Eventi
Yayoi Kusama Infinito Presente – Bergamo Palazzo della Ragione
Yayoi Kusama
Infinito Presente
La mostra ospita Fireflies on the Water, una delle Infinity Mirror Room più iconiche dell’artista più popolare al mondo.
Esposta per la prima volta in Italia, l’opera proviene dalla collezione permanente del Whitney Museum of American Art di New York.
A cura di Stefano Raimondi
Dal 17 novembre 2023 al 24 marzo 2024, Palazzo della Ragione a Bergamo è teatro di una straordinaria operazione artistica e culturale.
Uno dei più antichi palazzi comunali d’Italia accoglie la mostra di Yayoi Kusama (Matsumoto, Giappone, 1929), l’artista più popolare al mondo, secondo un sondaggio condotto dalla rivista The Art Newspaper, che porta nel cuore della città orobica Fireflies on the Water una delle sue Infinity Mirror Room più iconiche, proveniente dalla collezione del Whitney Museum of American Art di New York.
L’evento, promosso da The Blank Contemporary Art in intesa culturale con il Comune di Bergamo, si svolge in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 ed è parte del programma del Festival di Arte Contemporanea ARTDATE, organizzato da The Blank e Palazzo Monti in corso fino al 26 novembre nelle città di Bergamo e Brescia.
“È una mostra straordinaria sotto molti punti di vista – afferma il curatore Stefano Raimondi, fondatore e direttore di The Blank Contemporary Art, che ha richiesto un impegno e un approccio non comuni, diventando mese dopo mese un appuntamento attesissimo, capace di arrivare a milioni di persone. Una iniziativa resa possibile dai rapporti internazionali con il Whitney Museum of American Art, uno dei principali musei al mondo, che per la prima volta nella sua storia ha prestato l’opera a una realtà non museale, e dal fitto dialogo con lo studio di Yayoi Kusama con cui si è creato un rapporto di grande collaborazione”.
“È importante vedere come due realtà internazionali tanto prestigiose abbiano riconosciuto il valore e la qualità di quanto The Blank ha costruito attraverso le idee in un percorso lungo tredici anni – prosegue Stefano Raimondi. Yayoi Kusama è un’artista amata in modo trasversale da più generazioni e pubblici, capace di meravigliare e stupire, e l’opera Fireflies on the Water è sicuramente la più adatta a sottolineare le tematiche che accompagnano Bergamo Brescia nell’anno della Capitale Italiana della Cultura, che affrontano i temi della resilienza e della cura, per aprirsi infine a una nuova dimensione piena di luce, energia e a sconfinate possibilità”.
“Bergamo dà il suo benvenuto a Yayoi Kusama, artista tra le più iconiche di questa nostra epoca e la accoglie in Palazzo della Ragione, uno dei luoghi più emblematici e ricchi di storia di Città Alta – dichiara Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo – Per quattro mesi, la sua Infinity Mirror Room sarà una delle attrazioni di arte contemporanea più attese che sta già richiamando numerosi visitatori da ogni parte d’Italia. L’installazione arricchisce di prestigio il già importante programma di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura che come amministrazione ci vede entusiasticamente coinvolti.
La collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York, da cui proviene questa opera, conferma quanto Bergamo sia da tempo riuscita, grazie al grande lavoro di The Blank, di Stefano Raimondi e di altri soggetti di rilievo, a ritagliarsi una solida credibilità a livello globale di promotore e valorizzatore dell’arte contemporanea. Un compito che la città continuerà a perseguire e a sviluppare anche quando i riflettori dell’anno della cultura si saranno spenti.”
