Serie TV
And Just Like That… : C’era una volta Sex and The City. Ma le ragazze sono sempre loro
I Beatles si erano sciolti prima, ma senza John Lennon non sarebbero potuti comunque essere i Beatles. I Queen si chiamano ancora così, ma senza Freddie Mercury sappiamo che non sono i Queen. Le ragazze di Sex And The City, senza Samantha, possono ancora essere le ragazze di Sex And The City? Ci siamo avvicinati con questa domanda, e anche con la presunzione di sapere già la risposta, alla serie tv And Just Like That…, il nuovo capitolo della rivoluzionaria serie tv Sex and the City del produttore esecutivo Michael Patrick King. I primi due episodi della serie, in versione originale con sottotitoli in italiano, sono disponibili dal 9 dicembre on demand su Sky e in streaming su NOW. Sabato 11 dicembre andranno in prima serata su Sky Serie, mentre il sabato successivo, 18 dicembre, partirà la versione doppiata in italiano. Da presuntuosi credevamo di sapere la risposta: senza Samantha non avrebbe funzionato. E invece ci sbagliavamo. La nuova serie è sorprendente, emozionante, intensa.
Carrie (Sarah Jessica Parker), Miranda (Cynthia Nixon) e Charlotte (Kristin Davis) si incontrano, com’è loro costume, a pranzo in un locale di New York. Una conoscente chiede subito a loro di Samantha (il personaggio interpretato da Kim Cattrall) e abbiamo subito la risposta: è a Londra, è lì per lavoro, e capiamo che lei e Carrie ormai si sentono poco. Le trentenni sulla cresta dell’onda che abbiamo conosciuto e amato ormai hanno passato i cinquant’anni. Ma anche noi, se non li abbiamo, ci siamo comunque vicini. E allora ci sentiamo in sintonia con loro in maniera piuttosto naturale. Miranda ha i capelli grigi. Alle sue amiche, e anche a noi, il rosso manca. Ma lei ci tiene a farci sapere che ci sono cose più importanti nel mondo che sembrare giovani. Miranda si occupa di diritti umani, e il suo look è coerente con la sua attività. Carrie è una delle protagoniste di un podcast in cui si parla di differenze di genere. Charlotte ha due figlie ormai adolescenti, o preadolescenti, porta loro a casa dei bellissimi vestiti di Oscar De La Renta e una delle due non vuole metterlo. “È carino” dice Charlotte. “Definisci carino” risponde la figlia.
And Just Like That… non può avere l’impatto che aveva avuto Sex And The City 25 anni fa, ma non è questo che deve avere oggi. La storia della tivù l’ha cambiata già una volta. La nuova serie serve a riannodare dei fili, a farci ritrovare delle vecchie amiche. Le adoravamo 25 anni fa e le adoravamo ancora. Le ragazze sono sempre loro (in questo senso sono molto più “loro” che nei due film che erano usciti al cinema), hanno qualche anno in più, ma se li portano bene. Sono cambiate, ma com’è nell’ordine delle cose. Una delle cose più importanti che ha questa nuova serie è farci sentire, soppesare, provare sulla nostra pelle il valore del tempo. Il tempo lascia segni sul volto, sui capelli, sul corpo. Ma anche sulle nostre abitudini e sulle nostre priorità. Come si cambia, diceva quella canzone. Non si esce ogni sera, non si è ossessionati dalle conquiste. Ci sono i figli, i compagni, c’è ovviamente il lavoro. Ci sono questioni importanti, che oggi sono salite alla ribalta: le discriminazioni, quelle razziali soprattutto, ma anche quelle di genere. C’è tutto questo, un nuovo senso della vita, ma le stesse personalità e anche lo stile. Le scarpe, le Manolo Blahnik, comunque ci sono. C’è il mutuo aiuto tra amiche che fa portare del vino rosso a un saggio di musica di bambini che si preannuncia noiosissimo (alla fine non lo sarà, ma intanto il vino c’è). Vediamo due ragazzi fare sesso sfrenato, e rumoroso. Ma sono il figlio di Miranda e la sua ragazza. E allora capisci che il tempo è passato.
