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Notte degli Oscar – Il cinema, piano dopo piano

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L’omaggio di TK Elevator Italia in occasione dell’evento di assegnazione delle statuette d’oro

Li abbiamo visti chiudersi tante volte troppo in fretta, proprio quando i protagonisti ne avrebbero avuto immediato bisogno, scendere troppo rapidamente, oppure bloccarsi, dando inizio a scene impreviste e, in alcuni casi, imprevedibili. Stiamo parlando degli ascensori, i sistemi di mobilità più usati al mondo, che sono stati protagonisti di tante scene cult al cinema, spesso veri e propri espedienti narrativi utilizzati per favorire un certo sviluppo della trama.

Un “luogo” a cui spesso non facciamo caso, sebbene ci passiamo, in media ogni anno, 16 ore della nostra vita, ma che, se ci fermiamo a riflettere, ci fa venire sicuramente in mente una scena cult di qualche film.

In occasione degli Oscar, TK Elevator Italia vuole celebrare il più famoso premio cinematografico selezionando alcune scene di film candidati agli Oscar nel corso dei decenni ambientate in ascensore, che hanno raccontato alcuni aspetti e l’evoluzione di questo sistema di mobilità.

A partire da uno dei modelli più antichi, quelli dotati di fune: come l’ascensore utilizzato in Batman begins (il primo della trilogia del regista Christopher Nolan), azionato con una manopola, che porta in salvo Bruce Wayne e il maggiordomo Arthur, i quali riescono a fuggire appena in tempo dalla villa che sta andando a fuoco dopo l’attacco di Ra’s al Ghul, intenzionato a distruggere Gotham. Una scena che racconta la caduta metaforica del protagonista, vivo grazie all’intervento del maggiordomo, ma anche il rapporto speciale tra i due: “Perché cadiamo signore? Per imparare a rimetterci in piedi.”, afferma il vecchio Arthur.

Un modello, quello degli ascensori a fune che risale al 1852 e da oltre 170 anni è il sistema di trazione più diffuso e utilizzato, ma che solo in tempi recenti è stato reingegnerizzato e reso ancora più sicuro ed efficiente con la trazione a cinghia.

Anche in Grand Budapest Hotel, diretto da Wes Anderson e vincitore di 4 premi Oscar, l’atmosfera retrò dell’opera ha uno dei suoi fulcri narrativi proprio nell’ascensore rosso e d

otato di addetto, quel “Lobby boy” che diventa il confidente di Monsieur Gustave H, un po’ come succedeva anche in Pretty woman, film per il quale Julia Roberts ricevette la candidatura come migliore attrice protagonista.

Questa figura professionale, che era molto comune trovare sui primi ascensori manuali, poiché era necessario attivare la leva di manovra per portare il sistema al piano desiderato, oggi rimane solo in pochi luoghi, come hotel di lusso, anche se si tratta solo di un servizio aggiuntivo “di cortesia”, in quanto i sistemi oggi utilizzati, grazie all’automazione, non necessitano obbligatoriamente di questa presenza.

Proprio grazie all’automazione e ai progressi tecnologici, in tempi più recenti sono nati anche sistemi innovativi che, grazie all’intelligenza artificiale, permettono all’utente di selezionare il piano prima di accedere all’ascensore attraverso un totem (il cosiddetto destination dispatch), e applicazioni che permettono di chiamare l’ascensore al proprio piano. Una rivoluzione tecnologica ma anche sociale, che permette di risparmiare tempo e, a volte, anche di evitare interazioni con altre persone per sapere dove si stanno dirigendo. Una situazione non possibile negli anni ’80, all’epoca di un altro film da Oscar e assolutamente iconico come Ghostbusters, nella scena in cui un anziano signore si ritrova ad attendere l’ascensore insieme ai tre protagonisti in assetto da acchiappafantasmi, ma decide di aspettare il successivo per non salire con quelli che crede siano disinfestatori.

E come non pensare alla scena di Blade Runner, ambientato in un futuristico 2019, in cui Rick Deckard (Harrison Ford) sale al 97 piano per arrivare al proprio appartamento e viene sorpreso da Rachael, che vuole capire se è un’umana o una replicante. Un ascensore sicuramente particolare dal punto di vista tecnico, con un tastierino simile a quello del telefono (ha cifre singole e si può comporre il numero del piano desiderato) e dotato di riconoscimento vocale, ma che ha anche un’altra particolarità, che riguarda la velocità di ascesa. Si può stimare che per fare 97 piani in circa 20 secondi, l’ascensore si muova a circa 75 km/h, ovvero più rapidamente dell’attuale ascensore più veloce al mondo, installato in Cina, che raggiunge i 73 km/h.