“La scelta, da parte di una istituzione importante come il Whitney Museum di New York, di concedere un prestito di questo rilievo – ricorda Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura del Comune di Bergamo – trasmette il valore del percorso che Bergamo ha intrapreso da diversi anni nell’ambito dell’arte contemporanea. Documenta, allo stesso tempo, il cammino fatto da The Blank, una realtà del territorio che è diventata un interlocutore culturale credibile e conosciuto a livello internazionale, un attore capace di promuovere la città e la comunità. La potenza di questa mostra, e la grande attesa che ha creato nel pubblico, è dimostrata dai continui sold out delle prevendite che ha portato prima ad allargare a fasce serali gli orari di apertura e, successivamente, a prorogare la mostra fino a marzo. Sarà una grande esperienza, per i nostri cittadini e per i tanti che hanno già prenotato da fuori città, che darà ancora più prestigio alla nostra Capitale”.
La rassegna, con un allestimento curato da Maria Marzia Minelli, si snoda lungo un itinerario che approfondisce la ricerca di Yayoi Kusama attraverso poesie, filmati, libri e documentazioni, creando infine uno spazio di condivisione fisica dell’esperienza vissuta e permettendo di entrare da più punti di vista nell’immaginario della celebre artista giapponese.
Il fulcro della mostra è Fireflies on the Water, una installazione dalle dimensioni di una stanza pensata per essere vista in solitudine, una persona alla volta.
L’opera consiste in un ambiente buio, le cui pareti sono rivestite di specchi; al centro, si trova una pozza d’acqua, che trasmette un senso di quiete, in cui sporge una piattaforma panoramica simile a un molo e 150 piccole luci appese al soffitto che, come suggerisce il titolo, sembrano lucciole.
Questi elementi creano un effetto abbagliante di luce diretta e riflessa, emanata sia dagli specchi che dalla superficie dell’acqua. Lo spazio appare infinito, senza cima né fondo, inizio né fine. Come nelle prime installazioni di Yayoi Kusama, tra cui l’Infinity Mirror Room (1965), Fireflies on the Water incarna un approccio quasi allucinatorio alla realtà. Sebbene legato alla mitologia personale dell’artista e al processo di lavoro terapeutico, quest’opera si riferisce anche a fonti varie come il mito di Narciso.
Il luogo che accoglie l’installazione è ovattato nelle luci e nei suoni e l’arrivo alle soglie della stanza ha la valenza di un atto meditativo, di una contemplazione capace di portare il pubblico in una dimensione altra e diversa, un invito ad abbandonare il senso di sé e ad arrendersi a una sorta di magia meditativa.
Grazie al progetto The Blank LISten Project la mostra Yayoi Kusama. Infinito Presente è completamente accessibile alle persone sorde.
Accompagna l’esposizione un catalogo esclusivo, realizzato e pubblicato da Skira.
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PoliArt Contemporary di Milano ha presentato L’ABITO DELL’ARTE, durante la Milano Fashion Week questo Settembre 2024 in Viale Gran Sasso 35, con la quinta mostra di Giovanni Lombardini negli spazi della galleria milanese.
La mostra in collaborazione con MP Moda International Fashion School dove i giovani designers si sono ispirati dalla ricerca dell’artista riminese, esponendo ciascuno il proprio corrispettivo. Tra i designer , anche Flaminia Lamborghini che ha presentato un suo look.Tanti sono stati gli ospiti da Saverio Palatella, stilista internazionale riconosciuto per il suo talento nella maglieria a Roberta Tagliavini di RobertaeBasta esperta d’arte e personaggio Tv e molti altri.
MP Moda International Fashion School ha voluto in questo modo segnare in modo tangibile l’attinenza della moda con l’arte, due mondi che si parlano in continuazione e incidono profondamente, nella formazione dei giovani designers per cultura ed ispirazione e che continueranno ad ispirare nella loro carriera professionale.
Tutto questo vive in chi ha il coraggio di aprire veramente gli occhi davanti a loro. Perché ogni opera di Lombardini ha un proprio sguardo, coincidente con l’altro sguardo, sempre invitato ad entrare.
L’Abito dell’arte è proprio questa reciproca e possibile fusione, che l’esperienza artistica, antica o moderna, pone come proprio segreto visibile alla storia e all’intessersi delle sue epoche. L’abito è anche un “io abito”, un ubi consistam: abitare, abitarsi, abitare sé stessi per imparare a crearsi.
