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Sulla mia pelle: Alessandro Borghi è Stefano Cucchi nel film di Venezia 75

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sulla mia pelle

Quando a fine luglio il titolo Sulla mia pelle venne pronunciato durante la conferenza stampa ufficiale di Venezia 75 come film di apertura della sezione Orizzonti non mancò di destare stupore. Non solo perché un film prodotto da Netflix (il secondo in terra nostrana, dopo Rimetti a noi i nostri debiti) ma soprattutto per la storia raccontata: gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi. Una vicenda di cui oggi non se ne parla più tanto ma che indubbiamente è una ferita ancora aperta per il nostro paese.

sulla mia pelleÈ il 22 ottobre 2009 quando Stefano Cucchi muore all’età di trentun anni mentre si trova in custodia cautelare presso l’ospedale Sandro Pertini di Roma. In quel luogo c’è finito dopo aver essere stato arrestato con l’accusa di detenzione e spaccio di droga. Le cause del decesso sono delle ecchimosi, fratture e lesioni sparse per tutto il corpo, concentrate soprattutto sulla schiena e sul volto del ragazzo.
Le indagini svolte sulla vicenda – derivanti dal fatto che Stefano era in buona salute prima del fermo – vedevano inizialmente accusati tre dei cinque carabinieri che si occuparono dell’arresto, le guardie carcerarie che lo presero in custodia e i medici che lo visitarono durante il ricovero. Tutti vennero assolti e ad oggi, in seguito a due processi, sotto inchiesta ci sono tre militari dell’Arma dei Carabinieri per omicidio preterintenzionali e altri due per falsa testimonianza rilasciata durante il processo.

In totale furono 140 le persone con cui Stefano Cucchi entrò in contatto nei sette giorni prima di morire. 140 persone dotate di occhi per guardare, di menti per comprendere e di bocche per parlare, eppure solo in pochi, pochissimi hanno intuito il dramma che il giovane stava vivendo.
Da qui parte Sulla mia pelle, dalla volontà di Alessio Cremonini – il quale si è occupato anche della sceneggiatura insieme a Lisa Nur Sultan – di dare voce a Stefano adesso che non può più farlo. Lo stesso regista infatti ha dichiarato: «di tutta la vicenda, le polemiche, i processi, è l’ovvia ma allo stesso tempo penosa impossibilità di difendersi, di spiegarsi, da parte della vittima ad avermi toccato profondamente: tutti possono parlare di lui, tranne lui. Ecco, Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita».

sulla mia pellePer questo motivo Sulla mia pelle non è un reportage, un documentario né tantomeno un film di denuncia. Non punta il dito, non cerca colpevoli; vuole solo raccontare (attenendosi esclusivamente alle testimonianze raccolte dai processi e dalle dichiarazioni dei testimoni diretti) quello che è stato il calvario di Stefano, lasciando trasparire una storia che si allinea alla verità cha da circa dieci anni la famiglia Cucchi sostiene a gran voce, ovvero che la morte del figlio e fratello sia stata causata da un pestaggio brutale da parte dei carabinieri che lo tennero in custodia appena dopo l’arresto.
Nel portare sullo schermo questa toccante ricostruzione dei fatti, Cremonini si affida ad un grandissimo cast. Jasmine Trinca interpreta Ilaria, la sorella di Stefano che da subito ha chiesto giustizia sulla morte del fratello e mai ha smesso di esporre la sua verità, Max Tortora e Milvia Marigliano sono invece i genitori, ed entrambi gli attori donano due interpretazioni contenute ma al contempo forti e credibili.
Stefano Cucchi rivive però grazie alla straordinaria performance di Alessandro Borghi. L’attore romano, che conta già nella sua carriera ottime interpretazioni come quelle in Non essere cattivo, Suburra e Napoli Velata, offre qui un lavoro viscerale, come rarissime volte se ne sono visti nel cinema italiano. La perdita di peso (18 chili in totale), il portamento e in modo particolare la voce (da brividi la somiglianza con la vera voce di Cucchi che si sente all’inizio dei titoli di coda) dimostrano non solo il talento di Borghi ma anche quanto l’attore abbia creduto insieme a tutto il resto della produzione all’importanza del progetto.