Anche il nostro Paese può contare su un impianto ascensoristico particolarmente rapido ed è quello di TK Elevator Italia che si trova a Milano, nel palazzo di Regione Lombardia: potrebbe viaggiare a 10 metri al secondo (circa 40 km/h) ma per garantire maggior comfort ai passeggeri la velocità impostata è ridotta a 8 metri al secondo (circa 30 km/h).

Non è stato invece un ammodernamento tecnologico degli ascensori, ma un’innovazione introdotta nelle cabine per il comfort dei passeggeri, a rendere più leggera una scena di dolore in È stata la mano di Dio, candidato agli Oscar come miglior film straniero. Marriettello (Lino Musella) disegna, infatti, un disegnino osceno sullo specchio dell’ascensore per risollevare in qualche modo Maria (Teresa Saponangelo), che piange nella cabina per il tradimento del marito Saverio (Toni Servillo).

L’introduzione degli specchi negli ascensori ha preso il via alla fine del XIX secolo, essenzialmente per due motivi: per dare l’impressione che lo spazio della cabina sia più ampio e per permettere ai passeggeri di riuscire a vedere cosa avviene nell’ambiente attorno a sé. Un elemento che a uno sguardo meno attento può sembrare solo decorativo, ma che ha invece una grande importanza in termini di accessibilità: permette infatti a chi si muove in carrozzina, ad esempio, di entrare ed uscire con maggiore sicurezza e facilità, soprattutto negli ascensori dove sono già presenti altri passeggeri.

“Accessorio” che, invece, caratterizzava gli ascensori di un tempo ed oggi non esiste più in Italia era il pulsante di “stop”, abolito per legge nel 1999 per motivi di sicurezza: questi tasti potevano essere facilmente abusati o utilizzati in modo non sicuro da parte dei passeggeri, causando disagi o mettendo in pericolo gli altri utenti. Proprio lo stesso anno, però, il bottone è stato utilizzato come espediente narrativo in Essere John Malkovich, altro film candidato a tre premi Oscar, con una sceneggiatura dai tratti surreali, come quello di immaginare un ufficio al settimo piano e mezzo. Raggiungibile ovviamente tramite ascensore, con l’aiuto del pulsante stop e di un piede di porco.

Proprio per garantire maggiore sicurezza, molti ascensori moderni hanno introdotto sistemi innovativi, come videochiamate di assistenza o sensori ottici per monitorare costantemente l’ascensore e rispondere prontamente a eventuali situazioni di emergenza.

Surreale, ma più che altro futuristico è, infine, uno dei più famosi ascensori della storia cinematografica e non solo: parliamo del Wonka ascensore, che ha la particolarità di muoversi in ogni direzione ed è ormai nell’immaginario di tutti. Un’idea, nata negli anni ’60 dalla fantasia di Roald Dahl e trasportato nella pellicola Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, candidata agli Oscar nel 1971, che oggi è però diventata realtà con MULTI, l’ascensore presentato da TKE nel 2017, in grado di muoversi sia in verticale che in orizzontale. Ciò è reso possibile grazie a un sistema rivoluzionario di cabine senza funi che si spostano con la trazione magnetica: una vera rivoluzione nel concetto di mobilità verticale. Per il “su e fuori”, invece, c’è ancora da lavorare…

Perché a meno di non essere Barbie, che può planare dal tetto direttamente alla macchina, come mostrato nel successo al botteghino dello scorso anno e in corsa agli Oscar di quest’anno con ben otto nomination, per ora, e sicuramente per il futuro più prossimo, l’ascensore è il miglior mezzo per andare su e giù, e in qualche caso anche di qua e di là.

Batman Begins (2005, Warner Bros.) – Diretto da Christopher Nolan, ha ricevuto una nomination agli Oscar 2006 per la migliore fotografia.

Gran Budapest Hotel (2014, 20th Century Fox) – Diretto da Wes Anderson, agli Oscar 2015 ha ricevuto 4 premi: miglior trucco e acconciatura; migliore colonna sonora originale; migliore scenografia; migliori costumi.

Pretty woman (1990, Warnes Bros.) – Diretto da Garry Marshall, ha ricevuto una nomination agli Oscar 1991 per la migliore attrice protagonista.