La svolta narrativa, totalmente improvvisa, che arriva alla fine dell’episodio 1, porta And Just Like That… da un’altra parte ancora rispetto a quello che, durante tutto l’incipit, avevamo immaginato. I toni possono farsi ancora più cupi, dolorosi. Il tempo, forse l’entità con cui più dobbiamo venire a patti, più che sfidarlo, nella nostra vita, si fa sentire ancora più forte. Aver perso e aver ritrovate le ragazze, i personaggi che invecchiano sullo schermo insieme ai loro attori, porta la nuova serie dalle parti di quelle opere in cui il tempo scorre al cinema come nella vita. Come nel cinema di Truffaut con il suo Antoine Doinel che, da I 400 colpi in poi, è apparso in vari film, sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud a età diverse. E come nel cinema di Richard Linklater, con i protagonisti di Prima dell’alba che abbiamo rivisto dopo 10 e dopo 20 anni, cresciuti con gli attori che li interpretavano. Il tempo passa per tutti, ma se le amicizie restano, almeno qualcosa ce l’abbiamo.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
Emily In Paris arriva a Roma, nel nome di Audrey Hepburn
Published
3 giorni agoon
12 Settembre 2024Emily, il personaggio cult di Lily Collins, protagonista della fortunata serie Netflix Emily in Paris, arriva a Roma. Ad aspettarla c’è un ragazzo italiano, che si chiama Marcello, ed è in sella ad una vespa con cui la porterà in giro per la Capitale, tra rovine, trattorie e i monumenti più importanti. Cominciano così gli episodi di Emily In Paris girati a Roma, gli ultimi due della seconda parte della stagione 4, disponibile su Netflix dal 12 settembre. Emily si trova a Roma attratta dall’amore, ma la vicenda potrebbe diventare anche professionale. Sylvie, il capo dell’agenzia di PR dove lavora, infatti mira a conquistare un importante cliente italiano. E le sue mire in qualche modo si incroceranno con l’interessa sentimentale di Emily. Sono solo due episodi, ma è molto probabile che la stagione 5 – se sarà confermata – potrebbe iniziare proprio da Roma, se non svolgersi completamente nella Capitale.
Vedere una serie che da sempre vive a Parigi ambientata a Roma, da italiani, dà un’altra sensazione. Si può sorridere o magari storcere il naso. Il racconto, e non può essere altrimenti, è pieno di cliché e di luoghi comuni. Aspettatevi allora lunghe carrellate sul cibo, il limoncello, le rovine, la moda, la vespa, i borghi di campagna (che sembrano in Toscana, dove però si ascolta una sorta di pizzica salentina). In Francia non hanno apprezzato come gli americani hanno raffigurato Parigi, in Italia ci sarà chi avrà sicuramente da ridire.
C’è poi un altro gioco, anche questo forse scontato, ma molto piacevole, quello legato al cinema e alle citazioni. Marcello (Eugenio Franceschini), il corteggiatore di Emily, si chiama così in onore di Mastroianni, e ovviamente la porterà davanti alla Fontana di Trevi, come ne La Dolce Vita di Fellini, anche se i due non si tufferanno nelle acque. Più tardi vedremo anche Via Veneto, in bianco e nero, per un altro omaggio a quel film. Quando Marcello porta Emily in giro in vespa per tutta Roma il pensiero corre immediatamente a Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze romane. In quelle scene Emily sfoggia un look anni Cinquanta ispirato proprio a quel film.
Emily In Paris è sempre stata una serie ricca di moda e di grandi abiti. I costumi, in qualche modo, hanno sempre voluto sottolineare uno stato d’animo, una situazione, delle svolte narrative. I costumi di Emily in questa stagione sono stati pensati per riflettere la sua crescita e maturità. C’è un tema floreale che è ricorrente nei capi che indossa, e vuole rappresentare il fatto che sia sbocciata rispetto alle stagioni precedenti. Ora si sta facendo strada, sta affermando se stessa e sta diventando molto più forte, con uno stile che reinterpreta i codici della moda parigina.
