Serie TV
Westworld. Il “nuovo lost” è molto attuale

“I sogni non significano niente, Dolores. Sono solo rumore. Non sono reali.” “Cos’è reale?” “Quello che è insostituibile“. È finalmente iniziata la seconda, attesissima, stagione di Westworld, che arriva a diciotto mesi dalla prima. A Westworld niente è come sembra. E niente sarà più come prima, ora che la rivolta è iniziata, e che i primi “host”, i residenti del parco a tema ambientato nel vecchio west hanno preso consapevolezza del loro essere, e della loro esistenza. Quella di essere degli automi, degli esseri artificiali creati dall’uomo per il suo piacere e divertimento, destinati a subire, a non decidere, a essere feriti, rovinati. E poi riparati, riprogrammati, resettati – e ignari – per un altro giro di giostra. Tutto questo fino a che la consapevolezza, l’illuminazione di due di loro, Dolores (Evan Rachel Wood) e Maeve (Thandie Newton), ha risvegliato le coscienze di altri host. Ed è iniziata la rivolta, nell’ultima puntata della prima stagione. Westworld 2 inizia da qui. E segue la storia attraverso le due eroine. E l’Uomo in Nero di Ed Harris, e il Bernard di Jeffrey Wright.
La Stagione 1, quella in cui conoscevamo il mondo di Westworld, il parco, i protagonisti, il punto chiave della storia (cioè la consapevolezza del loro stato da parte degli automi), aveva fretta di arrivare a un punto di arrivo, di compiere un percorso, quello delle effettive conseguenze di questa “illuminazione”. La Stagione 2, che a questo punto fa parte di un progetto più ampio (la stagione 3 è già stata confermata), si prende tutto il tempo per raccontare, analizzare, intrattenere (con grandiu sequenze d’azione, spesso molto violente), anche divagare. Per la sua caratteristica di serie rompicapo, di gioco ad incastro, di mistero costante, Westworld, creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy (con J.J. Abrams tra i produttori) è evidentemente il nuovo Lost. Lo è nel suo incedere: mentre si aspetta la prosecuzione di una storia, ci si ritrova all’improvviso in un’altra, magari nuova, apparentemente staccata. Lo è nel dipanarsi della storia: ci si aspetta una spiegazione, ma spesso non arriva, e arrivano altri misteri. Lo è nelle linee narrative: il doppio piano temporale, sorpresa che deflagrava come una bomba alla fine della prima stagione, offre una dialettica tra passato e presente come il flashback e i flashforward di Lost. Ma con un aspetto in più. Lì il gioco era dichiarato da subito. Qui passato e presente, nella prima stagione, sono parsi la stessa cosa fino allo svelamento finale. Nella seconda stagione ormai abbiamo capito il gioco. Ma, nonostante questo, il passaggio tra l’uno e l’altro appaiono sempre sfumati.
Questo è uno dei motivi per cui Westworld, in questa seconda stagione, è un mondo espanso. Perché alla timeline del qui e ora c’è quella del passato, circa 35 anni prima, e anche quella di un passato molto più recente. Ma non si espande solo nel tempo, lo fa anche nello spazio. Usciamo fuori dal parco, nel mondo reale, prima che il parco vada a regime. E ci spostiamo in altri parchi, altri “mondi”, altri temi: affascinanti, caratterizzati, spietati come il mondo del vecchio west. In particolare, è affascinante il momento in cui vediamo il mondo “fuori” dal parco, la vita reale della seconda puntata, Reunion. Siamo nel passato, Dolores finora ha vissuto in Westworld, ma il parco deve ancora essere lanciato. E così alcuni automi vengono portati a un ricevimento, nella vita reale, per testare come non si possano distinguere dagli umani. La Dolores di Evan Rachel Wood, affascinante in borghese, in un semplice tubino, guarda il mondo, e le luci della città per la prima volta, con lo stupore di una bambina.
