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Stranger Things 3. Gli anni ottanta, le ragazze e l’adolescenza: che mistero.

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È arrivata l’estate, a Hawkins, e i nostri amici sono tornati. È l’estate del 1985, ci stiamo avvicinando al 4 luglio, e proprio il 4 luglio torna in streaming su Netflix Stranger Things, arrivato alla stagione 3. I ragazzi passano le loro giornate tra la piscina e un nuovo, sfavillante centro commerciale che ha aperto fuori città, tra cinema, primi lavori, primi baci e shopping. Ma, al cinema, proprio mentre vede un horrror, a Will Byers vengono dei brividi sul collo. È il segnale che qualcosa di pericoloso arriverà. È Stranger Things, e su questo non c’è dubbio. L’attesissima terza stagione di uno dei prodotti simbolo di Netflix è finalmente tra noi: preparatevi a ore di binge watching, e ad essere catapultati negli anni Ottanta.

Inizia piano, Stranger Things 3, come se volesse prendersi tutto il tempo per riannodare i fili, e per raccontare come, meno di un anno dopo le vicende della seconda stagione, stanno andando le vite dei nostri amici. Nei primi due episodi il pericolo incombente è accennato, insinuato pian piano nelle tranquille vite dei ragazzi, e sembra quasi di stare in una di quelle commedie sentimentali americane anni Ottanta, alla John Hughes per capirci. I ragazzini sono cresciuti, e sono alle prese con i primi amori. Mike (Finn Wolfhard) e Undici (Mille Bobby Brown) non si staccano per un attimo, cosa che sta mandando ai pazzi lo sceriffo Jim Hopper (David Harbour), alle prese con il lavoro più difficile, quello di papà, e un non troppo velato interesse per Joyce (Winona Ryder). Anche Lucas (Caleb McLaughlin) e Max (Sadie Sink) stanno insieme tra continue scaramucce e Will (Noah Schnapp) soffre un po’ questo interesse degli amici per le ragazze. Dustin (Gaten Matarazzo), che è tornato dalle vacanze raccontando di una ragazza “più sexy di Phoebe Cates” si lega sempre di più a Steve (Joe Keery), che, in un improbabile vestito da marinaio, lavora in una gelateria insieme a una ragazza molto particolare, Robin (Maya Hawke, la figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke). Anche gli altri ragazzi, Jonathan (Charlie Heaton) e Nancy (Natalia Dyer) sono al lavoro, uno stage al giornale locale dove non si trovano proprio benissimo. Ma, a un certo punto, cose strane cominciano ad accadere: i magneti non si attaccano più alle pareti di ferro, e i topi cominciano a impazzire. E, come potete immaginare, questo è solo l’inizio.

Leggendo questa lunga premessa si può capire subito una cosa: la forza di Stranger Things è avere dei grandi personaggi, e tanti grandi personaggi. Nella terza stagione i Dufffer Brothers riescono con abilità a valorizzarli tutti, facendoli crescere, disegnandoli benissimo, dividendoli in delle squadre che seguono ognuno la propria pista: ci sono i ragazzini con le loro ragazze, ci sono Dustin, Steve e Robin, con una ragazzina incontrata al centro commerciale, ci sono Jonathan e Nancy e gli adulti Joyce e Hopper. La nuova stagione della serie cult di Netflix è abilmente costruita secondo varie linee narrative e secondo vari generi, la commedia sentimentale, l’horror e anche la spy-story, tutti amalgamati alla perfezione e fatti vivere in un universo ben preciso, che è quello del cinema anni Ottanta.

Per farlo i Duffer Brothers e il regista Shawn Levy usano gli stilemi di quel cinema – inquadrature, luci, canzoni, tematiche, toni – e anche le citazioni, che però sono meno evidenti che nelle altre stagioni. Ma non sono mai fini a se stesse, sono sempre lì per dirci qualcosa. Così Day Of The Dead (da noi Il giorno degli zombi), il film del 1985 di George A. Romero, che i nostri amici vedono al cinema, è lì per dirci che, prima o poi, ci troveremo in un horror. E Magnum P.I., che Hopper vede alla tivù, ci anticipa che i protagonisti dovranno improvvisarsi tutti investigatori per risolvere un caso. A un certo punto viene nominato Arnold Schwarzenegger, e troveremo un personaggio che richiama Terminator. Wonder Woman, il fumetto Max e Undici leggono nella cameretta, ci ricorda che lì non c’è solo una ragazzina ma anche un supereroe. A proposito di donne meravigliose, in linea con la nuova tendenza di Hollywood, anche Stranger Things 3 è un film dove le donne sono al centro della scena, personaggi autonomi, coraggiosi, intraprendenti. E anche, per i ragazzini, un universo così difficile da capire.