Eppure l’abito è anche ciò che da sempre donne e uomini indossano, troppo spesso purtroppo perdendosi in vacue superficialità. In questa mostra, per i giovani designers invitati, L’Abito dell’arte è il tentativo di trasfondere negli abiti un lavoro su di sé e con sé, cui l’arte di Lombardini sempre allude, perché l’abito può essere il luogo, il primo luogo, in cui realizzare l’altro modo dello specchiarsi: l’esemplarità. Non si tratta quindi di una mera riproduzione di stilemi su tessuti, ma del tentativo di un vero e proprio intessersi della vita e dell’arte nell’esperienza creativa dei giovani designers, che sono il primo immediato accesso all’altro specchio, quello del futuro.
Per questi motivi la PoliArt Contemporary ha accolto con grande interesse la proposta di MP Moda International Fashion School.
Il ventennale sodalizio tra la PoliArt Contemporary e Lombardini ha prodotto numerose esposizioni pubbliche e private, occasioni di approfondimento di una tra le poetiche più interessanti del panorama contemporaneo. Oltre alle mostre tematiche in galleria, sia a Milano che nella succursale roveretana della PoliArt (dal 2013 al 2018), dedicate a diversi cicli creativi dell’artista, la PoliArt Contemporary ha promosso esposizioni pubbliche, come la mostra antologica 99>11 Verso il Colore, al Museo della Città di Rimini nel 2011 e la mostra Lucio Fontana. La sua lunga ombra, quelle tracce non cancellate, del 2019, in cui sono presenti le opere di Lombardini come esempi di una ricerca che fonde pittura e oggetto (entrambe a cura di Leonardo Conti).
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Una mostra in cui rivivere luoghi e vicende, scoprire nomi ed emozioni, svelare aneddoti e segreti di un momento destinato a cambiare un’epoca intera. Un’occasione eccezionale, per ripercorrere uno fra gli eventi più memorabili del ventesimo secolo.
Benvenuti in Titanic: An Immersive Voyage. A Milano, dal 7 agosto, l’Exhibition Hub Art Center di Milano a Scalo Farini ospita un indimenticabile esposizione sulla grande avventura del Titanic, una co-produzione di Exhibition Hub e Fever con il Patrocinio del Comune di Milano, Municipio 9. Non solo una straordinaria esperienza multimediale immersiva, ma un vero e proprio viaggio nel tempo: fra impattanti riproduzioni sceniche, oggetti autentici, memorabilia e visioni tridimensionali a bordo di quella che fu definita la nave più grande del mondo, soprannominata “l’inaffondabile”.
Da oltre 112 anni, questo universo giace a quasi quattromila metri di profondità… ma anche nell’immaginario collettivo d’intere generazioni. Perché questa storia non ha mai smesso di affascinare persone di ogni parte del globo, fra innumerevoli film e documentari, conquistando il cuore di chi mai potrà dimenticare il celebre colossal hollywoodiano di James Cameron del 1997.
A bordo avrebbe potuto trovarsi proprio chiunque: anche noi. Come dimostrano gli oltre 300 oggetti d’uso comune provenienti da alcune fra le più note collezioni del mondo, recuperati dal Titanic e dalle sue due navi gemelle, l’Olympic e il Britannic.
Fra gli stupefacenti reperti in mostra si ammirano documenti della costruzione del Titanic, ma anche i biglietti d’imbarco della White Star Line, sua società di navigazione: oggi, per un posto in prima classe, si sarebbero spesi circa 60mila euro.
E poi oggettistica dell’equipaggio (dal cappello del capitano a uniformi e accessori dei marinai) fino a splendidi elementi del noto Scalone centrale, come uno degli angeli decorativi ispirati alla reggia di Versailles.
Seguono preziose suppellettili delle sale da pranzo e parti del relitto individuate dalla Nave Minia che, incaricata di trovare i dispersi, recuperò molte parti di legno degli arredi, compresi gli scalini dello Scalone centrale.