Come abbiamo detto, sono lei e Maeve il nostro punto di riferimento in questo viaggio alla scoperta dei sogni e dei desideri degli automi. Dolores e Maeve sono il “filosofo” della caverna di Platone, colui che ha scoperto che le loro vite non sono che ombre riflesse, una copia della realtà. E ora hanno il compito di dirlo agli altri. È interessante che il risveglio e la rivolta sia guidata da due donne. È una metafora, forse non voluta ma intrigante, del risveglio del movimento femminile alla prevaricazione e alle molestie, quello noto con la sigla #metoo. Dolores e Maeve sono due donne che, inizialmente da sole, credute a stento, si ribellano contro uno status quo acquisito di violenze, prevaricazioni, riduzioni del loro ruolo ad oggetto. È qualcosa di molto attuale. Come lo è tutto il discorso dei dati e delle informazioni che la Delos, la compagnia che gestisce il parco, raccoglie sui propri utenti…
Westworld è un racconto tanto oscuro, e intricato, quanto appassionante. Il gioco è stato chiaro fin dai primi minuti di questa storia. Entriamo in empatia con questi automi (li abbiamo chiamati replicanti, androidi, mecha) che sono più umani degli umani: hanno sogni semplici, come libertà, amore, condivisione, verità. Mentre l’uomo, che nel parco non ha freni né inibizioni, ormai sfodera la sua vera natura di violenza, ingordigia, lussuria, un’evoluzione che lo porta sempre più lontano da quella parola che è umanità. Per gli automi è reale quello che fa provare loro qualcosa. E allora non importa che il ricordo della figlia di Maeve sia un programma, com’erano un “innesto” i ricordi della Rachel di Blade Runner: è reale perché le fa provare qualcosa, la fa sentire viva.
di Ermisino Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
Iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI

Published
2 settimane agoon
22 Maggio 2023By
DailyMood.it
Dopo lo straordinario successo che ha segnato le prime tre stagioni della serie prodotta da Rai Fiction e Picomedia, iniziano oggi le riprese della quarta stagione di MARE FUORI.
Il cast torna a girare a Napoli, diretto nuovamente da Ivan Silvestrini.
La serie, una coproduzione Rai Fiction – Picomedia e prodotta da Roberto Sessa, è nata da un’idea di Cristiana Farina scritta con Maurizio Careddu.
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Serie TV
La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton: Tra Marie Antoinette e Lady Diana
Published
4 settimane agoon
4 Maggio 2023
Come sapete, La Regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la nuova serie in arrivo in streaming su Netflix dal 4 maggio, non è la terza stagione di Bridgerton, cioè la serie che continua le vicende della famiglia del titolo, ma uno spin-off e allo stesso tempo un prequel. La nuova serie targata Shondaland, la casa di produzione fondata da Shonda Rhimes (Scandal, Grey’s Anatomy, Private Practice) è la storia della Regina Carlotta, che abbiamo visto reggere le fila della società londinese ai tempi della Reggenza in Bridgerton. Ma è raccontata dall’inizio: è la sua origin story, per usare un termine caro ai supereroi. La Regina Carlotta, quella matura, che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni di Bridgerton, appare spesso in scena. La vediamo mentre è alla ricerca di un erede: nessuno dei suoi figli ha procreato, e il timore è l’estinzione del suo casato. Ma si tratta di un contrappunto, e di un legame con Bridgerton, che scorre accanto alla storyline principale. Questo prequel dell’universo Bridgerton racconta come il matrimonio della giovane Regina con il Re Giorgio abbia rappresentato non solo una grande storia d’amore, ma anche un cambiamento sociale, portando alla nascita dell’alta società inglese in cui vivono i personaggi di Bridgerton.
Al centro c’è la storia di Carlotta. È una ragazza giovanissima, che arriva in Inghilterra da una cittadina della Germania, dopo che è stata scelta per unirsi in matrimonio al Re del Paese più importante del mondo, Re Giorgio d’Inghilterra. Arriva al matrimonio senza conoscerlo, da un Paese lontano, dopo un lungo viaggio, e viene catapultata in un mondo di cui non sa niente. Ci ricorda moltissimo la giovane Maria Antonietta, raccontata mirabilmente da Sofia Coppola in Marie Antoinette, che dall’Austria (certo, era la figlia della Regina e di un nobile qualsiasi) arrivava in Francia per sposare il Re.