Una delle chiavi del successo di Stranger Things è proprio questa: unisce mistero al mistero. Perché già il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dai giochi di ruolo alle prime cotte per le ragazze, è un viaggio complicatissimo. E in più, per i nostri eroi, al mistero di questo passaggio si aggiunge sempre un mistero soprannaturale.

Ma è solo per questo che ci piace così tanto Stranger Things? Non solo. Stranger Things è la nostra infanzia, però più affascinante ed emozionante di come la ricordavamo, un po’ perché è lontana, ma soprattutto perché qui è ammantata dai colori, dai suoni e dal mondo delle pellicole con cui siamo cresciuti. E ci sono rimaste dentro: sono nel nostro inconscio, sono nel nostro dna. Stranger Things allora non è solo un ottimo prodotto di intrattenimento, non è solo un’operazione nostalgia. È una madeleine proustiana che ci riporta a un tempo perduto, è una miccia che scatena dentro di noi l’esplosione di tutta una serie di emozioni, la chiave che apre una serratura e libera tutta una serie di cose che abbiamo già dentro. Riesce a fermare un istante preciso. Quello in cui abbiamo smesso di giocare e abbiamo dato un bacio a una ragazza.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Serie TV

Iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI

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Dopo lo straordinario successo che ha segnato le prime tre stagioni della serie prodotta da Rai Fiction e Picomedia, iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI.
Il cast torna a girare a Napoli, diretto nuovamente da Ivan Silvestrini.
La serie, una coproduzione Rai Fiction – Picomedia e prodotta da Roberto Sessa,  è nata da un’idea di Cristiana Farina scritta con Maurizio Careddu.

 

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La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton: Tra Marie Antoinette e Lady Diana

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Come sapete, La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la nuova serie in arrivo in streaming su Netflix dal 4 maggio, non è la terza stagione di Bridgerton, cioè la serie che continua le vicende della famiglia del titolo, ma uno spin-off e allo stesso tempo un prequel. La nuova serie targata Shondaland, la casa di produzione fondata da Shonda Rhimes (Scandal, Grey’s Anatomy, Private Practice) è la storia della Regina Carlotta, che abbiamo visto reggere le fila della società londinese ai tempi della Reggenza in Bridgerton. Ma è raccontata dall’inizio: è la sua origin story, per usare un termine caro ai supereroi. La Regina Carlotta, quella matura, che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni di Bridgerton, appare spesso in scena. La vediamo mentre è alla ricerca di un erede: nessuno dei suoi figli ha procreato, e il timore è l’estinzione del suo casato. Ma si tratta di un contrappunto, e di un legame con Bridgerton, che scorre accanto alla storyline principale. Questo prequel dell’universo Bridgerton racconta come il matrimonio della giovane Regina con il Re Giorgio abbia rappresentato non solo una grande storia d’amore, ma anche un cambiamento sociale, portando alla nascita dell’alta società inglese in cui vivono i personaggi di Bridgerton.

Al centro c’è la storia di Carlotta. È una ragazza giovanissima, che arriva in Inghilterra da una cittadina della Germania, dopo che è stata scelta per unirsi in matrimonio al Re del Paese più importante del mondo, Re Giorgio d’Inghilterra. Arriva al matrimonio senza conoscerlo, da un Paese lontano, dopo un lungo viaggio, e viene catapultata in un mondo di cui non sa niente. Ci ricorda moltissimo la giovane Maria Antonietta, raccontata mirabilmente da Sofia Coppola in Marie Antoinette, che dall’Austria (certo, era la figlia della Regina e di un nobile qualsiasi) arrivava in Francia per sposare il Re.