Un progetto che punta la lente d’ingrandimento su un fenomeno che va aldilà della storia di Stefano e ha coinvolto negli anni centinaia di persone. Nello stesso 2009 infatti sono stati ben 176 i decessi registrati durante situazioni di arresto e detenzioni. Una realtà che non può essere accettata, una negligenza e una superficialità che non devono accadere quando ad essere coinvolto è lo Stato.

sulla mia pelleQuella di Sulla mia pelle è una storia che prima o poi doveva essere raccontata. Non è strumentalizzazione di un triste fatto di cronaca, è un pugno nello stomaco: sconvolge, emoziona e scuote le coscienze di chiunque guarderà. Perché la pelle del titolo non è solo quella di Stefano o delle altre vittime ma è anche la nostra, che sentiamo su di noi l’ingiustizia del calvario a cui un ragazzo di trentun anni è stato costretto senza avere la possibilità di opporsi. L’ingiustizia delle botte e del silenzio, tanto che viene da chiedersi quale dei due faccia più male.

Dopo la presentazione al Festival del cinema di Venezia – dove il film è stato accolto con grande plauso dalla critica – la pellicola è uscita in contemporanea sia su Netflix che in una release limitata al cinema, dove si è già ottenuto un ottimo riscontro d’incassi. Sintomo che il cinema italiano può e deve rischiare perché ha ancora tantissimo da dire.

di Marta Nozza Bielli per DailyMood.it

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Serie TV

Iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI

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Dopo lo straordinario successo che ha segnato le prime tre stagioni della serie prodotta da Rai Fiction e Picomedia, iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI.
Il cast torna a girare a Napoli, diretto nuovamente da Ivan Silvestrini.
La serie, una coproduzione Rai Fiction – Picomedia e prodotta da Roberto Sessa,  è nata da un’idea di Cristiana Farina scritta con Maurizio Careddu.

 

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Serie TV

La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton: Tra Marie Antoinette e Lady Diana

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Come sapete, La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la nuova serie in arrivo in streaming su Netflix dal 4 maggio, non è la terza stagione di Bridgerton, cioè la serie che continua le vicende della famiglia del titolo, ma uno spin-off e allo stesso tempo un prequel. La nuova serie targata Shondaland, la casa di produzione fondata da Shonda Rhimes (Scandal, Grey’s Anatomy, Private Practice) è la storia della Regina Carlotta, che abbiamo visto reggere le fila della società londinese ai tempi della Reggenza in Bridgerton. Ma è raccontata dall’inizio: è la sua origin story, per usare un termine caro ai supereroi. La Regina Carlotta, quella matura, che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni di Bridgerton, appare spesso in scena. La vediamo mentre è alla ricerca di un erede: nessuno dei suoi figli ha procreato, e il timore è l’estinzione del suo casato. Ma si tratta di un contrappunto, e di un legame con Bridgerton, che scorre accanto alla storyline principale. Questo prequel dell’universo Bridgerton racconta come il matrimonio della giovane Regina con il Re Giorgio abbia rappresentato non solo una grande storia d’amore, ma anche un cambiamento sociale, portando alla nascita dell’alta società inglese in cui vivono i personaggi di Bridgerton.

Al centro c’è la storia di Carlotta. È una ragazza giovanissima, che arriva in Inghilterra da una cittadina della Germania, dopo che è stata scelta per unirsi in matrimonio al Re del Paese più importante del mondo, Re Giorgio d’Inghilterra. Arriva al matrimonio senza conoscerlo, da un Paese lontano, dopo un lungo viaggio, e viene catapultata in un mondo di cui non sa niente. Ci ricorda moltissimo la giovane Maria Antonietta, raccontata mirabilmente da Sofia Coppola in Marie Antoinette, che dall’Austria (certo, era la figlia della Regina e di un nobile qualsiasi) arrivava in Francia per sposare il Re.