Ghostbuster (1984, Columbia Pictures) – Diretto da Ivan Reitman, ha ricevuto due nomination agli Oscar del 1985: migliori effetti speciali e miglior canzone.

Blade Runner (1982, Warner Bros.) – Diretto da Ridley Scott, ha ricevuto due nomination agli Oscar del 1983: migliori effetti speciali e migliore scenografia.

È stata la mano di Dio (2021, The Apartment Pictures) – Diretto da Paolo Sorrentino, ha ricevuto una nomination agli Oscar 2022 per il migliore film straniero.

Essere John Malkovich (1999, Universal Pictures) – Diretto da Spike Jonze, ha ricevuto tre nomination agli Oscar del 2000: miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice non protagonista.

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1971, Paramount Pictures) – Diretto da Mel Stuart, ha ricevuto una nomination agli Oscar 1972 per migliore colonna sonora.

Barbie (2023, Warner Bros.) – Diretto da Greta Gerwig, ha ricevuto otto candidature agli Oscar di quest’anno: miglior film; miglior attore non protagonista; miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale; miglior scenografia; migliori costumi; 2 brani candidati per la miglior canzone originale.

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Le stelle di Venezia 81: Brad Pitt e George Clooney, Tilda Swinton e Julianne Moore, Joaquin Phoenix e Lady Gaga, Angelina Jolie e Jude Law

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Il cinema è sogno, è arte, è viaggio, è cultura. Ed è anche fascino, seduzione, glamour e moda. Tutto questo si può racchiudere nei volti e nei corpi delle star, quelle che da che il cinema è nato ci prendono, ci guardano negli occhi e ci trascinano irresistibilmente dentro una storia. E allora chi comincia ad avvicinarsi all’81° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, che si svolgerà dal 28 agosto al 7 settembre 2024, non rimarrà deluso. I divi e le dive ci saranno, e ci faranno ancora una volta sognare. Al Lido arriveranno Brad Pitt e George Clooney per Wolfs – Lupi Solitari di Jon Watts, fuori concorso; Tilda Swinton e Julianne Moore per The Room Next Door di Pedro Almodóvar, Joaquin Phoenix e Lady Gaga per Joker: Folie à Deux di Todd Phillips, Angelina Jolie per Maria di Pablo Larraín, Jude Law per The Order di Justin Kurzel, Nicole Kidman e Antonio Banderas per Babygirl di Halina Reijn, Daneiel Craig per Queer di Luca Guadagnino, tutti in concorso. Il film d’apertura, fuori concorso, era già noto: è Beetlejuice Beetlejuice Tim Burton, che porterà al Lido altre star: Michael Keaton, Winona Ryder, Monica Bellucci e Jenna Ortega.

Autori internazionali in concorso: Pedro Almodóvar, Pablo Larrain, Walter Salles, Todd Phillips

Ma andiamo con ordine. Il programma di Venezia 81 è fatto di un concorso già di per sé molto ricco, variegato, sfaccettato. Iniziamo dai nomi internazionali. The Room Next Door, il primo film in lingua inglese di Pedro Almodóvar, con Tilda Swinton e Julianne Moore, è uno dei titoli più attesi. L’altro, annunciato da tempo, è Joker: Folie À Deux di Todd Phillips con Joaquin Phoenix e Lady Gaga. Maria di Pablo Larrain è dedicato a Maria Callas, con Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher nel cast. Altro grande nome è I’m Still Here del brasiliano Walter Salles con Fernanda Torres e Selton Mello. Dall’argentina arriva Kill The Jockey di Luis Ortega, un film pieno di sorprese. Sono tre i film francesi in concorso: Leurs enfants après eux, di Ludovic e Zoran Boukherma, Jouer avec le feu (The Quiet Son) di Delphine e Muriel Coulin con Vincent Lindon, e Trois amies di Emmanuel Mouret. Il cinema americano porta al lido The Brutalist di Brady Corbet con Adrien Brody e Guy Pearce, e Babygirl di Halina Reijn, un thriller erotico con Nicole Kidman e Antonio Banderas. Dal Canada arriva The Order di Justin Kurzel, con Jude Law, Nichoas Hoult e Tye Sheridan. Sono nomi meno noti, ma saranno in grado di stupirci, film come Love, di Dag Johan Haugerud, che arriva dalla Norvegia, April di Dea Kulumbegashvili, in arrivo della Georgia, e Harvest, film inglese di Athina Rachel Tsangari con Caleb Landry Jones, il protagonista di Dogman di Luc Besson. Dall’Oriente arrivano Qing Chun Gui (Youth – Homecoming) di Wang Bing, film cinese, e Stranger Eyes di Yeo Siew Hua, da Singapore.

