Tv Mood
Come sopravvivere alla quarantena con i figli grazie a due indimenticabili manga giapponesi

In tempi di quarantena, con le scuole chiuse, stare a casa con i figli diventa un’impresa a dir poco ardua. E, a meno che non abbiate figli adolescenti (e anche lì, vi serve un grande, grandissimo, in bocca a lupo), difficilmente un bambino riuscirà a seguire la cosiddetta “didattica a distanza”.
Così, in questi mesi, molti genitori, tra un esaurimento e l’altro, si sono dovuti improvvisare anche insegnanti. E a nulla valgono le ramanzine “politically correct”, con tanto di riferimenti ai più importanti manuali di pedagogia e/o psicologia infantile. Prima o poi, per tutti i genitori arriva il fatidico momento di “piazzare” il bambino davanti alla televisione. Ebbene sì, scopriamo gli altarini una volta per tutte. Per genitori e zii, a un certo punto, questa diventa una questione di sopravvivenza.
Ma, per evitare che Piaget si rivolti nella tomba e che i bambini da adulti utilizzino qualche precetto freudiano per incolparvi di qualcosa, è bene scegliere i cartoni giusti. Per chi è cresciuto negli anni Novanta sarà un vero e proprio gioco da ragazzi, grazie ai tanti cartoni (tutti provenienti da manga giapponesi) che ci hanno risparmiato anni e anni di analisi.
Partiamo così dal più iconico, quello che se non hai mai visto vuol dire che non hai avuto un’infanzia degna di essere chiamata tale. Il più bello, quello che ancora oggi vi fa piangere al solo pensiero, che vi ha coccolate, cresciute e rassicurate e chi vi ha insegnato ad amare le vostre amiche al di sopra di ogni altra cosa. Ovviamente parliamo di Sailor Moon. E per chi prova a spiegare il fenomeno (perché di questo si è trattato) banalizzandolo con un semplice “girl power”, oltre a macchiarsi di un imperdonabile insulto – sarebbe quasi il caso di fare una petizione online per trasformarlo in reato -, commette un enorme errore di valutazione.
Sailor Moon, infatti, è stato molto, molto ma molto di più di questo.
Nonostante le censure e i cambi che sono stati fatti nella versione italiana (sorte che purtroppo è toccata a molti manga giapponesi), questo meraviglioso cartone ci ha insegnato, prima di tutto, la bellezza dell’imperfezione in una società che ambisce alla sola perfezione (specie per le donne). Bunny non è la classica e banale eroina a cui siamo ormai abituati. È la ragazza più goffa del mondo, che commette un errore dietro l’altro. È terribilmente pigra, fifona e a scuola è un disastro. La nostra adorata Principessa della Luna ama mangiare e non gliene importa nulla della linea, vive di entusiasmo e di innamoramenti – come dimenticare i suoi occhi che si trasformano in due enormi cuori appena ha un colpo di fulmine per qualcuno?
Bunny ci ha insegnato ad accettarci per quello che siamo, a combattere per quello in cui crediamo con la determinazione che solo una Sailor ha, semplicemente perché è giusto farlo. E sì, ovviamente, ci ha insegnato anche il valore dell’amicizia sopra ogni altra cosa, il valore e l’importanza del fare squadra, sempre e comunque. La solennità di quel vero e grande amore che solo un’amica del cuore può darti.
Per non parlare della storia d’amore tra Sailor Uranus e Sailor Neptune (sapevamo tutti che non erano migliori amiche come ha voluto far passare la tv italiana, e nemmeno cugine come ha provato a far credere la tv americana) che ci ha fatto capire fin da piccole che l’amore è amore, e non ce ne importava proprio nulla se ad amarsi fossero due persone dello stesso sesso oppure no. In fondo, ci è battuto forte il cuore tanto per l’amore tra le due Sailor, quanto per quello tra Sailor Moon e Milord. Abbiamo fatto il tifo per loro allo stesso modo.
E a distanza di ben venticinque anni, l’iconico manga di Naoko Takeuchi ha ancora moltissimo da insegnare anche alle bimbe di oggi che, proprio come abbiamo fatto noi allora, non potranno fare a meno di amarlo.
