altra famiglia, i Luciani. Ma i fratelli di Damiano stanno preparando una resa dei conti che coinvolgerà gli Anacleti e, allo stesso tempo, il clan di Ostia che, dopo la morte di Aureliano, è tenuto in piedi da Nadia (Federica Sabatini), rimasta così legata a lui da portare al collo lo stesso tatuaggio. La politica è rappresentata da un nuovo consigliere comunale, Ercole Bonatesta (Aliosha Massine), assetato di potere e soldi. E la Chiesa da un cardinale, Armando Tronto (Federigo Ceci), che vuole sovvertire l’ordine delle cose: un nuovo sindaco, e forse un nuovo Papa. Ma tutti dovranno fare i conti con il temibile Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), ex politico che lavora nel mondo delle cooperative ma di fatto è il nuovo Samurai, la pietra angolare del cinema a Roma.
Suburraeterna, lo spin-off di Suburra, per riportare in scena i suoi protagonisti riparte da un archetipo delle storie crime. È quello che viene da Il padrino di Francis Ford Coppola: il figlio che vuole cambiare vita e scappare dal mondo criminale, ma che gli eventi e il ruolo designato riportano irreversibilmente verso il Male e il potere. È quello che accadeva al Michael Corleone di Al Pacino dopo la morte di Don Vito Corleone. Lo spadino di Giacomo Ferrara, cresciuto nella consapevolezza, nel look, nella personalità sarà il centro di questa storia.
I grandi reduci dalle precedenti stagioni di Gomorra sono sostanzialmente quattro. Lo Spadino di Giacomo Ferrara e l’Amedeo Cinaglia di Filppo Nigro, ex politico passato a fare altro che racconta benissimo il trasformismo di una certa politica, lo scivolare lentamente e inesorabilmente verso il Male, il restare sempre a galla. Come Spadino, anche Cinaglia è nuovo: esteticamente più anonimo, il volto più torvo, la mascella serrata di chi è determinato a prendersi tutto.
L’altra metà del cielo di Suburra è quella femminile. Le altre due “reduci” sono l’Angelica di Carlotta Antonelli e la Nadia di Federica Sabatini, due donne che erano partite da essere “la ragazza di” e pian piano erano arrivate al potere in un’alleanza femminile che era stata una delle trovate più felici della stagione 3. Era proprio la loro storia che aveva fatto parlare, già in quell’occasione, di un possibile spin-off. Anche loro sono cresciute, sono cambiate nel look e nel portamento. E anche nelle ambizioni. Nel senso che queste sono diventare più grandi. Angelica e Nadia per ora si trovano su due lati opposti della barricata. E il loro primo confronto è spigoloso. Ma probabilmente sapranno avvicinarsi.
Suburra è il terzo grande romanzo criminale seriale di questi anni, dopo Romanzo criminale e Gomorra. Come gli altri due è prodotto da Cattleya ed è tratto da un romanzo, di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. È un’opera suggestiva perché lascia nello spettatore qualcosa. È chiaramente un prodotto di finzione, ma chi guarda sa che a Roma tra Chiesa, politica e strada c’è, o c’è stata, una connessione. E tante cose, guardando la serie, che è ovviamente un crime spettacolare ed eccessivo, sembrano tornare. Ad esempio, in questa storia, al centro c’è il “Nuovo Colosseo”, quell’agognato stadio della Roma che si deve fare da anni e non si fa mai. Come le Olimpiadi, l’Expo, e così via. Quindi guardi una serie e sai che, dentro, c’è qualcosa di vero. O molto di vero.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Nuovo Olimpo: Il passato più è lontano più sembra bello; Ferzan Ozpetek alla Festa di Roma e su Netflix
Published
1 mese agoon
23 Ottobre 2023
È il 1 novembre del 1978. Una donna con un bambino viene fermata da dei malviventi, ma tira fuori una pistola e spara. Ma è solo il set di un film, Roma senza pietà. In quel film, come aiuto regista volontario, lavora Enea. E proprio quel giorno, mentre prova ad allontanare la folla, incontra lo sguardo di Pietro, un ragazzo che si trova a Roma per pochi giorni. Inizia così Nuovo Olimpo, il nuovo film di Ferzan Ozpetek, presentato alla Festa del Cinema di Roma e disponibile in streaming su Netflix proprio dal 1 novembre. Sarà una data che ritornerà, lungo gli anni, per raccontare la storia di questi due ragazzi che si perderanno di vista e si sfioreranno: 1 novembre 1990, 1 novembre 1993, 1 novembre 2015.
Nuovo Olimpo è titolo del film di Ferzan Ozpetek. Ed è il nome del cinema dove Enea (Damiano Gavino) e Pietro (Andrea Di Luigi) si incontrano poco dopo quel primo sguardo. Quei giochi di sguardi continuano e diventano qualcos’altro: un’intesa, una passione, non senza una prima ritrosia. Un incidente, durante una manifestazione, farà saltare un appuntamento, ed Enea e Pietro si perderanno di vista. Le loro vite andranno avanti, ma quel ricordo non svanirà mai del tutto. Pur condividendo la vita con altre persone, pur con una carriera avviata (regista uno, medico l’altro), arriveranno dei segnali che li riporteranno nel passato.
Con Nuovo Olimpo Ferzan Ozpetek celebra i vecchi cinema di una volta che erano non solo il luogo dove vedere film bellissimi che rimangono impressi tutta la vita. Ma anche come luogo di socializzazione, di amori clandestini e scambi fugaci. Cinema che si vivevano non solo in sala, non solo sotto lo schermo o sulle poltrone. Ma anche nei corridoi, dentro ai bagni. Erano quei cinema dove si entrava e si usciva, si andava in sala a spettacolo iniziato e si vedeva la seconda ora del film e la prima ora nello spettacolo successivo. Dove la cassiera di lasciava entrare anche senza biglietto se dovevi andare solo a vedere se c’era qualcuno.
