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Spider-Man: Across the Spider-Verse: la pagina di un fumetto prende vita e ci tira dentro

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Voglio da sempre stare in una band, senza trovare mai quella giusta. In un lavoro come il mio si finisce sempre a fare un assolo”. È la voce narrante di Gwen, che, nel pieno di un assolo rock di batteria, apre a sorpresa Spider-Man: Across the Spider-Verse, da giovedì 1 giugno solo al cinema. L’attesissimo film di animazione Sony Pictures è il secondo capitolo della pellicola premiata con il premio Oscar, Spider-Man: Un nuovo universo, ed è diretta da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson. Gwen parla dal suo universo, dove è l’eroina di turno, ma dove, come è ormai chiaro a chi conosce i supereroi, è sola. Così come è solo, nel suo universo, Miles Morales, il protagonista, l’Uomo Ragno che abbiamo imparato ad amare nel primo film. Dopo qualche minuto entra finalmente in scena anche lui.

La storia di Spider-Man: Across the Spider-Verse è molto semplice, ma anche molto complessa. Possiamo dirvi che, dopo essersi riunito con Gwen Stacy, Miles Morales, l’amichevole Spider-Man di quartiere di Brooklyn, viene catapultato nel Multiverso, dove incontra una squadra di “Spider-Eroi” incaricata di proteggerne l’esistenza. Ma quando gli eroi si scontrano su come affrontare una nuova minaccia, Miles si ritrova contro gli altri “Ragni” e dovrà ridefinire cosa significa essere un eroe per poter salvare le persone che ama di più.

Iniziare a vedere Spider-Man: Across the Spider-Verse è come la prima volta, come in quel giorno di dicembre in cui siamo entrati in un cinema per vedere Spider-Man: Un nuovo universo. È un’esperienza unica, stordente, totalizzante. Questa nuova saga d’animazione di Spider-Man, indipendente dai film live action del Marvel Cinematic Universe, ha uno stile unico. Non è il classico cinecomic con attori, non è il film d’animazione più “infantile”, con i personaggi curiosi (ma ai bambini piace tantissimo), non c’è il fotorealismo di tanta animazione di oggi.  C’è invece, in quelle immagini, un vero senso del fumetto, del disegno, del tratto imperfetto ma pieno di personalità. I disegni del film sono funzionali alla storia, ma hanno un loro senso anche come disegni a sé stanti, come se fossero opere d’arte. Hanno il tratto di un graffito, o di un acquerello. E non solo.

Una delle idee geniali del film è che, in una realtà dove sono possibili infiniti universi, e che in qualche modo siano comunicanti tra loro, ogni universo, ogni mondo, ogni epoca abbia il suo tratto grafico, il suo stile. Così vediamo l’Avvoltoio arrivare da universo dove la grafia è quella dei disegni di Leonardo Da Vinci. Ma vedremo anche uno Spider-Punk arrivare da un mondo in cui la grafica è quella “cut-up” e caotica delle copertine dei Sex Pistols e delle t-shirt di Vivienne Westwood, e ancora un mondo in cui l’immagine è quella dei mattoncini Lego.

Ma quello che conta è che questa versione animata dell’Uomo Ragno è proprio la pagina di un fumetto che prende letteralmente vita, si anima, ti avvolge e ti tira dentro. È un’esperienza immersiva, senza bisogno di essere in 3D o in realtà virtuale. Basta la potenza delle immagini, la loro profondità, la fantasia, la varietà delle soluzioni che regalano sorprese a ogni fotogramma. Allo stesso tempo il nuovo Spider-Man animato è puro cinema, essendo ricco di scene, per quanto stilizzate, che prendono ispirazione dagli stilemi del cinema poliziesco, noir e azione.

Ma la cosa che ci piace di più è che Spider-Man: Across the Spider-Verse racchiude in sé tutto il senso di quello che dovrebbe essere il cinema d’animazione oggi. Va bene che continui a fare le storie e i personaggi da “cartoon”, e che dall’altra parte insegua la realtà con personaggi creati al computer così fotorealistici da sembrare veri. Ma le possibilità che ha il cinema d’animazione sono quelle di essere “larger than life”, più grande della vita. Di andare cioè oltre i limiti della realtà, oltre le leggi della fisica, oltre quello che possono fare gli attori in carne ed ossa. E nel nuovo Spider-Man accade finalmente proprio questo.

Come il secondo Spider-Man di Sam Raimi, anche qui l’Uomo Ragno di Miles Morales è diviso tra la sua vita privata e il destino di essere un eroe e tutto quello che comporta. Come in quel film, anche questo Uomo Ragno d’animazione è capace di creare immagini iconiche. Come quelle in cui Miles e Gwen sono a testa in giù, ribaltati e attaccati al soffitto con i piedi, e l’immagine si capovolge mostrandoci i due eroi dritti, e tutto il mondo – lo skyline di New York – capovolto. Ci sarà anche un’immagine in cui Gwen è dritta e Spidey a testa in giù, come nell’iconica immagine di quel film con Raimi.