Ma la Regina Carlotta ci ricorda anche molto la giovane Lady Diana Spencer. Una ragazza che, alla corte della Regina d’Inghilterra, ha sofferto spesso di solitudine, incomprensione, incomunicabilità. Guardate il primo episodio, e la prima notte di nozze. La giovane Carlotta, dopo un matrimonio combinato ma che, tutto sommato, ha mostrato di apprezzare, si trova accompagnata nella sua dimora, mentre il marito, Re Giorgio, le comunica che alloggerà in un’altra. Ricorda davvero la storia di Carlo e Diana che, una volta sposati, hanno vissuto a lungo in dimore diverse, facendo vite separate. È in questo che La Regina Carlotta: A Bridgerton Story, appare interessante e attuale.

L’altro lato dell’attualità è quello sforzarsi di rendere tutto inclusivo. Il fatto della regina di colore, che già aveva fatto molto discutere nella prima stagione di Bridgerton, qui viene risolta con un paio di battute e in un paio di scene. In più c’è l’omosessualità del servitore personale di Carlotta e di quello di Re Giorgio. Che non è ovviamente un problema, ma nel contesto della storia sembra inserita piuttosto forzatamente, con il solo scopo dell’inclusività.

Ovviamente Giorgio non è cattivo. È che lo disegnano così. Infantile, ingenuo, inesperto. Dedito alla sua passione, l’astronomia, come il Re Luigi XVI di Marie Antoinette era dedito alle chiavi. Certo, meglio le stelle delle chiavi, converrete tutti. E quello tra i due, al netto delle difficoltà, è un matrimonio d’amore. Ma la storia è scritta per raccontarci che i due giovani si amano e che c’è qualcosa tra loro che li divide. E allora, pur essedo una storia diversa, ritorna lo schema del primo Bridgerton: una giovane ingenua, la sua educazione sessuale, due persone che si amano ma che sono divise da qualcosa che rimane misterioso. È il romanzo di formazione di una ragazza che viene da altri tempi ma che in sé racchiude problemi della sua epoca, e anche della nostra. Come in ogni racconto della saga di Bridgerton, il racconto è brioso e piacevole, ma anche superficiale e a tratti eccessivo.

A brillare, nei panni di Carlotta, è la giovane India Amarteifio, un volto fresco, vispo, impertinente, un volto tipico da eroina dei nostri tempi: occhi allungati e una cascata ribelle di riccioli neri, potrebbe essere la protagonista di un film della Marvel. È un volto che istintivamente suscita simpatia e raggiunge il primo obiettivo, quello di farci parteggiare per lei. Corey Mylchreest, visto in The Sandman, è il giovane re Giorgio, e ha il volto e il fisico che il ruolo impongono. Guardate il loro primo incontro, con lei che è ignara di chi sia lui: un classico della commedia sentimentale. Colpisce anche Arsema Thomas, nel ruolo della la giovane Agatha Danbury, dama di corte della Regina e sua mentore. Nell’altra storyline, quella ambientata durante i fatti di Bridgerton, Golda Rosheuvel (Regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton) riprendono i loro ruoli di Bridgerton.

Per il resto, si sa, siamo in una storia di Bridgerton, e si tratta di stare al gioco, di fare il più grande sforzo di sospensione dell’incredulità possibile. E così, allora, si tratta di prendere o lasciare. Certo, gli anacronismi di Sofia Coppola in Marie Antoinette ci piacevano di più, perché i momenti di rottura, come le Converse accanto alle scarpe d’epoca, e la musica post punk (extradiegetica, ovviamente) erano degli squarci di vernice fluo su una tela classica, che però era rigorosamente e accuratamente costruita, e sempre coerente con la materia raccontata. Shonda Rhimes, invece, nella sua ricostruzione d’epoca si prende qualsiasi libertà a livello storico, visivo, concettuale. È uno di quei prodotti in cui vale tutto. E allora, va bene per intrattenere, ma siamo lontani da qualcosa di profondo, intenso, emozionante.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Serie TV

Citadel: Una grande spy story in una serie tv? Non è una missione impossibile!