In Emily In Paris ogni stagione introduce una nuova componente che orienta i costumi del guardaroba di Emily. In questa stagione, si tratta dell’abito a tre pezzi ispirato a Twiggy con scarpe basse e gioielli raffinati. Questo look dimostra la maturità crescente di Emily e il suo sentirsi a proprio agio con l’autorevolezza acquisita sul lavoro. Anche il trucco e le acconciature di Emily subiscono un’evoluzione: in questa stagione si è scelto mostrarla al naturale. Non è sempre truccata alla perfezione, una scelta che riflette il percorso emotivo non sempre facile che Emily sta vivendo.
In questa stagione Emily sfoggia 22 acconciature diverse con tre principali texture, tutte pensate per dimostrare che le sue pettinature stanno diventando più rilassate e meno strutturate nel tempo. Sono presenti anche più cappelli e accessori per capelli rispetto alle stagioni passate. In questa stagione compaiono 2.500 paia di scarpe (ben 150 sono di Louboutin), circa 350 borse e 3.000 gioielli. I capi di abbigliamento totali sono più di mille. In questo senso, e anche per molti aspetti della storia, possiamo dire che Emily In Paris è Il Diavolo veste Prada delle serie tv.
I costumi di questa stagione includono più look vintage e d’archivio, soprattutto per Mindy: indossa infatti un abito Balmain rosa vintage agli Open di Francia e un look Mugler vintage d’archivio viola quando Nico la accompagna nel “Brand Closet” di JVMA. In un episodio, al lancio di un prodotto al Samaritaine, Emily indossa una borsa disegnata da INCXNNUE e realizzata con gli scarti riciclati dell’uva solitamente usata per il vino. Ogni stagione il team di costumisti seleziona capi di marchi famosi accanto a quelli di designer emergenti. Nel corso di questa stagione, il team ha collaborato con lo stilista vietnamita Đỗ Mạnh Cường a cinque look diversi.
E si è parlato anche di moda nella conferenza stampa organizzata a Roma in occasione del lancio della seconda parte della stagione 4. Philippine Leroy-Beaulieu, che nella serie è Sylvie, il capo di Emily, quando si parla di abiti, ricorda una scena particolare della stagione 3, girata sulla Torre Eiffel. “Emily è vestita in piume di struzzo rosa, e Sylvie di di nero. Sembro un uccellaccio malefico”. “Ogni abito ha delle intenzioni dietro, è come un oggetto d’arte” interviene Ashley Park, che interpreta Mindy. “L’abito rosso di Roma è molto particolare, ho detto: lo voglio”. “Il mio abito preferito è sicuramente quello che indosso nel club quando parlo con Emily” aggiunge Camille Razat. “Non è solo l’abito ma tutto il look, il trucco, il rossetto rosso, le atmosfere anni Novanta e le acconciature incredibili”.
Ma è proprio Lily Collins, cioè Emily, a spiegare benissimo come vengono pensati gli abiti nella serie. Sono una sorta di paesaggi-stati d’animo. “Alle fine della seconda stagione, mi Emily si trova su un ponte e deve decidere se tornare in America o restare con Sylvie a Parigi” ricorda l’attrice. “Nei costumi ci sono sempre piccoli particolari. Volevo che il mio avesse diversi strati, che diventasse delle cose diverse a seconda delle situazioni. C’erano dei cavallucci marini: è come se Emily fosse sott’acqua, forse si potrebbe salvare, forse affondare. Questo abito aveva questo significato. E poi cammino sul ponte, ricevo una telefonata, e lo strato esterno, che ricorda una medusa, comincia ad avvolgermi. Ma il cavalluccio marino è un essere che si accoppia per la vita. E quell’abito voleva anche dire: resterò a Parigi per tutta la vita?”. Intanto, in attesa di capire se ci sarà la stagione 5, Emily potrebbe restare a Roma, se non per tutta la vita, almeno un po’ più a lungo.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
Bridgerton 3, seconda parte: Le donne non hanno sogni? Non è vero
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3 mesi agoon