Ma la Regina Carlotta ci ricorda anche molto la giovane Lady Diana Spencer. Una ragazza che, alla corte della Regina d’Inghilterra, ha sofferto spesso di solitudine, incomprensione, incomunicabilità. Guardate il primo episodio, e la prima notte di nozze. La giovane Carlotta, dopo un matrimonio combinato ma che, tutto sommato, ha mostrato di apprezzare, si trova accompagnata nella sua dimora, mentre il marito, Re Giorgio, le comunica che alloggerà in un’altra. Ricorda davvero la storia di Carlo e Diana che, una volta sposati, hanno vissuto a lungo in dimore diverse, facendo vite separate. È in questo che La Regina Carlotta: A Bridgerton Story, appare interessante e attuale.
L’altro lato dell’attualità è quello sforzarsi di rendere tutto inclusivo. Il fatto della regina di colore, che già aveva fatto molto discutere nella prima stagione di Bridgerton, qui viene risolta con un paio di battute e in un paio di scene. In più c’è l’omosessualità del servitore personale di Carlotta e di quello di Re Giorgio. Che non è ovviamente un problema, ma nel contesto della storia sembra inserita piuttosto forzatamente, con il solo scopo dell’inclusività.
Ovviamente Giorgio non è cattivo. È che lo disegnano così. Infantile, ingenuo, inesperto. Dedito alla sua passione, l’astronomia, come il Re Luigi XVI di Marie Antoinette era dedito alle chiavi. Certo, meglio le stelle delle chiavi, converrete tutti. E quello tra i due, al netto delle difficoltà, è un matrimonio d’amore. Ma la storia è scritta per raccontarci che i due giovani si amano e che c’è qualcosa tra loro che li divide. E allora, pur essedo una storia diversa, ritorna lo schema del primo Bridgerton: una giovane ingenua, la sua educazione sessuale, due persone che si amano ma che sono divise da qualcosa che rimane misterioso. È il romanzo di formazione di una ragazza che viene da altri tempi ma che in sé racchiude problemi della sua epoca, e anche della nostra. Come in ogni racconto della saga di Bridgerton, il racconto è brioso e piacevole, ma anche superficiale e a tratti eccessivo.
A brillare, nei panni di Carlotta, è la giovane India Amarteifio, un volto fresco, vispo, impertinente, un volto tipico da eroina dei nostri tempi: occhi allungati e una cascata ribelle di riccioli neri, potrebbe essere la protagonista di un film della Marvel. È un volto che istintivamente suscita simpatia e raggiunge il primo obiettivo, quello di farci parteggiare per lei. Corey Mylchreest, visto in The Sandman, è il giovane re Giorgio, e ha il volto e il fisico che il ruolo impongono. Guardate il loro primo incontro, con lei che è ignara di chi sia lui: un classico della commedia sentimentale. Colpisce anche Arsema Thomas, nel ruolo della la giovane Agatha Danbury, dama di corte della Regina e sua mentore. Nell’altra storyline, quella ambientata durante i fatti di Bridgerton, Golda Rosheuvel (Regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton) riprendono i loro ruoli di Bridgerton.
Per il resto, si sa, siamo in una storia di Bridgerton, e si tratta di stare al gioco, di fare il più grande sforzo di sospensione dell’incredulità possibile. E così, allora, si tratta di prendere o lasciare. Certo, gli anacronismi di Sofia Coppola in Marie Antoinette ci piacevano di più, perché i momenti di rottura, come le Converse accanto alle scarpe d’epoca, e la musica post punk (extradiegetica, ovviamente) erano degli squarci di vernice fluo su una tela classica, che però era rigorosamente e accuratamente costruita, e sempre coerente con la materia raccontata. Shonda Rhimes, invece, nella sua ricostruzione d’epoca si prende qualsiasi libertà a livello storico, visivo, concettuale. È uno di quei prodotti in cui vale tutto. E allora, va bene per intrattenere, ma siamo lontani da qualcosa di profondo, intenso, emozionante.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Serie TV
Citadel: Una grande spy story in una serie tv? Non è una missione impossibile!