Gli italiani in concorso: Guadagnino, Amelio, Piazza e Grassadonia, Steigerwalt, Delpero

I film italiani in concorso sono 5. Il più atteso è una coproduzione Italia-USA, ed è Queer di Luca Guadagnino, tratto dal romanzo di Burroughs, con Daniel Craig che si mette in gioco in un ruolo inconsueto. In concorso ci sarà Campo di battaglia di Gianni Amelio con Alessandro Borghi, ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, nel periodo della prima grande pandemia, la Spagnola che fece più morti della guerra. È molto atteso anche Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la storia di Matteo Messina Denaro, raccontata in maniera immaginifica e farsesca, con Elio Germano e Toni Servillo. Tra gli italiani in gara ci sono, finalmente, anche due donne. Vermiglio è diretto da Maura Delpero: è ambientato sulle Dolomiti, verso la fine della Seconda Guerra mondiale, girato con pochi attori professionisti e molti attori non professionisti. Diva futura è diretto da Giulia Louise Steigerwalt con Pietro Castellitto, Barbara Ronchi e Denise Capezza e racconta la storia di Riccardo Schicchi, che negli anni Ottanta e Novanta sconvolse l’Italia con la pornografia.

Fuori Concorso: Tim Burton, Pupi Avati, Takeshi Kitano, Harmony Korine

Come dicevamo sopra il film d’apertura, fuori concorso, è Beetlejuice Beetlejuice Tim Burton con Michael Keaton, Winona Ryder. Il film di chiusura sarà L’orto americano di Pupi Avati. Il film più atteso è Wolfs – Lupi solitari di Jon Watts, con due divi come Brad Pitt e George Clooney. Tra i film fuori concorso vedremo Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, con Francesco Gifuni e Romana Maggiora Vergano. Ci saranno Phantosmia di Lav Diaz, Broken Rage di Takeshi Kitano, Baby Invasion di Harmony Korine, Finalement di Claude Lelouche, e Se posso permettermi Capitolo II, corto di Marco Bellocchio. Nella sezione proiezioni speciali vedremo Leopardi: Il poeta dell’infinito, di Sergio Rubini, miniserie che andrà in onda su Rai 1, con Alessio Boni e Valentina Cervi, Master And Commander di Peter Weir con Russell Crowe e Paul Bettany, film del 2003, e Beauty Is Not A Sin, di Nicolas Winding Refn, corto che verrà proiettato prima della versione restaurata del suo The Pusher.

Le serie fuori concorso: Cuaron, Sorogoyen, Vinterberg e Joe Wright

Il programma dei fuori concorso propone anche quattro serie tv. Sono Disclaimer di Alfonso Cuaron con Cate Blanchett, Los Anos Nuevos di Rodrigo Sorogoyen, Familier Som Vores (Families Like Ours) di Tomas Vinterberg e M: Il figlio del secolo, tratto dal romanzo di Antonio Scurati, diretta da Joe Wright, con Luca Marinelli, una storia d’Italia dall’ascesa di Mussolini al delitto Matteotti.

Orizzonti: apre Valerio Mastandrea

Il concorso di Orizzonti sarà aperto da Nonostante di Valerio Mastandrea, storia di un uomo che trascorre serenamente le sue giornate in ospedale senza troppe preoccupazioni, ma sarà scosso da un nuovo arrivo. In concorso ci sono Familia di Francesco Constabile, sulla vicenda autentica di una famiglia vittima di un padre violento, con Barbara Ronchi e Francesco Di Leva, e Diciannove di Giovanni Tortorici, storia di un ragazzo che fa fatica a trovare il suo posto nel mondo di oggi e trova conforto nella letteratura medievale e nella musica antica. In Orizzonti Extra saranno presentati Vittoria, di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, prodotto da Nanni Moretti, storia di una coppia che vuole adottare una bambina avendo già tre figli maschi, e la La storia del Frank e della Nina di Paola Randi, un racconto pop su dei ragazzi diversi dagli altri. In Orizzonti Corti, fuori concorso, ecco F II – Lo stupore del mondo, l’ultimo lavoro di Alessandro Rak dedicato a Ferdinando II di Borbone. Attenzione al film d’apertura di Orizzonti Extra, September 5, di Tim Fehlbaum, con Peter Saarsgard, Ben Chaplin e Leonie Benesch, storia di come l’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 venne ripreso da una tv americana.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna: Scarlett Johansson è la donna che vendette la Luna