14 Giugno 2024Niente sesso, siamo inglesi, recitava il titolo di una famosa farsa teatrale degli anni Settanta. È un titolo che viene citato spesso, anche a sproposito, ogni volta che se ne presenta l’occasione. Probabilmente lo citiamo a sproposito anche noi, ma Bridgerton, la serie ambientata nell’Inghilterra della Reggenza, sembra fatta apposta per smentire quel detto. Dopo che la prima stagione aveva colpito per la sua audacia e la seconda era sembrata tornare per un attimo sui suoi passi, la “sensualità a corte” (perdonateci un’altra citazione) ritorna, sfrontata e vitale, in questa terza stagione. Bridgerton torna con la seconda parte della terza stagione (episodi 5-8), disponibile dal 13 giugno su Netflix. Che ci ha fatto vedere in anteprima due degli ultimi quattro episodi, probabilmente per preservare al massimo sorprese e colpi di scena, che in questa stagione non mancano, e per evitare spoiler. Come finirà la storia di Bridgerton 3? Ancora non lo sappiamo. Quello che è certo è il successo della serie creata da Shonda Rhimes (e dalla nuova showrunner Jess Brownell). La prima parte, disponibile su Netflix dal 16 maggio 2024, ha segnato il più grande debutto nella storia della serie, generando oltre 41 milioni di visualizzazioni nei primi quattro giorni. La storia segue l’avvicinamento romantico di Penelope Featherington e Colin Bridgerton.
Ma dove eravamo rimasti? Penelope Featherington (Nicola Coughlan) che dopo aver sentito le parole denigratorie di Colin Bridgerton (Luke Newton) nei suoi confronti ha accantonato la cotta di lunga data per lui. Penelope però ha deciso che è arrivato il momento di trovare un marito che le garantisca sufficiente indipendenza per continuare la sua doppia vita come Lady Whistledown, lontano dalla madre e dalle sorelle. Ma la mancanza di autostima fa sì che i suoi tentativi di sposarsi falliscano clamorosamente. Colin è tornato dai suoi viaggi estivi con un nuovo look e un atteggiamento molto spavaldo, ma è avvilito nel constatare che Penelope, l’unica persona che lo ha sempre apprezzato così com’era, gli sta dando il benservito. Desideroso di riconquistare la sua amicizia, Colin si offre di farle da mentore per aiutarla a trovare fiducia in se stessa e quindi un marito. Ma quando le sue lezioni iniziano a sortire un effetto anche troppo positivo, Colin è costretto a chiedersi se i suoi sentimenti per la ragazza siano davvero solo amichevoli. I primi quattro episodi di Bridgerton 3 si chiudevano con un bacio appassionato tra Penelope e Colin. Ma…
Ma… Che cosa accade dopo quel “e vissero tutti felici e contenti?”. Non lo sono ancora, felici e contenti, Penelope e Colin. Perché non basta amarsi ed essere attratti nella Londra della Reggenza, nella Londra del “mercato matrimoniale”. Ci sono ancora i genitori che rischiano di essere insoddisfatti, soprattutto Lady Featherington, la madre di Penelope. Ci sono gli altri matrimoni, combinati o da combinare, d’amore o di interesse, voluti o respinti. E c’è, soprattutto, quel segreto: Penelope è Lady Whistledown, l’autrice del “foglio” che svela tutti i retroscena della vita sociale e sentimentale. E prima o poi dovrà dirlo all’amato Colin. Come la prenderà?
La decisione della Regina di offrire una ricompensa a chi svelerà l’identità di Lady Whistledown rende tutto il gioco ancora più complicato. La storia di Bridgerton, così, diventa anche un po’ una sorta di detection, di gioco di identità nascoste e svelate. La suspense aumenta: abbiamo una deadline, momento tipico dei giochi di suspense, che è l’ora entro cui l’identità va svelata: uno degli episodi, infatti, si chiama Tic Toc, e il riferimento non è al social media, ma al tempo che scorre. Il gioco accanto alla misteriosa scrittrice rende tutto più movimentato, ritmato, veloce. E fa di questa terza stagione di Bridgerton probabilmente la più godibile.