A seguire, negli stessi anni di Sailor Moon, c’è stato un altro grande manga giapponese (sì, è innegabile, i giapponesi erano avanti anni luce) dall’inestimabile valore pedagogico: Ranma ½. Già il nome ci dice tutto. “Ranma”, infatti, in giapponese vuol dire letteralmente “confusione”. E Ranma è un ragazzo che, a causa di una maledizione, ogni volta che si bagna con l’acqua fredda diventa una ragazza. Adesso, obiettivamente, pensate a tutti i cartoni che vedono i vostri figli e/o nipoti, ma tra questi c’è qualcosa di anche solo lontanamente simile alla genialità e all’originalità di questo? Ovviamente no.
Proprio come Sailor Moon, anche Ranma ½ ci ha insegnato ad accettarci per ciò che siamo, ad abbracciare anche il nostro lato femminile e/o maschile.
Attraverso le vicende di strambi e buffissimi personaggi che hanno popolato i nostri pomeriggi d’infanzia, abbiamo capito fin da piccole che per fortuna la virilità maschile è cosa ben diversa dai modelli deleteri e superficiali che ci vengono spesso propinati. Ma la parte migliore di questo cartone è che riesce con enorme maestria a veicolare importanti messaggi educativi all’interno di una trama avvincente, ricca di azioni e combattimenti.
Quindi, se non volete rischiare di impazzire durante la quarantena e non volete nemmeno farvi dilaniare dai sensi di colpa verso figli e nipoti, ricorrete a questi meravigliosi manga. Vi salveranno dall’esaurimento nervoso e si riveleranno anche un ottimo strumento di formazione.
di Francesca Polici per DailyMood.it
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Serie TV
Iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI

Published
2 settimane agoon
22 Maggio 2023By
DailyMood.it
Dopo lo straordinario successo che ha segnato le prime tre stagioni della serie prodotta da Rai Fiction e Picomedia, iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI.
Il cast torna a girare a Napoli, diretto nuovamente da Ivan Silvestrini.
La serie, una coproduzione Rai Fiction – Picomedia e prodotta da Roberto Sessa, è nata da un’idea di Cristiana Farina scritta con Maurizio Careddu.
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Serie TV
La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton: Tra Marie Antoinette e Lady Diana
Published
1 mese agoon
4 Maggio 2023
Come sapete, La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la nuova serie in arrivo in streaming su Netflix dal 4 maggio, non è la terza stagione di Bridgerton, cioè la serie che continua le vicende della famiglia del titolo, ma uno spin-off e allo stesso tempo un prequel. La nuova serie targata Shondaland, la casa di produzione fondata da Shonda Rhimes (Scandal, Grey’s Anatomy, Private Practice) è la storia della Regina Carlotta, che abbiamo visto reggere le fila della società londinese ai tempi della Reggenza in Bridgerton. Ma è raccontata dall’inizio: è la sua origin story, per usare un termine caro ai supereroi. La Regina Carlotta, quella matura, che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni di Bridgerton, appare spesso in scena. La vediamo mentre è alla ricerca di un erede: nessuno dei suoi figli ha procreato, e il timore è l’estinzione del suo casato. Ma si tratta di un contrappunto, e di un legame con Bridgerton, che scorre accanto alla storyline principale. Questo prequel dell’universo Bridgerton racconta come il matrimonio della giovane Regina con il Re Giorgio abbia rappresentato non solo una grande storia d’amore, ma anche un cambiamento sociale, portando alla nascita dell’alta società inglese in cui vivono i personaggi di Bridgerton.
Al centro c’è la storia di Carlotta. È una ragazza giovanissima, che arriva in Inghilterra da una cittadina della Germania, dopo che è stata scelta per unirsi in matrimonio al Re del Paese più importante del mondo, Re Giorgio d’Inghilterra. Arriva al matrimonio senza conoscerlo, da un Paese lontano, dopo un lungo viaggio, e viene catapultata in un mondo di cui non sa niente. Ci ricorda moltissimo la giovane Maria Antonietta, raccontata mirabilmente da Sofia Coppola in Marie Antoinette, che dall’Austria (certo, era la figlia della Regina e di un nobile qualsiasi) arrivava in Francia per sposare il Re.