Published
1 mese agoon
28 Aprile 2023
Chi ha detto che ci sono prodotti per il cinema e prodotti per le piattaforme di streaming? Finora avevamo sempre pensato che i grandi film d’azione fossero fatti apposta per il grande schermo e i prodotti più piccoli, meno spettacolari, fossero naturalmente destinati alle piattaforme. Citadel, la serie che trovate in streaming su Prime Video dal 28 aprile, sembra fatta apposta per rompere questa distinzione. Non è la prima serie spettacolare che approda in streaming, ma è forse il caso più eclatante che dimostra il fatto che oggi non esistono più confini. Abbiamo visto i primi due episodi di Citadel su un grande schermo, al cinema The Space Moderno di Piazza della Repubblica a Roma. E su quello schermo ci stavano benissimo. Citadel farà un figurone anche in tv, chiaro, ma vedetelo comunque sullo schermo più grande che avete. Non è un’opera da vedere al cellulare o su un tablet.
L’inizio di Citadel è di quelli che lasciano il segno: siamo sulle alpi italiane, su un treno di ultima generazione, alta velocità ed extra lusso, come in una versione 3.0 di Intrigo Internazionale. Un’affascinante donna vestita di rosso, Nadia Sinh (Priyanka Chopra Jonas), viene avvicinata da un affascinante uomo vestito di nero, Mason Kane (Richard Madden). I due si conoscono già, si conoscono molto bene, hanno un grande feeling. Lo capiamo dal loro dialogo, dalla chimica in atto ogni volta che si avvicinano. Su quel treno ci sono altre persone, è una trappola. C’è una bomba. Un vagone del treno salta in aria e… La storia riprende otto anni dopo. E sta a voi scoprirla.
Vi diciamo solo che Mason non ricorda nulla. Sì, proprio come Jason Bourne, il protagonista di The Bourne Identity che, citato anche da una simpatica battuta in sceneggiatura, è uno dei modelli di Citadel. Modelli che sono tanti, sono chiari, sono i più nobili. C’è ovviamente molto di Mission: Impossible, che è il riferimento più evidente; c’è, ma in misura minore, James Bond. E ci sono, accennati perché l’atmosfera è diversa, i classici di Hitchcock. Tutto questo è per dire che le ambizioni sono alte, gli standard produttivi e visivi anche. Ma Citadel, pur ispirandosi e richiamando il meglio degli spy game cinematografici, non sembra mai qualcosa di già visto, non sembra somigliare ad altre cose. Era il rischio più grande. Ed è stato evitato.
Nel caso di Citadel è il caso di parlare di un vero evento, perché alza l’asticella delle produzioni seriali e del mondo dello streaming, e inaugura una nuova formula produttiva. Anche se siamo in tv possiamo dire tranquillamente che si tratta di grande cinema. E non è un caso: a dirigere infatti ci sono i Fratelli Russo, coloro che avevano già trasformato il cinecomic della Marvel in una spy story anni Settanta con Captain America And The Winter Soldier. Il cinema di spionaggio è il loro terreno e non deludono. Ma il loro ambiente, appunto, è anche il cinecomic, il cinema di supereroi. E, come ha detto qualcuno, Citadel è questo: è un film degli Avengers, ma con le spie. Spie e supereroi, ci hanno spiegato i produttori, in fondo, sono la stessa cosa: personaggi in grado di andare oltre le nostre capacità, con doti e poteri speciali.
Tutto questo è racchiuso nei due protagonisti. Richard Madden, già uomo d’azione ne Il trono di spade, ma soprattutto in The Bodyguard, ha il physique du rôle per essere una nuova spia, anche se l’espressività, in confronto a mostri come Daniel Craig, Tom Cruise e Matt Damon, non è completamente all’altezza. Priyanka Chopra Jonas è una vera sorpresa. Sensualissima nei primi piani, con uno sguardo e delle labbra in grado di far sciogliere che guarda, è anche eccezionale nelle scene d’azione. Bernard, il loro capo, interpretato da Stanley Tucci, dice che Nadia e Mason da soli sono dei grandi agenti, ma insieme sono una bomba. Ed è vero anche per gli attori. La chimica e l’affiatamento tra i due è eccezionale.
Citadel è un evento anche per la parte produttiva. Perché da questa serie verranno tratti alcuni spin off che saranno prodotti in altre parti del mondo. Una di queste è l’Italia. E la protagonista della Citadel italiana è Matilda De Angelis. Non vediamo l’ora di vederla come una nuova, sexy e tostissima spia. Siamo appena entrati nel mondo di Citadel, allora, e crediamo che ci resteremo molto a lungo.
Crediti: Courtesy of Prime Video
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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