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Chi ha detto che ci sono prodotti per il cinema e prodotti per le piattaforme di streaming? Finora avevamo sempre pensato che i grandi film d’azione fossero fatti apposta per il grande schermo e i prodotti più piccoli, meno spettacolari, fossero naturalmente destinati alle piattaforme. Citadel, la serie che trovate in streaming su Prime Video dal 28 aprile, sembra fatta apposta per rompere questa distinzione. Non è la prima serie spettacolare che approda in streaming, ma è forse il caso più eclatante che dimostra il fatto che oggi non esistono più confini. Abbiamo visto i primi due episodi di Citadel su un grande schermo, al cinema The Space Moderno di Piazza della Repubblica a Roma. E su quello schermo ci stavano benissimo. Citadel farà un figurone anche in tv, chiaro, ma vedetelo comunque sullo schermo più grande che avete. Non è un’opera da vedere al cellulare o su un tablet.

L’inizio di Citadel è di quelli che lasciano il segno: siamo sulle alpi italiane, su un treno di ultima generazione, alta velocità ed extra lusso, come in una versione 3.0 di Intrigo Internazionale. Un’affascinante donna vestita di rosso, Nadia Sinh (Priyanka Chopra Jonas), viene avvicinata da un affascinante uomo vestito di nero, Mason Kane (Richard Madden). I due si conoscono già, si conoscono molto bene, hanno un grande feeling. Lo capiamo dal loro dialogo, dalla chimica in atto ogni volta che si avvicinano. Su quel treno ci sono altre persone, è una trappola. C’è una bomba. Un vagone del treno salta in aria e… La storia riprende otto anni dopo. E sta a voi scoprirla.

Vi diciamo solo che Mason non ricorda nulla. Sì, proprio come Jason Bourne, il protagonista di The Bourne Identity che, citato anche da una simpatica battuta in sceneggiatura, è uno dei modelli di Citadel. Modelli che sono tanti, sono chiari, sono i più nobili. C’è ovviamente molto di Mission: Impossible, che è il riferimento più evidente; c’è, ma in misura minore, James Bond. E ci sono, accennati perché l’atmosfera è diversa, i classici di Hitchcock. Tutto questo è per dire che le ambizioni sono alte, gli standard produttivi e visivi anche. Ma Citadel, pur ispirandosi e richiamando il meglio degli spy game cinematografici, non sembra mai qualcosa di già visto, non sembra somigliare ad altre cose. Era il rischio più grande. Ed è stato evitato.

Nel caso di Citadel è il caso di parlare di un vero evento, perché alza l’asticella delle produzioni seriali e del mondo dello streaming, e inaugura una nuova formula produttiva. Anche se siamo in tv possiamo dire tranquillamente che si tratta di grande cinema. E non è un caso: a dirigere infatti ci sono i Fratelli Russo, coloro che avevano già trasformato il cinecomic della Marvel in una spy story anni Settanta con Captain America And The Winter Soldier. Il cinema di spionaggio è il loro terreno e non deludono. Ma il loro ambiente, appunto, è anche il cinecomic, il cinema di supereroi. E, come ha detto qualcuno, Citadel è questo: è un film degli Avengers, ma con le spie. Spie e supereroi, ci hanno spiegato i produttori, in fondo, sono la stessa cosa: personaggi in grado di andare oltre le nostre capacità, con doti e poteri speciali.

Tutto questo è racchiuso nei due protagonisti. Richard Madden, già uomo d’azione ne Il trono di spade, ma soprattutto in The Bodyguard, ha il physique du rôle per essere una nuova spia, anche se l’espressività, in confronto a mostri come Daniel Craig, Tom Cruise e Matt Damon, non è completamente all’altezza. Priyanka Chopra Jonas è una vera sorpresa. Sensualissima nei primi piani, con uno sguardo e delle labbra in grado di far sciogliere che guarda, è anche eccezionale nelle scene d’azione. Bernard, il loro capo, interpretato da Stanley Tucci, dice che Nadia e Mason da soli sono dei grandi agenti, ma insieme sono una bomba. Ed è vero anche per gli attori. La chimica e l’affiatamento tra i due è eccezionale.

Citadel è un evento anche per la parte produttiva. Perché da questa serie verranno tratti alcuni spin off che saranno prodotti in altre parti del mondo. Una di queste è l’Italia. E la protagonista della Citadel italiana è Matilda De Angelis. Non vediamo l’ora di vederla come una nuova, sexy e tostissima spia. Siamo appena entrati nel mondo di Citadel, allora, e crediamo che ci resteremo molto a lungo.

Crediti: Courtesy of Prime Video

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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