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“Voglio la Luna”, è una di quelle espressioni che si usano per dire “voglio l’impossibile”. Eppure, nella storia di Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna, deliziosa commedia con Scarlett Johansson e Channing Tatum, al cinema dal 11 luglio distribuita da Eagle Pictures, ,la Luna è da intendere in senso letterale. È la storia, immaginaria ma con qualche fondo di verità di Kelly Jones, la donna che fu chiamata dalla NASA per “vendere la Luna”. Era la fine degli anni Sessanta, era passato qualche anno dal discorso di Kennedy che prometteva che l’uomo – cioè l’America – sarebbe arrivato sulla Luna, e nel frattempo erano successe molte cose. Una su tutte, la sanguinosa guerra in Vietnam. Così gli americani si erano disamorati della corsa allo spazio. E ci voleva lei, Kelly Jones, una pubblicitaria di New York, per farli innamorare di nuovo della Luna. Fly Me To The Moon racconta tutto questo con la forma di un film che è allo stesso tempo commedia romantica e satira, commedia di costume e (immaginaria) ricostruzione storica.

Fly Me To The Moon immagina che per rilanciare l’immagine pubblica della NASA, venga assunta Kelly Jones (Scarlett Johansson), ragazza prodigio del marketing. La NASA e la corsa alla Luna sono in calo di popolarità, i finanziamenti rischiano di essere ridotti e così Kelly si troverà proprio a dover vendere la Luna agli americani. Si scontrerà con Cole Davis (Channing Tatum), direttore del programma di lancio. E, quando la Casa Bianca ritiene che la missione sia troppo importante per fallire, si troverà a girare un film, un finto sbarco sulla Luna come piano di riserva. A girarlo, con lei, ci sarà “il Kubrick dei pubblicitari”, un eccentrico regista.

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Fly Me To The Moon è un viaggio a ritroso nell’America degli anni Sessanta, con quegli inconfondibili diner e le loro luci al neon, con le spiagge e la musica soul. Un’America che stava perdendo la sua innocenza, ma non l’aveva ancora persa del tutto, comunque molto diversa da quella di oggi. Un luogo dove girare un finto allunaggio – una leggenda metropolitana che dura da allora ed è arrivata fino ad oggi – poteva anche sembrare in fondo un peccato veniale. Un’America, ci suggerisce il film, che era una nazione fondata sulla pubblicità, cioè sulla vendita di sogni. E, in fondo, non è sempre stata una nazione basta su questo, sulla vendita del sogno di una terra promessa, di un luogo dove iniziare una nuova vita da zero, di una seconda possibilità? Horizon – An American Saga, il nuovo film di Kevin Costner, parla proprio di questo.

Per questo Fly Me To The Moon è una satira, una commedia di costume e una commedia sentimentale. Tra Kelly e Cole c’è il classico gioco dei film della Guerra dei Sessi anni Quaranta, quello tra due persone che si detestano ma si attraggono. Un gioco al quale i corpi e i volti dei due attori si adattano benissimo.  I due sono dei personaggi esemplari: il Cole di Channing Tatum, è un astronauta che non potrà mai volare. È un uomo con problemi di cuore, letteralmente, visto che soffre di una fibrillazione atriale. Tatum porta nel film quel suo mix di forza e tenerezza, il fisico imponente e l’espressione da cucciolo che piace tanto alle donne.

Kelly è una venditrice, una pubblicitaria, un’attrice. E forse tutte e tre le cose, in fondo, sono la stessa. Kelly è bravissima nell’interagire con il suo interlocutore e vendergli la persona che ognuno vuole incontrare, dire quello che vogliono sentirsi dire. E così Scarlett Johansson è bravissima. Il suo ruolo in Fly Me To The Moo, è quello dell’attrice nell’attrice: interpreta un personaggio che a sua volta ogni volta recita una parte e quindi entra in altri personaggi.

Le labbra carnose e rosse, lo sguardo sognante rivolto all’insù, verso il cielo, verso la Luna: Scarlett Johansson è perfetta. Era un po’ che non la vedevamo, ed è tornata. È ancora bellissima, ma è anche diversa dall’attrice che avevamo visto in Lost In Translation o Una canzone per Bobby Long. La sua oggi è una sensualità più matura, è un fascino più intellettuale che fisico, più di testa che nel corpo. Pur in un corpo ancora bellissimo e in un viso altamente espressivo.

