Cine Mood
The Place, al “tavolo dei desideri” con un perfetto sconosciuto

Un bar, un tavolino, un luogo fuori dal tempo. E poi un uomo, solo, senza una storia, apparentemente anche senz’anima. Una decina di personaggi si alternano per incontrarlo. A loro, lui regala sogni, realizza desideri; li aiuta ad ottenere quello che vogliono. Ma tutto necessita di una “merce di scambio”, spesso dolorosa, dura, inaccettabile, moralmente discutibile.
“Cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi?”: nella frase di lancio è racchiuso il senso di The Place, nuovo atteso film di Paolo Genovese, che torna dietro la macchina da presa dopo il successo internazionale di Perfetti sconosciuti. Evento di chiusura dell’ultima Festa del cinema di Roma, The Place è basato sulla serie americana The Booth At The End, “una serie che mi ha folgorato” – ha dichiarato il regista. Una serie che gli ha offerto il giusto spunto per realizzare una pellicola in continuità con Perfetti sconosciuti. E non solo per l’unità spaziale. “C’è un filo rosso tra queste due pellicole – ha proseguito Genovese – e cioè l’indagine della parte più scura delle persone: quanto dobbiamo scavare dentro di noi per confrontarci con la nostra anima nera?”. E The Place, in questo, rispetto all’opera precedente, va ancora più a fondo. E lo fa abbracciando completamente una tonalità drammatica – cosa assolutamente nuova per l’autore: “quando un regista realizza un film di successo ha due fortune: la prima è che il pubblico si fida di te, la seconda è che i produttori ti lasciano carta bianca per fare ciò che vuoi. Io ho usato questo credito per proporre qualcosa di nuovo, e ho deciso di fare un salto e di buttarmi nel drammatico”.
Nonostante questa novità, però, non manca uno degli elementi cardine del cinema di Genovese, e cioè la coralità. Così come nel dittico di Immaturi, Tutta colpa di Freud, Una famiglia perfetta e appunto Perfetti sconosciuti, il regista romano mette insieme un nutrito cast con il meglio del panorama italiano. Ecco quindi Valerio Mastandrea nel ruolo del misterioso uomo “mefistofelico”, Sabrina Ferilli nei panni della cameriera del bar, e a susseguirsi al “tavolo dei desideri” arrivano Alessandro Borghi, Giulia Lazzarini, Marco Giallini, Silvia D’Amico, Silvio Muccino, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Vinicio Marchioni e Alba Rohrwacher. Tutti straordinari, tutti in grado di dare un’anima ai loro personaggi pur apparendo per pochi minuti in scena e, soprattutto, in grado di aprire l’immaginazione sui fatti che raccontano e che avvengono tutti fuori campo. Sì, perché in The Place si rimane per quasi due ore solo ed esclusivamente ancorati al tavolino di quel bar e ogni vicenda viene semplicemente evocata dai racconti dei personaggi.
Teatro filmato, quindi? Totale stasi narrativa? Assolutamente no. Il film tiene, dall’inizio alla fine, e avvolge lo spettatore in una spirale crescente di speranze e di dolori, di sogni e di paure. Genovese riesce nell’arduo compito di dare ritmo ad una storia senza azione, dando spessore alla semplice messa in scena con una introspettiva direzione degli attori e con una sceneggiatura perfetta in tutti i suoi meccanismi.
Guardando The Place, ci si ritrova così “costretti” nel perfido gioco costruito dall’uomo interpretato da Mastandrea, “un personaggio che fa paura”, come l’ha definito lo stesso attore, “ma in fondo specchio delle richieste di tutti i personaggi che arrivano al suo tavolo”. Durante la visione è facile dunque immedesimarsi nell’innocenza della suora Rohrwacher, nella disperazione di Marchioni, nelle ossessioni di Papaleo, nella dolce follia della D’Amico o nell’insicurezza della Puccini. Perché in fondo la loro zona d’ombra è anche la nostra, è – usando le parole di Silvio Muccino – “una bomba ad orologeria che tutti abbiamo dentro e da cui tutti vogliamo scappare. Per disinnescarla, però, bisogna guardarla e conoscerla”.
di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it
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Cine Mood
Sanctuary: Margaret Qualley, la figlia di Andie MacDowell è diventata grande
Published
3 giorni agoon
26 Maggio 2023
L’avevamo conosciuta vestita da hippie, canotta colorata, shorts e gambe lunghissime. E quei piedi messi con nonchalance sul cruscotto di Brad Pitt in C’era una volta a… Hollywood. Parliamo di Margaret Qualley, attrice in rampa di lancio e figlia d’arte: la madre è Andie MacDowell. È proprio Margaret Qualley il motivo migliore per vedere Sanctuary, il film che la vede protagonista assoluta, e in una veste inedita, in uscita al cinema il 25 maggio. La vedrete come non l’avete mai vista, con i capelli biondi, a caschetto. E anche cattiva, dura, sboccata. Ma sarà solo l’inizio di una serie di trasformazioni.