Ma la Regina Carlotta ci ricorda anche molto la giovane Lady Diana Spencer. Una ragazza che, alla corte della Regina d’Inghilterra, ha sofferto spesso di solitudine, incomprensione, incomunicabilità. Guardate il primo episodio, e la prima notte di nozze. La giovane Carlotta, dopo un matrimonio combinato ma che, tutto sommato, ha mostrato di apprezzare, si trova accompagnata nella sua dimora, mentre il marito, Re Giorgio, le comunica che alloggerà in un’altra. Ricorda davvero la storia di Carlo e Diana che, una volta sposati, hanno vissuto a lungo in dimore diverse, facendo vite separate. È in questo che La Regina Carlotta: A Bridgerton Story, appare interessante e attuale.
L’altro lato dell’attualità è quello sforzarsi di rendere tutto inclusivo. Il fatto della regina di colore, che già aveva fatto molto discutere nella prima stagione di Bridgerton, qui viene risolta con un paio di battute e in un paio di scene. In più c’è l’omosessualità del servitore personale di Carlotta e di quello di Re Giorgio. Che non è ovviamente un problema, ma nel contesto della storia sembra inserita piuttosto forzatamente, con il solo scopo dell’inclusività.
Ovviamente Giorgio non è cattivo. È che lo disegnano così. Infantile, ingenuo, inesperto. Dedito alla sua passione, l’astronomia, come il Re Luigi XVI di Marie Antoinette era dedito alle chiavi. Certo, meglio le stelle delle chiavi, converrete tutti. E quello tra i due, al netto delle difficoltà, è un matrimonio d’amore. Ma la storia è scritta per raccontarci che i due giovani si amano e che c’è qualcosa tra loro che li divide. E allora, pur essedo una storia diversa, ritorna lo schema del primo Bridgerton: una giovane ingenua, la sua educazione sessuale, due persone che si amano ma che sono divise da qualcosa che rimane misterioso. È il romanzo di formazione di una ragazza che viene da altri tempi ma che in sé racchiude problemi della sua epoca, e anche della nostra. Come in ogni racconto della saga di Bridgerton, il racconto è brioso e piacevole, ma anche superficiale e a tratti eccessivo.
A brillare, nei panni di Carlotta, è la giovane India Amarteifio, un volto fresco, vispo, impertinente, un volto tipico da eroina dei nostri tempi: occhi allungati e una cascata ribelle di riccioli neri, potrebbe essere la protagonista di un film della Marvel. È un volto che istintivamente suscita simpatia e raggiunge il primo obiettivo, quello di farci parteggiare per lei. Corey Mylchreest, visto in The Sandman, è il giovane re Giorgio, e ha il volto e il fisico che il ruolo impongono. Guardate il loro primo incontro, con lei che è ignara di chi sia lui: un classico della commedia sentimentale. Colpisce anche Arsema Thomas, nel ruolo della la giovane Agatha Danbury, dama di corte della Regina e sua mentore. Nell’altra storyline, quella ambientata durante i fatti di Bridgerton, Golda Rosheuvel (Regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton) riprendono i loro ruoli di Bridgerton.
Per il resto, si sa, siamo in una storia di Bridgerton, e si tratta di stare al gioco, di fare il più grande sforzo di sospensione dell’incredulità possibile. E così, allora, si tratta di prendere o lasciare. Certo, gli anacronismi di Sofia Coppola in Marie Antoinette ci piacevano di più, perché i momenti di rottura, come le Converse accanto alle scarpe d’epoca, e la musica post punk (extradiegetica, ovviamente) erano degli squarci di vernice fluo su una tela classica, che però era rigorosamente e accuratamente costruita, e sempre coerente con la materia raccontata. Shonda Rhimes, invece, nella sua ricostruzione d’epoca si prende qualsiasi libertà a livello storico, visivo, concettuale. È uno di quei prodotti in cui vale tutto. E allora, va bene per intrattenere, ma siamo lontani da qualcosa di profondo, intenso, emozionante.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
Citadel: Una grande spy story in una serie tv? Non è una missione impossibile!