Splendida la selezione dei raffinati arredi delle camere, esemplari anche nella terza classe. Fondamentali per comprendere la perfetta estetica di questo Grand Hotel galleggiante, ma anche la moda dell’epoca: rappresentata proprio come indossata dalle signore sul Titanic e sapientemente ricostruita nel film di James Cameron del quale, in collezione, si ammirano accessori e oggetti di scena. Immancabile una delle copie usate nel film del “Cuore dell’oceano”, indimenticabile gioiello della protagonista Rose. Presente anche una selezione di scarpe e accessori della stessa protagonista e altri personaggi (come la t-shirt bianca di Leonardo DiCaprio/Jack) e altro merchandising.
Di struggente intensità, anche i tanti reperti che illustrano storie intime e personali. Fra le lettere, quella di Thomas Andrews, capo progettista a bordo nel viaggio inaugurale, scritta alla moglie e alla sua bambina.
Si prosegue così fra le 13 sale dedicate a ogni sfumatura di quello che, a inizio Novecento, fu concepito come un miracolo di meccanica, lusso e tecnologia. Chi, ancora oggi, non vorrebbe provare l’esperienza di poter salpare a bordo di quell’autentica meraviglia? Con Titanic: An Immersive Voyage, questa fantasia diventa realtà.
Muniti dello stesso biglietto di allora si parte verso un viaggio fatto di emozioni, per conoscere una storia che rappresentò un’epoca caratterizzata da grandi promesse euforie ed entusiasmo verso il futuro.
Dotazione necessaria: sincera curiosità e attrazione per fatti dall’aura leggendaria, che finiranno per cambiare il mondo per scoprire tutto ciò che accadde prima, durante e dopo l’irreparabile impatto, fin dalla costruzione del titanico transatlantico. Un’immedesimazione in ciò che oltre 2.240 persone ammirarono al tempo, attraverso ricostruzioni scenografiche degli ambiziosi lussi e delle più moderne soluzioni volute dalla White Star Line per il suo RMS Titanic.
Qualche esempio? Dalle cabine da “Grand Hotel” della prima classe, allo splendido “Veranda Cafè”, realizzato in legno e illuminato da luce naturale. O il ristorante “…à la carte”, curato dall’italiano Luigi Gatti e interamente condotto da personale italiano. E poi un gioiello di design come il maestoso Scalone creato per attraversare ben sei ponti. Arrivando poi alla “sala dei marconisti”, attrezzata per i collegamenti radio dalla quale, poco dopo la mezzanotte del 15 aprile, venne lanciata la fatale chiamata di emergenza.
Per rendere questo viaggio davvero indimenticabile, un percorso multimediale permette di calarsi letteralmente nelle profondità di questa storia. Scoprendo l’iceberg dalla sua formazione (iniziata circa 100.000 anni fa) alla fatale collisione, riproducendo i concitati attimi del disastroso incidente attraverso i drammatici messaggi che furono scambiati: racconti e dialoghi di quello che, invece di un film, fu tragica realtà.
Proiezioni e riproduzioni in 3D condurranno ogni visitatore a vivere le atmosfere di ogni momento, assistendo agli ultimi attimi di vita del Titanic da una scialuppa di salvataggio, per poi immergersi a bordo di un sommergibile virtuale e scoprire il relitto dell’RMS Titanic così come si mostra oggi sul fondo dell’oceano.
In questa mostra ora approdata in Europa, che per il proprio debutto sceglie l’Italia, sarà ancora più facile comprendere come ad affondare quel sogno fu una pura fatalità, non certo un incidente meccanico o un errore di progettazione.
Quello del Titanic fu infatti un sogno realizzatosi per ignari passeggeri di ogni classe e ceto sociale. Una cosa è certa: con Titanic: An Immersive Voyage sarà possibile scoprire avvertimenti ignorati, bizzarre casualità e decisioni improvvise che portarono a una fra le più sconvolgenti tragedie di tutti i tempi. Questa volta non al cinema o sul divano di casa, ma da veri e propri protagonisti.