In Sanctuary Margaret Qualley è Rebecca, una dominatrice, una professionista del sesso. Hal (Christopher Abbott) è il suo cliente. Man mano che la storia procede, e svelano le verità, veniamo a sapere che fa parte di una ricca famiglia di cui sta per ereditare le fortune. Non può più permettersi di avere una pericolosa relazione con una donna che conosce i suoi segreti e le sue perversioni. Così decide di vederla per un’ultima volta e dirle che tra loro è tutto finito. Ma il suo tentativo di tagliare i legami gli si potrebbe ritorcere contro. Rebecca ha una reazione inaspettata.
Rebecca, come lavoro, fa la dominatrice. È la donna sicura di sé (o recita quel ruolo?), la donna che non deve chiedere ma solo ordinare. Lo dimostra con il suo abito, un tailleur pantalone, e con la sua postura. Mentre dà gli ordini è seduta su una sedia, a gambe divaricate, proprio come si siederebbe un uomo. Ma il look con cui l’attrice appare in scena, all’inizio, ci colpisce ancora di più. I capelli biondi, lisci, a caschetto, che cadono sul suo volto e lo incorniciano, in qualche modo ne cambiano la fisionomia. Il viso da cerbiatto, nelle prime scene di Sanctuary, è ancora più evidente. I tratti del viso sembrano ancora più perfetti, la pelle levigata, le labbra rosse che lasciano intravvedere il più bel paio di incisivi visti dai tempi di Naomi Watts. L’appellativo per la Watts era di Woody Allen. Chissà che ne pensa di Margaret Qualley… La parrucca, una volta tolta, lascia spazio a quei riccioli neri e a quell’aria da bambina, come direbbe quella canzone, che abbiamo visto in film e serie precedenti. Quando quei capelli se li raccoglie in una coda alta a tratti sembra proprio di guardare sua madre.
Sanctuary non è solo un’altra prova della bellezza di Margaret Qualley, ma è soprattutto una grande prova di bravura. Mentre negli altri film in cui l’abbiamo vista in scena manteneva lo stesso tono per tutta la durata, qui Margaret Qualley è un caleidoscopio. Riesce ad essere ogni cosa: dura, complice, suadente, perfida, urticante. Guardate, e ascoltate, attentamente il momento in cui pronuncia le parole “giuro fedeltà alla costituzione degli Stati Uniti”: lo fa con un tono di voce sensuale e languido che sembra voler dire tutt’altro. Intonazione, espressività: è il lavoro dell’attore. E in Sanctuary Margaret Qualley dimostra di essere una grande attrice.
Occhi piccoli e brillanti, blu, sorriso disarmante, i capelli ribelli, lunghi e ricci, il fisico slanciato, Margaret Qualley è stata suadente e maliziosa in C’era una volta a… Hollywood, in una breve apparizione che però ha lasciato il segno. È stata tenera, ferita e determinata nella serie Maid (disponibile su Netflix), di cui era protagonista assoluta nella parte di una donna vittima di abusi che lasciava il compagno e provava a farcela da sola con una bambina piccola. Una serie da vedere assolutamente. Ma la Qualley ha lavorato anche nelle serie tv The Leftovers e Fosse/Verdon e nei film The Nice Guys e Un anno con Salinger. È stata legata all’attore Shia LaBeouf e oggi è fidanzata con il musicista Jack Antonoff, leader dei Bleachers. Sanctuary è un altro tassello della sua crescita. È un film forse pretestuoso, troppo cerebrale, forzato. È un film che finisce come una commedia da Guerra dei Sessi anni Quaranta, senza esserlo mai stata. Il motivo per vederlo, però, ce lo avete. È Margaret Qualley.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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Cine Mood
La Sirenetta: Halle Bailey, una giovane che perde la voce per ritrovarla
Published
5 giorni agoon
24 Maggio 2023
Il canto delle sirene, come vuole la leggenda, è ammaliante e seducente. Vuole così anche la storia de La Sirenetta, fiaba di Hans Christian Andersen, diventata poi un famoso film d’animazione della Disney, e ora un film live action che arriva al cinema il 24 maggio. La giovane protagonista, Halle Bailey, come racconta il regista Rob Marshall, è stata scelta anche per la sua voce bellissima, proprio come quella di una sirena. La cosa migliore del film è proprio lei, bella, brava e convincente. Anche se, con il doppiaggio in italiano, non abbiamo sentito la sua voce nelle canzoni. Che, ovviamente, sono molto belle anche con la voce italiana.