Ma la Regina Carlotta ci ricorda anche molto la giovane Lady Diana Spencer. Una ragazza che, alla corte della Regina d’Inghilterra, ha sofferto spesso di solitudine, incomprensione, incomunicabilità. Guardate il primo episodio, e la prima notte di nozze. La giovane Carlotta, dopo un matrimonio combinato ma che, tutto sommato, ha mostrato di apprezzare, si trova accompagnata nella sua dimora, mentre il marito, Re Giorgio, le comunica che alloggerà in un’altra. Ricorda davvero la storia di Carlo e Diana che, una volta sposati, hanno vissuto a lungo in dimore diverse, facendo vite separate. È in questo che La Regina Carlotta: A Bridgerton Story, appare interessante e attuale.

L’altro lato dell’attualità è quello sforzarsi di rendere tutto inclusivo. Il fatto della regina di colore, che già aveva fatto molto discutere nella prima stagione di Bridgerton, qui viene risolta con un paio di battute e in un paio di scene. In più c’è l’omosessualità del servitore personale di Carlotta e di quello di Re Giorgio. Che non è ovviamente un problema, ma nel contesto della storia sembra inserita piuttosto forzatamente, con il solo scopo dell’inclusività.

Ovviamente Giorgio non è cattivo. È che lo disegnano così. Infantile, ingenuo, inesperto. Dedito alla sua passione, l’astronomia, come il Re Luigi XVI di Marie Antoinette era dedito alle chiavi. Certo, meglio le stelle delle chiavi, converrete tutti. E quello tra i due, al netto delle difficoltà, è un matrimonio d’amore. Ma la storia è scritta per raccontarci che i due giovani si amano e che c’è qualcosa tra loro che li divide. E allora, pur essedo una storia diversa, ritorna lo schema del primo Bridgerton: una giovane ingenua, la sua educazione sessuale, due persone che si amano ma che sono divise da qualcosa che rimane misterioso. È il romanzo di formazione di una ragazza che viene da altri tempi ma che in sé racchiude problemi della sua epoca, e anche della nostra. Come in ogni racconto della saga di Bridgerton, il racconto è brioso e piacevole, ma anche superficiale e a tratti eccessivo.

A brillare, nei panni di Carlotta, è la giovane India Amarteifio, un volto fresco, vispo, impertinente, un volto tipico da eroina dei nostri tempi: occhi allungati e una cascata ribelle di riccioli neri, potrebbe essere la protagonista di un film della Marvel. È un volto che istintivamente suscita simpatia e raggiunge il primo obiettivo, quello di farci parteggiare per lei. Corey Mylchreest, visto in The Sandman, è il giovane re Giorgio, e ha il volto e il fisico che il ruolo impongono. Guardate il loro primo incontro, con lei che è ignara di chi sia lui: un classico della commedia sentimentale. Colpisce anche Arsema Thomas, nel ruolo della la giovane Agatha Danbury, dama di corte della Regina e sua mentore. Nell’altra storyline, quella ambientata durante i fatti di Bridgerton, Golda Rosheuvel (Regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton) riprendono i loro ruoli di Bridgerton.

Per il resto, si sa, siamo in una storia di Bridgerton, e si tratta di stare al gioco, di fare il più grande sforzo di sospensione dell’incredulità possibile. E così, allora, si tratta di prendere o lasciare. Certo, gli anacronismi di Sofia Coppola in Marie Antoinette ci piacevano di più, perché i momenti di rottura, come le Converse accanto alle scarpe d’epoca, e la musica post punk (extradiegetica, ovviamente) erano degli squarci di vernice fluo su una tela classica, che però era rigorosamente e accuratamente costruita, e sempre coerente con la materia raccontata. Shonda Rhimes, invece, nella sua ricostruzione d’epoca si prende qualsiasi libertà a livello storico, visivo, concettuale. È uno di quei prodotti in cui vale tutto. E allora, va bene per intrattenere, ma siamo lontani da qualcosa di profondo, intenso, emozionante.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Citadel: Una grande spy story in una serie tv? Non è una missione impossibile!