È forse anche la più sfrenata, la più audace, o, almeno, lo è al pari della prima stagione. La scena della “prima volta” di Penelope è una scena molto sensuale, esplicita e insistita, con tanto di nudo. Ma è anche molto tenera e romantica. Dentro ci sono tutta l’eccitazione e al tempo stesso la paura e il turbamento di una ragazza giovane che scopre il sesso per la prima volta. Nicola Coughlan è coraggiosa, è in parte, è bravissima. Ma è interessante che una serie come Bridgerton metta in scena la passione attraverso una ragazza con quello che oggi si definirebbe un “corpo non conforme”, imperfetto (ovviamente secondo la società, per chi scrive nessun corpo dovrebbe essere definito “non conforme”). È un messaggio di positività in linea con tanti dei messaggi che si vogliono far passare oggi, ma che, se vengono lanciati da un lato, vengono anche contraddetti dall’altro.
Penelope si sposerà? “Sì, ma i miei sogni?” chiede lei. “Le donne non hanno sogni” le risponde l’arida madre, aggiungendo che l’unico sogno possibile è avere un buon matrimonio. Forse è colpa nostra che non lo avevamo capito, ma ora è chiaro. Penelope è Lady Whistledown non per cattiveria, non per mettere in cattiva luce il prossimo. Ma perché vuole scrivere, vuole creare, esprimersi, realizzarsi. E allora questa terza stagione di Bridgerton pone ancora una volta l’attenzione sul ruolo della donna nella società, allora come oggi. E allora a questo punto la chiave non è solo se Penelope coronerà il suo sogno d’amore. Ma anche se coronerà gli altri suoi sogni.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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“Un mercenario del prêt-à-porter: Karl Lagerfeld”. Un ragazzo, che abbiamo appena visto annoiarsi alla messa della domenica, cerca avidamente in edicola qualche rivista di moda che parli di Lagerfeld. E, una volta trovata, legge questo titolo. Siamo nel 1972, in piena epoca glam rock, e nell’aria risuona Moonage Daydream di David Bowie. È da qui che inizia Becoming Karl Lagerfeld, la nuova serie originale francese Disney+ con Daniel Brühl, disponibile da venerdì 7 giugno. La serie racconta Karl prima di Lagerfeld: uno stilista rock e creativo che si sta facendo strada nel mondo della moda, un tedesco a Parigi, uno stilista d’alta moda imprigionato nel prêt-à-porter, e in una casa di moda che non lo nomina socio e non gli fa fare il salto di qualità. Ma anche un uomo imprigionato in una storia d’amore malata, in un amore impossibile con il dandy Jacques de Bascher. È lui quel ragazzo che aveva comprato quella rivista. È lui che gli scrive una lettera per contattarlo. Ed è lui che lo fa impazzire, iniziando una relazione proprio con il suo amico e rivale, un certo Yves Saint Laurent. La novità di Becoming Karl Lagerfeld è che, a differenza delle serie su Balenciaga e Dior, che vi abbiamo raccontato qualche mese fa, questa serie è raccontata da due punti di vista, quello di Karl e quello di Jacques, che assurge a vero e proprio coprotagonista del film. E questa novità è anche il limite di questa storia.
La storia inizia nel 1972, quando Karl Lagerfeld (Daniel Brühl) ha 38 anni e non porta ancora il suo iconico taglio di capelli. È uno stilista di prêt-à-porter, sconosciuto al grande pubblico. Quando incontra e si innamora di Jacques de Bascher (Théodore Pellerin), un giovane dandy ambizioso e problematico, il più misterioso degli stilisti osa sfidare il suo amico (e rivale) Yves Saint Laurent (Arnaud Valois), genio dell’haute couture sostenuto dal discusso uomo d’affari Pierre Bergé (Alex Lutz). Viaggiamo così nel cuore degli anni Settanta, a Parigi, Monaco e Roma, per seguire la crescita formidabile di questa personalità complessa e iconica della couture parigina, già spinta dall’ambizione di diventare l’imperatore della moda.