Ariel (Halle Bailey) è una sirena adolescente con una bellissima voce e continuamente alla ricerca di avventura. È la figlia più piccola di Tritone (Javier Bardem), il Re gli oceani, ed è la più ribelle. Ariel è affascinata dal mondo in superficie, dove vivono gli umani, con cui il popolo del mare non può avere a che fare: è la volontà di Tritone. Ariel allora, con il suo amico, il pesciolino Flounder, colleziona oggetti del mondo degli umani che sono caduto sul fondale del mare e li conserva nella sua grotta segreta. Un giorno, andando contro le regole di suo padre e i consigli di Flounder e Sebastian, il granchio maggiordomo del Re, nuotando arriva in superficie. E si trova a salvare un principe da un naufragio. Ma questo lo sapete già.
Il canto delle sirene, dicevamo. Nella versione italiana de La Sirenetta ovviamente non ascoltiamo la voce angelica – così l’aveva definita il regista Rob Marshall – di Halle Bailey nelle canzoni. È normale, perché la canzoni, quelle note, soprattutto, vanno portata al pubblico in italiano, anche per il ruolo che hanno nella storia. È un peccato però non poter ascoltare la voce della giovane attrice. Che, in ogni caso, è bellissima. Ha un viso molto dolce, espressivo, un’aria ancora innocente, come prevede il personaggio, ma anche un sex appeal notevole. Il suo fisico slanciato, tonico, la rende credibile sia nelle evoluzioni marine come sirena che sulla terraferma, come ad esempio quando balla.
Le polemiche sulla questione dell’etnia speriamo siano ormai superate. Scegliere una giovane donna di colore per un ruolo così iconico è stata una scelta semplice per Rob Marshall. “Il nostro obiettivo era trovare una persona che fosse incredibilmente entusiasta, brillante, vulnerabile, perspicace, e che avesse moltissima grinta e gioia”, ha dichiarato il regista. “Quando l’ho incontrata per la prima volta, Halle era così giovane e un po’ ultraterrena, e la sua voce era semplicemente angelica. In più, aveva un legame profondo con i temi delle canzoni che cantava”. “Stavamo semplicemente cercando l’attrice più adatta per questo ruolo, punto. Abbiamo provinato tantissime persone di qualsiasi etnia. Non c’erano secondi fini. Come regista, speri sempre di trovare un attore che sia capace di reclamare un ruolo e dire ‘questo ruolo è mio’. Questo è esattamente quello che è successo con Halle”.
Ed è proprio così. Dal primo momento che vediamo Halle Bailey nel ruolo di Ariel, non pensiamo più alla Sirenetta del cartone originale, ma vediamo lei come la Sirenetta in tutto e per tutto. L’attrice in questo ruolo è credibile, è simpatica. L’amore con la nuova Sirenetta scatta subito, alla scena – presa pari pari dal film d’animazione originale – dell’arricciaspiccia, quella in cui, parlando con il gabbiano Scattle, scambia una forchetta per un pettine. Ma ogni polemica sarebbe comunque stata inutile. Una sirena è una creatura fantastica, che appartiene a un mondo come quello del mare. E, come tale, può davvero avere qualsiasi aspetto, qualsiasi tratto. Così, tutto appare naturale quando, al cospetto di Tritone, appaiono le altre sorelle di Ariel, ognuna di un’etnia diversa. Come se il mare riunisse tutte le regioni della Terra in un unico mondo.
Ma Halle Bailey è anche, e soprattutto, una sirena in carne ed ossa. E per questo il suo personaggio è più tangibile, più reale. La sinossi ci dice che Ariel ha 18 anni. E questo nuovo film allarga il target, raggiunge e fa identificare non solo le bambine, ma anche le adolescenti. Ed è un bene. Perché la storia di Ariel è una storia di emancipazione e autodeterminazione femminile. La storia di una ragazza che perde la voce per ritrovare la sua voce. Per essere finalmente ascoltata. L’auspicio è che sia di modello a tante ragazze che provano a far uscire la loro voce: che questa voce possa arrivare forte e chiara.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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TOM CRUISE | MISSION:IMPOSSIBLE – Dead Reckoning – Parte Uno

Published
2 settimane agoon
18 Maggio 2023By
DailyMood.it
Tom Cruise torna al cinema con un nuovo capitolo di Mission:Impossible – Dead Reckoning – Parte Uno
Questa è la loro missione più pericolosa.
Nelle sale cinematografiche dal 12 luglio.
SINOSSI
In Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno, Ethan Hunt ( Tom Cruise) e la sua squadra dell’IMF si trovano di fronte alla sfida più pericolosa che abbiano mai affrontato: trovare e disinnescare una nuova terrificante arma che minaccia l’ intera umanità.
Con il destino del mondo e il controllo del futuro appesi a un filo, la squadra inizierà una frenetica missione in tutto il mondo, per impedire che l’arma cada nelle mani sbagliate.
Messo di fronte a un nemico misterioso e onnipotente, tormentato da forze oscure del passato, Ethan sarà costretto a decidere se sacrificare tutto per questa missione, comprese le vite di coloro che gli stanno più a cuore.
Photo Credits: Paramount Pictures
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