Certe sequenze d’azione riescono a creare un senso di vertigine da antologia. E la storia, dopo un inizio molto ironico – pieno di gag, battute, riferimenti ai social media – diventa più solenne e tragica, toccando temi come il libero arbitrio, il destino e la nemesi di ogni eroe. Temi da cinecomic adulto. Cosa che questo nuovo Spider-Man è. È un film epico, ambizioso, magniloquente. Forse, per essere un film d’animazione, è troppo lungo nei suoi 140 minuti, e a tratti anche troppo complicato e macchinoso, visto l’ambizione di raccontare una storia nuova e intricata. Non finirà qui, e arriverà un terzo capitolo. Le premesse ci sono. Come dice Gwen: “Non ho mai trovato la band giusta. Così ne ho creata una mia”. È una band di amici. Sono i suoi amici. E ormai sono anche i nostri.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Hit Man, la nuova esilarante commedia di Richard Linklater

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Senza dubbio una delle commedie più sorprendenti degli ultimi anni, Hit Man ha rappresentato una ventata di piacevolissima leggerezza alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il film è ispirato alla figura di Gary Johnson, insegnante di filosofia che part-time lavorava con la polizia assumendo il ruolo di finto killer professionista. Una strategia geniale, quest’ultima, per incastrare i mandanti di omicidi. Ma da questo spunto, rivisto e corretto per la narrazione cinematografica, Richard Linklater tira fuori una black comedy esilarante, che procede per equivoci, dialoghi incalzanti e colpi di scena. Una vera e propria commedia ad orologeria, senza soste, originale, ricca di sorprese, con un protagonista eccezionale. Ad interpretare Johnson, troviamo infatti la rivelazione Glen Powell, che aveva già lavorato con Linklater nel 2016 in Tutti vogliono qualcosa, ma che qui, forse per la prima volta nella sua carriera, ci regala una performance esplosiva, dimostrando uno straordinario talento trasformista. L’attore infatti non solo è perfetto nel tratteggiare l’evoluzione del suo personaggio, da semplice e solitario professore di filosofia a sexy uomo d’azione, ma è anche sensazionale nel reinventarsi nelle varie tipologie di killer che il protagonista si ritrova ad impersonare per lavoro, dando vita a momenti di raro divertimento.

Il film procede inizialmente seguendo uno svolgimento episodico, travestimento per travestimento, e dopo l’entrata in scena di Madison (interpretata brillantemente da Adria Arjona), il film cambia struttura e si concentra sulla love story tra il protagonista e quest’ultima. Una storia d’amore, di passione, di bugie, di imprevisti che riserva un finale scoppiettante.

Hit Man, in uscita ad ottobre negli Stati Uniti e presto anche nelle sale italiane grazie a BIM Distribuzione, è intrattenimento allo stato puro, costruito su una sceneggiatura priva di sbavature (scritta da Linklater insieme allo stesso Powell) e confezionato da una regia che maneggia magistralmente tutti gli stilemi del genere. O meglio dei generi. Il film infatti rilegge con ironia il noir, il poliziesco, la commedia sentimentale, l’action, il thriller, il classico biopic. E in qualche modo diventa la cifra ideale di tutta la filmografia di Linklater, variegata, eterogenea, spinta su coordinate sempre differenti. Il regista di Prima dell’alba e Boyhood dimostra, anche dopo il convincente Apollo 10 e mezzo, di essere in una nuova ispirata fase della sua carriera. E speriamo che continui ancora a lungo.

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

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Venezia 80, Rocío Muñoz Morales: “Dal mio romanzo presto un film”

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L’attrice e conduttrice presenta al Lido il documentario Time to Change, di cui è voce narrante e guida. Un progetto nato dall’urgenza di salvaguardare il futuro del pianeta.

Esattamente un anno fa le toccava aprire nei panni della madrina la 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, da allora sono successe molte cose, Rocío Muñoz Morales nel frattempo ha anche scritto un libro, Dove nasce il sole, e ora torna al Lido per rivivere la “magia” del festival e accompagnare il documentario di Emanuele Imbucci, Time to Change, di cui è guida e voce narrante sulle tracce del viaggio attorno al mondo del fotografo Stefano Guindani mentre documenta con i suoi scatti lo stato di realizzazione dei 17 obiettivi  dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Time to change è solo l’ultimo dei suoi progetti, in questi giorni è al cinema infatti con Uomini da marciapiede e nel 2024 sarà insieme al compagno Raoul Bova una delle concorrenti della quarta stagione del game di Amazon, Celebrity hunted. A breve tornerà a girare su un set, intanto ci dice “sto lavorando all’adattamento del mio libro per farne una storia per il cinema e ne sono felice, un pezzettino di cuore che sta prendendo vita”.