L’attività intrapresa da Exhibition Hub e Fever presso Lampo Scalo Farini prosegue con questa nuova grande esposizione dopo lo straordinario successo della mostra multimediale Van Gogh – The Immersive Experience, dedicata al grande maestro olandese. La mostra, conclusa lo scorso 7 luglio, ha appassionato Milano registrando la cifra record di oltre 400.000 visitatori. Un risultato straordinario che è stato ottenuto anche grazie alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale e in particolare del Municipio 9.
Per ulteriori informazioni e per l’acquisto dei biglietti, ora già disponibili, è possibile visitare il sito web ufficiale della mostra “Titanic: An Immersive Voyage”
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Eventi
Talia Chetrit Gut – Galleria 10·Corso·Como
Published
3 settimane agoon
17 Settembre 2024By
DailyMood.it10·Corso·Como presenta Gut, la più ampia mostra personale sino a ora dedicata al lavoro dell’artista statunitense Talia Chetrit.
Talia Chetrit fa un uso schietto eppure ricco di sfumature dell’obiettivo fotografico, attingendo alla storia della fotografia mentre solleva interrogativi intorno ai temi della rappresentazione del sé, della sessualità e delle dinamiche di potere. Le sue immagini – tanto poetiche e provocatorie quanto attentamente elaborate – combinano intensità emotiva e qualità compositive: sono un esercizio critico su cosa significhi guardare un’immagine e su cosa si provi nel mettersi in posa per l’obiettivo, un’indagine sulle implicazioni formali del gesto di inquadrare e sulle dinamiche psicologiche che emergono quando diventiamo il soggetto dell’inquadratura.
Autoritratti, scene familiari, nature morte e fotografia di strada; nessun soggetto è escluso dalla pratica artistica di Chetrit, che si interroga sull’attuale validità dei “generi fotografici”, infondendo nelle immagini il candore della fragilità e il senso della provocazione. Il titolo della mostra suggerisce la molteplicità di significati che la parola “gut” evoca in inglese: oltre al suo significato letterale, la parola incarna metaforicamente idee di coraggio o di sfrontatezza, oppure indica una reazione emotiva viscerale o un istinto. In questo senso il titolo riflette la molteplicità di temi formali ed esistenziali che le opere contengono.
In quest’occasione, l’artista riunisce opere realizzate nell’arco di trent’anni, dal 1994 al 2023, ponendo in dialogo momenti differenti della sua ricerca artistica e della sua vita. Scatti recenti si affiancano a fotografie realizzate a metà degli anni Novanta – come Logo (1996/2017) e Face #1 (1994/2017) – in cui Chetrit, allora adolescente, ritrae le sue amiche d’infanzia. Qui i soggetti mostrano una profonda consapevolezza di essere osservati dall’obiettivo e, nonostante l’età, instaurano con la macchina fotografica un dialogo chiaro e intenzionale, con gesti e posture presi in prestito dalle riviste di moda, dal cinema e dalla televisione. Un’altra opera degli esordi, Murder Picture #3 (1997/2017), raffigura un’amica dell’artista mentre posa come vittima di un omicidio in quello che sembra essere un vagone della metropolitana. C’è dell’audacia e della tenerezza in quest’immagine, che ci mostra le sperimentazioni giovanili di una ragazza appena quindicenne ma in grado di citare un’opera seminale come gli Untitled Film Stills (1977-1980) di Cindy Sherman mentre esplora la fascinazione della nostra società per la violenza e il voyeurismo insito nelle fotografie di cronaca nera.
Ricontestualizzare foto scattate quasi trent’anni fa – quando la fotografia era poco più che una passione amatoriale per l’artista – corrisponde al tentativo di “appiattire il tempo.” Se consideriamo il tempo come il materiale per eccellenza della fotografia, questo gesto assume un doppio significato: da una parte sottolinea come, in quanto esseri umani, noi esistiamo nel tempo; dall’altra evidenzia come manifestiamo i continui mutamenti delle nostre sensibilità attraverso forme storicamente determinate, come la moda.