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Chi ha detto che ci sono prodotti per il cinema e prodotti per le piattaforme di streaming? Finora avevamo sempre pensato che i grandi film d’azione fossero fatti apposta per il grande schermo e i prodotti più piccoli, meno spettacolari, fossero naturalmente destinati alle piattaforme. Citadel, la serie che trovate in streaming su Prime Video dal 28 aprile, sembra fatta apposta per rompere questa distinzione. Non è la prima serie spettacolare che approda in streaming, ma è forse il caso più eclatante che dimostra il fatto che oggi non esistono più confini. Abbiamo visto i primi due episodi di Citadel su un grande schermo, al cinema The Space Moderno di Piazza della Repubblica a Roma. E su quello schermo ci stavano benissimo. Citadel farà un figurone anche in tv, chiaro, ma vedetelo comunque sullo schermo più grande che avete. Non è un’opera da vedere al cellulare o su un tablet.

L’inizio di Citadel è di quelli che lasciano il segno: siamo sulle alpi italiane, su un treno di ultima generazione, alta velocità ed extra lusso, come in una versione 3.0 di Intrigo Internazionale. Un’affascinante donna vestita di rosso, Nadia Sinh (Priyanka Chopra Jonas), viene avvicinata da un affascinante uomo vestito di nero, Mason Kane (Richard Madden). I due si conoscono già, si conoscono molto bene, hanno un grande feeling. Lo capiamo dal loro dialogo, dalla chimica in atto ogni volta che si avvicinano. Su quel treno ci sono altre persone, è una trappola. C’è una bomba. Un vagone del treno salta in aria e… La storia riprende otto anni dopo. E sta a voi scoprirla.

Vi diciamo solo che Mason non ricorda nulla. Sì, proprio come Jason Bourne, il protagonista di The Bourne Identity che, citato anche da una simpatica battuta in sceneggiatura, è uno dei modelli di Citadel. Modelli che sono tanti, sono chiari, sono i più nobili. C’è ovviamente molto di Mission: Impossible, che è il riferimento più evidente; c’è, ma in misura minore, James Bond. E ci sono, accennati perché l’atmosfera è diversa, i classici di Hitchcock. Tutto questo è per dire che le ambizioni sono alte, gli standard produttivi e visivi anche. Ma Citadel, pur ispirandosi e richiamando il meglio degli spy game cinematografici, non sembra mai qualcosa di già visto, non sembra somigliare ad altre cose. Era il rischio più grande. Ed è stato evitato.

Nel caso di Citadel è il caso di parlare di un vero evento, perché alza l’asticella delle produzioni seriali e del mondo dello streaming, e inaugura una nuova formula produttiva. Anche se siamo in tv possiamo dire tranquillamente che si tratta di grande cinema. E non è un caso: a dirigere infatti ci sono i Fratelli Russo, coloro che avevano già trasformato il cinecomic della Marvel in una spy story anni Settanta con Captain America And The Winter Soldier. Il cinema di spionaggio è il loro terreno e non deludono. Ma il loro ambiente, appunto, è anche il cinecomic, il cinema di supereroi. E, come ha detto qualcuno, Citadel è questo: è un film degli Avengers, ma con le spie. Spie e supereroi, ci hanno spiegato i produttori, in fondo, sono la stessa cosa: personaggi in grado di andare oltre le nostre capacità, con doti e poteri speciali.

Tutto questo è racchiuso nei due protagonisti. Richard Madden, già uomo d’azione ne Il trono di spade, ma soprattutto in The Bodyguard, ha il physique du rôle per essere una nuova spia, anche se l’espressività, in confronto a mostri come Daniel Craig, Tom Cruise e Matt Damon, non è completamente all’altezza. Priyanka Chopra Jonas è una vera sorpresa. Sensualissima nei primi piani, con uno sguardo e delle labbra in grado di far sciogliere che guarda, è anche eccezionale nelle scene d’azione. Bernard, il loro capo, interpretato da Stanley Tucci, dice che Nadia e Mason da soli sono dei grandi agenti, ma insieme sono una bomba. Ed è vero anche per gli attori. La chimica e l’affiatamento tra i due è eccezionale.

Citadel è un evento anche per la parte produttiva. Perché da questa serie verranno tratti alcuni spin off che saranno prodotti in altre parti del mondo. Una di queste è l’Italia. E la protagonista della Citadel italiana è Matilda De Angelis. Non vediamo l’ora di vederla come una nuova, sexy e tostissima spia. Siamo appena entrati nel mondo di Citadel, allora, e crediamo che ci resteremo molto a lungo.

Crediti: Courtesy of Prime Video

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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