Quello che arriva su Netflix con Nuovo Olimpo è sempre lo stesso Ferzan Ozpetek, ma è anche un Ozpetek nuovo. I toni del film sono quelli del mélo classico rivisitato con la sensibilità tutta particolare del regista, come è stato per tutta la sua carriera. I toni, intesi come colori, sono quelli caldi, pastosi, dominati dal rosso. I personaggi si muovono in una Roma, la Roma del centro, illuminata in modo che sembra davvero la città più bella del mondo, e non puoi non innamorartene, di giorno come di notte. C’è anche tutto il suo cinema basato sullo sguardo, sulle espressioni dei volti prima ancora sulle parole.
Ma l’Ozpetek che vedremo su Netflix è anche un Ozpetek nuovo. Sapere che il proprio film andrà su una piattaforma, dove non sono imposti divieti, lo rende più libero di osare. Ed è così nelle scene di sesso sfrenate e libere, nei nudi liberi e naturali, nella descrizione della passione. Se in alcuni suoi film molte di queste cose erano suggerite, qui Ozpetek prova a renderle più esplicite, tangibili. C’è un’atmosfera di sensualità, uno slancio che ci sembra superiore a quello degli altri film. E che avevamo già notato nella sua serie tv, Le fate ignoranti, non a caso un prodotto pensato proprio per una piattaforma.
La regia di Ozpetek ha dei momenti di gran classe. Come l’ellissi narrativa con cui, grazie all’apertura di un portone, ci porta dal 1978 al 1990. Come l’apparizione di Titti, la cassiera del cinema, in versione soprannaturale (una irriconoscibile e bravissima Luisa Ranieri ispirata alla Mina degli anni Settanta). O come il finale, con quella macchina da presa che rimane ferma a lungo su quell’angolo alla fine della strada E poi, facendoci attendere ancora, torna indietro e, con grande suspense, ci mostra un what if.
È un gran bel finale di un film che affascina, avvolge, appassiona. Ma che lascia anche perplessi in alcuni aspetti. È vero che Ozpetek vuole raccontarci amori che durano tutta la vita, e che questa idea è molto romantica. Ma è anche vero che alcuni snodi narrativi risultano un po’ forzati e che a volte sembra davvero poco credibile che i due ragazzi non riescano a rintracciarsi e ritrovarsi l’uno con l’altro. Così come ci sembrano acerbi due dei tre attori chiave nei ruoli maschili. Damiano Gavino è il più sicuro ed espressivo, un attore completo, mentre Andrea Di Luigi e Alvise Rigo (è Antonio, il compagno di Enea) sembrano ancora acerbi. Ma assicurano al film sensualità e freschezza. Aurora Giovinazzo è molto intensa nel ruolo di Alice, amica, e forse qualcosa di più, di Enea, e Greta Scarano è convincente nel ruolo di Giulia, che diventa la moglie di Pietro. Tutto allora è funzionale a farci arrivare il messaggio del film. Il passato più è lontano più sembra bello.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
“La Storia” di Francesca Archibugi In anteprima alla Festa del Cinema di Roma la serie tratta dal capolavoro di Elsa Morante

Published
2 mesi agoon
17 Ottobre 2023By
DailyMood.it
Roma, quartiere San Lorenzo. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Ida Ramundo, maestra elementare rimasta vedova con un figlio adolescente di nome Nino, decide di tenere nascoste le proprie origini ebraiche per paura della deportazione. Dopo l’ingresso dell’Italia in guerra, un giorno, rientrando a casa, viene violentata da un soldato dell’esercito tedesco, un ragazzino ubriaco. Si apre così “La Storia”, la serie tv firmata da Francesca Archibugi e tratta dall’omonimo romanzo di Elsa Morante, edito da Giulio Einaudi Editore, di cui sono ora disponibili le prime immagini. I primi due episodi della serie, interpretata da Jasmine Trinca, Elio Germano, Asia Argento, Lorenzo Zurzolo, Francesco Zenga e con Valerio Mastandrea, saranno presentati in anteprima mondiale venerdì 20 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. “La Storia” – alla cui sceneggiatura hanno lavorato Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi – è una coproduzione tra Picomedia e la società francese Thalie Images in collaborazione con Rai Fiction.
Dopo lo sgomento, l’angoscia e la vergogna, Ida scopre di essere incinta. Mentre Nino trascorre l’estate al campeggio degli Avanguardisti, Ida partorisce in segreto un bambino prematuro, piccolo e quieto, con gli stessi occhioni azzurri del padre, quel soldato ragazzino tedesco già morto in Africa. Quando Nino torna a casa e scopre il fratellino, lo accetta di slancio e se ne innamora. Lo soprannominerà Useppe. La piccola famiglia viene stravolta dagli eventi della guerra: prima Nino, fascista convinto, decide di partire per il fronte contro il parere di Ida, lasciandola sola con Useppe; poi, nel bombardamento di San Lorenzo del luglio 1943, la loro casa viene distrutta, Ida perde tutto ed è costretta a sfollare a Pietralata. Da quel momento, ogni giorno diventerà una lotta per la propria sopravvivenza e per quella del suo bambino. Intanto, Useppe cresce aspettando il ritorno di suo fratello, al quale è legato da un amore inossidabile, mentre una vitalità a tratti disperata spinge Nino verso la lotta armata nella Resistenza, verso l’amore, verso i compagni. Nino è pieno di desideri:vuole più soldi, più affari, più avventura. Dopo la guerra si darà al contrabbando, prima di sigarette e poi in quello delle armi. Vuole una vita migliore per sé, per Ida e per Useppe.
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