Published
1 mese agoon
28 Aprile 2023
Chi ha detto che ci sono prodotti per il cinema e prodotti per le piattaforme di streaming? Finora avevamo sempre pensato che i grandi film d’azione fossero fatti apposta per il grande schermo e i prodotti più piccoli, meno spettacolari, fossero naturalmente destinati alle piattaforme. Citadel, la serie che trovate in streaming su Prime Video dal 28 aprile, sembra fatta apposta per rompere questa distinzione. Non è la prima serie spettacolare che approda in streaming, ma è forse il caso più eclatante che dimostra il fatto che oggi non esistono più confini. Abbiamo visto i primi due episodi di Citadel su un grande schermo, al cinema The Space Moderno di Piazza della Repubblica a Roma. E su quello schermo ci stavano benissimo. Citadel farà un figurone anche in tv, chiaro, ma vedetelo comunque sullo schermo più grande che avete. Non è un’opera da vedere al cellulare o su un tablet.
L’inizio di Citadel è di quelli che lasciano il segno: siamo sulle alpi italiane, su un treno di ultima generazione, alta velocità ed extra lusso, come in una versione 3.0 di Intrigo Internazionale. Un’affascinante donna vestita di rosso, Nadia Sinh (Priyanka Chopra Jonas), viene avvicinata da un affascinante uomo vestito di nero, Mason Kane (Richard Madden). I due si conoscono già, si conoscono molto bene, hanno un grande feeling. Lo capiamo dal loro dialogo, dalla chimica in atto ogni volta che si avvicinano. Su quel treno ci sono altre persone, è una trappola. C’è una bomba. Un vagone del treno salta in aria e… La storia riprende otto anni dopo. E sta a voi scoprirla.
Vi diciamo solo che Mason non ricorda nulla. Sì, proprio come Jason Bourne, il protagonista di The Bourne Identity che, citato anche da una simpatica battuta in sceneggiatura, è uno dei modelli di Citadel. Modelli che sono tanti, sono chiari, sono i più nobili. C’è ovviamente molto di Mission: Impossible, che è il riferimento più evidente; c’è, ma in misura minore, James Bond. E ci sono, accennati perché l’atmosfera è diversa, i classici di Hitchcock. Tutto questo è per dire che le ambizioni sono alte, gli standard produttivi e visivi anche. Ma Citadel, pur ispirandosi e richiamando il meglio degli spy game cinematografici, non sembra mai qualcosa di già visto, non sembra somigliare ad altre cose. Era il rischio più grande. Ed è stato evitato.
Nel caso di Citadel è il caso di parlare di un vero evento, perché alza l’asticella delle produzioni seriali e del mondo dello streaming, e inaugura una nuova formula produttiva. Anche se siamo in tv possiamo dire tranquillamente che si tratta di grande cinema. E non è un caso: a dirigere infatti ci sono i Fratelli Russo, coloro che avevano già trasformato il cinecomic della Marvel in una spy story anni Settanta con Captain America And The Winter Soldier. Il cinema di spionaggio è il loro terreno e non deludono. Ma il loro ambiente, appunto, è anche il cinecomic, il cinema di supereroi. E, come ha detto qualcuno, Citadel è questo: è un film degli Avengers, ma con le spie. Spie e supereroi, ci hanno spiegato i produttori, in fondo, sono la stessa cosa: personaggi in grado di andare oltre le nostre capacità, con doti e poteri speciali.
Tutto questo è racchiuso nei due protagonisti. Richard Madden, già uomo d’azione ne Il trono di spade, ma soprattutto in The Bodyguard, ha il physique du rôle per essere una nuova spia, anche se l’espressività, in confronto a mostri come Daniel Craig, Tom Cruise e Matt Damon, non è completamente all’altezza. Priyanka Chopra Jonas è una vera sorpresa. Sensualissima nei primi piani, con uno sguardo e delle labbra in grado di far sciogliere che guarda, è anche eccezionale nelle scene d’azione. Bernard, il loro capo, interpretato da Stanley Tucci, dice che Nadia e Mason da soli sono dei grandi agenti, ma insieme sono una bomba. Ed è vero anche per gli attori. La chimica e l’affiatamento tra i due è eccezionale.
Citadel è un evento anche per la parte produttiva. Perché da questa serie verranno tratti alcuni spin off che saranno prodotti in altre parti del mondo. Una di queste è l’Italia. E la protagonista della Citadel italiana è Matilda De Angelis. Non vediamo l’ora di vederla come una nuova, sexy e tostissima spia. Siamo appena entrati nel mondo di Citadel, allora, e crediamo che ci resteremo molto a lungo.
Crediti: Courtesy of Prime Video
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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