Il precoce interesse di Chetrit per la rappresentazione e l’auto-espressione dei soggetti femminili prosegue e si consolida in opere successive come gli autoritratti Untitled (Body) del 2018 e Self-portrait (Mesh Layer) del 2019. Un misto di messa in scena, esibizionismo e auto-parodia contraddistingue questi scatti dalla natura inafferrabile, in cui l’artista espone il proprio corpo seminudo. Puntando l’obiettivo su di sé, Chetrit appare nelle sembianze di un mimo improvvisato o mentre posa come musa di se stessa. In queste opere, sospese tra intimità ed eccesso, coesistono auto-riflessione e commento sociale: più l’artista mostra il proprio corpo più acutamente sfida le forme tradizionali di rappresentazione della femminilità, incoraggiando chi guarda a mettere in discussione la propria posizione e i preconcetti su come le donne esistono all’interno della produzione contemporanea di immagini.
Le relazioni famigliari hanno un ruolo centrale nella mostra, che include ritratti di ciascun membro della famiglia dell’artista: la madre – in opere come Mom (Ball) del 2022 e Ash (2021) -, il padre in Dad/Mesh (2021), il compagno e il figlio, che vediamo insieme in Untitled (Family #2) del 2021 o ritratti individualmente, come in Cat Boot Baby (2021) e Back (2016). Con un’ironia a tratti corrosiva, Chetrit smantella gli stereotipi famigliari, facendone emergere contraddizioni e incongruenze, usando il linguaggio della moda per stimolare una riflessione su come leggiamo le immagini. Sebbene Chetrit abbia realizzato campagne fotografiche per marchi di moda come Celine, Phoebe Philo e Acne Studios, nei suoi scatti artistici la moda emerga in filigrana, come uno degli elementi della sua ricerca sulle convenzioni sociali.
Le immagini di Talia Chetrit occupano uno spazio e un tempo difficili da definire: possiedono l’immediatezza di un’istantanea e la qualità un po’ sbiadita di un momento di vita fissato sulla pellicola, eppure di fronte ad esse abbiamo la sensazione di qualcosa che è stato attentamente pianificato, di una tensione verso gli aspetti compositivi e narrativi delle immagini, che l’artista esalta attraverso una precisa coreografia di pose e accessori.
Quella di Chetrit è un’arte della vicinanza estrema e di un’altrettanto radicale distanza. Accanto a fotografie che sono tanto intime quanto provocatorie troviamo anche vedute urbane realizzate con l’uso di un obiettivo telescopico: qui i soggetti, ritratti da lontano, sono anonimi e sfocati mentre l’artista – contrariamente a quanto accade con il resto della sua opera – non mostra alcuna connessione emotiva con lo svolgersi degli eventi, che osserva a distanza.
All’interno di questa gamma di sentimenti che spaziano dall’intimità al distacco, troviamo infine le nature morte, composizioni in cui gli oggetti sono investiti di una sorta di tensione psicologica. Il drammatico gioco di luci e ombre in un’opera come Angels (1995-2022) insinua un’idea antiquata e cinematografica di amore, attrazione e conflitto, come pure Rubber Nipple (2021) evoca il tema della genitorialità al di là di certe semplificazioni: in questa immagine la tettarella, cui il titolo fa riferimento, diventa una presenza misteriosa, un oggetto luminescente immerso nel buio. L’atmosfera malinconica di Studio Chair (2018), infine, suggerisce il legame tra seduzione e assenza.
Il lavoro di Talia Chetrit è ricco di contraddizioni che abbraccia e esplora, giocando con la finzione e, a volte, apparendo ingannevolmente diaristico. Ciascuna di queste opere ci invita a riflettere sulla natura sfaccettata delle relazioni umane e sui modi in cui i rapporti sono plasmati, omologati e perpetuati attraverso il dominio della rappresentazione.
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