“Non dobbiamo mandare queste cose nello spazio, ma solo dirlo”. “Dobbiamo mentire?” “No, dobbiamo vendere”. Fly Me To The Moon è anche una riflessione sul mondo della pubblicità e, più in generale, sul mondo della comunicazione e delle immagini. Sul cinema, mondo che, come nessun altro, è in grado di creare i sogni, o, se volete, di ricreare la realtà. E anche sulla tv. Nella storia immaginata dal film, è di Kelly l’idea di portare una telecamera per la trasmissione in diretta dello sbarco, facendo diventare quel momento memorabile. Si dice che una cosa non esiste se non va in tv. E spesso è vero. Con quella diretta lo sbarco sulla Luna è diventato tangibile, reale. Se fosse stato girato da Kubrick forse sarebbe stato più bello. Ma è giusto che, ad andare in onda, sia stato quello vero.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Nelle sale cinematografiche torna il primo film rimasterizzato di Lupin III

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Si apre la nuova Stagione Anime al Cinema grazie ad un progetto esclusivo di Nexo Digital. Da oltre 45 anni infatti, c’è la figura del manga di Lupin III che insegna a chi legge il fumetto o vede la trasposizione cinematografica , cosa significhi vivere la propria vita contando sugli amici e inseguendo il vero amore anche se è nipoti di un celebre ladro internazionale da cui si è ereditato l’amore per il furto ed alle prese con la giustizia. Quale occasione migliore che rivederlo al cinema dopo 45 anni? Al cinema quindi, per le sole giornate del 24,25 e 26 Giugno torna il primo lungometraggio dedicato all’incorreggibile ladro che soffre il solletico Lupin III, ne “Lupin III e la pietra della saggezza” di Soji Yoshikawa, con il doppiaggio originale del 1979.
45 anni che separano questa dalla prima proiezione cinematografica ma che grazie a Nexodigital e Yamato Video,  offre al pubblico dei fan , una versione restaurata in 4K, rendendo il mondo di Lupin III è più vivo che mai. Lo dimostra anche l’allestimento di una piccola mostra di una collezione privata proposta in esclusiva “pop up memorabilia exhibition”, visitabile gratuitamente dal 18 al 29 Giugno, presso gli spazi della Yamato Video a Milano che oltre a significare la tecnica “animevision” in un formato , il widescreen che segnò l’inizio della nuova era della animazione (nelle teche della mostra 3 negativi della pellicola),  ospita nelle teche anche Props originali legati al film. Come recita il comunicato stampa: “uscito in Giappone nel 1978 e sceneggiato da Monkey Punch, Atsushi Yamatoya E Sôji Yoshikawa, il film torna al cinema con lo storico doppiaggio con cui fu presentato nelle sale italiane nel 1979 e con la mitica sigla originale Planet O scritta da Norbert Cohen e composta da Farouk Safi e Sharon Woods, cantata in inglese da Daisy Daze and the Bumble Bees. Usata come sigla d’apertura e chiusura prima del 1987, Planet O presenta un testo fantascientifico non inerente alla serie, ma presumibilmente ispirato al romanzo erotico Histoire d’O. Dal 2004 è stata usata come sigla di chiusura nell’ambito della messa in onda della serie col primo doppiaggio.
La trama di LUPIN III – LA PIETRA DELLA SAGGEZZA prende il via con l’ispettore Zenigata che viene informato del fatto che il suo acerrimo nemico Lupin III è stato giustiziato. Nel frattempo, anche Lupin apprende la notizia. Così, quando entrambi si recano in Transilvania per indagare, si accorgono che il defunto è un sosia perfetto del famoso ladro. La vicenda si sposta quindi in Egitto dove Lupin III ruba dalla piramide di un faraone una misteriosa pietra, detta la Pietra del Saggio, portandola con sé a Parigi[…]”. Un modo insomma per rivedere da adulti un cartone animato che ha segnato un’epoca, comprenderne meglio i valori di fondo e condividerlo con i più giovani facendone comprendere anche la portata sociale di quegli anni. Basti pensare alla sigla finale del cartone animato andato in onda per una visione per bambini quando in realtà era un manga da adulti nella versione originale e  forse per questo per la sigla finale andata in onda in televisione in quegli anni, la canzone scelta fu la celebre “planet o”.
Distribuito in collaborazione coi media partner Radio Deejay, MYmovies.it, Lucca Comics&Games e ANIME GENERATION sarà presente nelle sale di tutta Italia.
di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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