Quella di Karl Lagerfeld che vediamo nella serie è la storia di una serie di sfide. La prima è quella con un rivale in affari. Lagerfeld è un designer di moda sconosciuto di 38 anni ma non è ancora riuscito a distinguersi dalla massa, a differenza del suo amico di lunga data, Yves Saint Laurent, il capo della più prestigiosa casa di alta moda del momento. La sfida è raggiungerlo e superarlo in affari e creatività. L’altra sfida è, apparentemente, sempre con Saint Laurent per il cuore e il corpo del giovane Jacques de Bascher. La sfida, lo capiremo, non sarà però tanto con Saint Laurent, quanto con Jacques, o addirittura con se stesso, per prendere le redini di una relazione complicata che sfugge in continuazione di mano a Karl, un uomo tanto padrone del suo lavoro quanto complicato nella vita sentimentale. La sfida più grande, che non è slegata dalle altre due, è quella contro l’ambiente stesso della moda – i suoi datori di lavoro, i competitor, il sistema – per riuscire ad emergere. Per cambiare quelle due parole magiche, rigorosamente francesi, che segnano la vita di uno stilista: andare oltre il prêt-à-porter, verso l’haute couture. Quelle due parole, accanto a un’altra parola, un nome inconfondibile, appariranno in un foglio inviato via fax, alla fine della storia.
L’idea di mettere al centro Jacques e la strana storia d’amore tra lui e Karl è al tempo stesso la novità, che distingue Becoming Karl Lagerfeld dalle recenti serie sugli stilisti che abbiamo visto, e anche il limite del film. Perché Jacques non è cattivo, è che lo disegnano così. Ma, tra la scarsa bravura dell’attore che lo interpreta e come lo disegna la sceneggiatura, il risultato è che ci sia continuamente al centro della scena un personaggio respingente che, non si sa perché, tutti vogliono e desiderano. La scelta di puntare tanto sull’aspetto sentimentale della storia e di raccontarlo in questo modo fa sì che Becoming Karl Lagerfeld sia la meno riuscita tra le recenti serie dedicate alla moda. Cristóbal Balenciaga (Disney+), raccontando alcuni anni della storia dello stilista spagnolo, riusciva a raccontare il mistero, il segreto della sua arte e dei suoi disegni. In questo senso, quella che parlava più di moda e di creazione artistica era proprio la serie su Balenciaga. The New Look, su Christian Dior, era più una serie storica, e raccontava la vita dello stilista negli anni del Nazismo a Parigi. Becoming Karl Lagerfeld a tratti sembra più una soap opera. Di moda vera e propria, in fondo, si parla poco.
Anche se, per chi segue la moda, è comunque interessante vedere Karl Lagerfeld (Daniel Brühl è bravissimo), ancora con un look anni Settanta, barba e capelli lunghi sciolti, e poi assumere le sembianze che tutti abbiamo conosciuto, con i capelli raccolti in una coda e i vistosi occhiali scuri. In scena, Daniel Brühl indossa abiti curati e appariscenti, completi tre pezzi dalle fogge ricercate, camicie sgargianti e spille ad adornare giacche o cravatte.
Come spesso accade nelle storie di questo tipo, il fascino sta anche nel fatto che gli stilisti si muovano al centro della loro epoca. E allora vediamo Lagerfeld incontrare Andy Warhol e Marlene Dietrich (con cui litiga perché non le fa esattamente l’abito che vuole, ma lo interpreta a modo suo), una delle sorelle Fendi, in un’incantata Roma del Quartiere Coppedé. Ascoltiamo la musica di quegli anni, dal citato Bowie a Don’t Let Me Be Misunderstood, cantata da Nina Simone, fino a Blondie e i Visage che annunciano l’arrivo degli anni Ottanta e una nuova generazione di stilisti come Thierry Mugler.
Quello che affascina è che in questi mesi, con l’arrivo in contemporanea di più produzioni, abbiamo assistito alla nascita di una sorta di universo espanso, una sorta di Stylist Cinematic Universe, dove una serie di grandi nomi della moda hanno visto le loro vite e le loro gesta intrecciarsi fra loro. Tutto questo non pianificato e organizzato come nei film di supereroi, non con gli stessi attori. Ma è stato interessante, e lo sarà ancora, vedere costruita questa piccola enciclopedia della moda per immagini.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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