DAILYMOOD.IT: Torni a Venezia un anno dopo esserci stata da madrina. Che effetto fa? Hai visto qualche film?
ROJO MUNOZ MORALES:
Sì, ho visto Priscilla. Mi è piaciuto molto, soprattutto vederlo con lei (n.d.r. Priscilla Presley) presente in sala. Gli attori sono tutti brillanti, mi ha emozionata rivivere la magia della Sala Grande e l’amore per il cinema che si respira a Venezia. È stata una grande emozione e lo è anche essere qui oggi con un progetto nel quale credo profondamente. Time to change mi ha colpito, mi ha toccato in un modo delicato, sottile, mai furbo. È stato sincero, diretto, forse anche un po’ freddo ma proprio nella sobrietà e freddezza del racconto, l’ho trovato estremamente sincero. Mi ha smosso qualcosa dentro.

DM: In Time to change accompagni il giro intorno al mondo del fotografo Stefano Guindani. Che viaggio è stato?
RMM:
Non dobbiamo vivere il futuro come qualcosa di lontano, Time to change ci dice che è il momento di agire ‘ora’, ci troviamo in una situazione di urgenza e per questo non dobbiamo né arrabbiarci né urlare, ma solo fare, dobbiamo diventare concreti e essere consapevoli che tutti noi siamo responsabili di quello che accadrà domani o tra una settimana, di ciò che saremo tra due, dieci o quindici anni, di quello che saranno i nostri figli. Quindi è importante rispettare noi stessi, ciò che abbiamo intorno e vivere nel rispetto dei valori, nell’amore, senza perderci troppo in banalità.

DM: Il documentario di Emanuele Imbucci è anche un viaggio nella diversità. Quanto è importante vivere in un mondo che la accetti?
RMM:
La diversità è una realtà, dobbiamo essere coscienti del fatto che siamo tutti unici e diversi, il mondo è ricco in quanto diverso e quindi va curato anche nella diversità. Anzi, se non ci fosse la diversità sarebbe un mondo molto più piatto, abbiamo bisogno della diversità, curiamola e rispettiamola.

DM: Hai esordito a teatro con Certe notti, uno spettacolo sul terremoto che colpì L’Aquila nel 2009, poi hai proseguito con una commedia di denuncia sociale Di’ che ti manda Picone, nel 2020 hai condotto la maratona Telethon . I tuoi progetti sono accomunati da un fil rouge che è quello dell’impegno civile. Quanto sono importanti gli strumenti dell’audiovisivo in questo senso?
RMM: Il cinema, il teatro e le storie raccontate hanno un potenziale incredibile, quello di arrivare al pubblico in maniera delicata, poetica, educata, ma anche diretta. Ed è importante parlarne sempre, fare politica: è essenziale parlare di educazione e di sanità, di tutto quelle cose che ci appartengono e sono il nostro presente, se poi lo si fa con il tocco di magia che solo il cinema ti può dare, è ancora meglio. Il mio essere Rocio non è molto lontano dal mio essere attrice, quindi è fondamentale per me scegliere dei progetti nei quali credo anche nella vita.

di Elisabetta Bartucca per DailyMood.it

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Venezia 80, Leone d’Oro a Povere creature. Miglior regia a Matteo Garrone

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La Mostra del Cinema di Venezia si chiude con il trionfo del greco Yorgos Lanthimos. A Io capitano di Garrone va anche il Premio Marcello Mastroianni, conquistato dal giovane protagonista Seydou Sarr.

Aveva messo d’accordo tutti sin dall’inizio, critica e pubblico, staccando di netto tutti gli altri contendenti al Leone d’Oro. Non c’è da stupirsi quindi se a trionfare in questa 80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è il folle e irriverente saggio politico di Yorgos Lanthimos, Povere creature, in sala dal 25 gennaio 2024. Una creatura che, come ha spiegato il regista durante la cerimonia di premiazione, “non esisterebbe senza un’altra creatura meravigliosa come Emma Stone. Questo film è suo”. Il miglior regista secondo la giuria presieduta da Damien Chazelle, è invece Matteo Garrone con il suo Io capitano, l’epica avventura di due adolescenti in viaggio dal Senegal all’Europa raccontata attraverso il loro punto di vista, “un controcampo rispetto a ciò che siamo abituati a vedere qui in Occidente. Mi sono aggrappato al loro vissuto e alle loro storie, ho cercato di essere un intermediario, di mettere al servizio della storia la mia visione e dare voce a chi non ce l’ha”. Inevitabile cedere la parola a chi quel viaggio lo ha vissuto realmente, come l’attivista Mamadou, il cui contributo alla sceneggiatura è stato fondamentale e che ha dedicato il premioa tutte quelle persone che in Europa non sono mai potute arrivare. Quando c‘è la voglia e la necessità di partire nessuno ti può fermare. Ottenere un visto che ci consenta di viaggiare e ci garantisca un canale di ingresso regolare è l’unico strumento per stroncare il traffico di esseri umani”. Al protagonista del film, il senegalese Seydou Sarr va invece il Premio Marcello Mastroianni; di migranti, questa volta al confine tra Polonia e Bielorussia, parla anche il bianco e nero di Green Border di Agnieszka Holland, Premio speciale della giuria: Non è stato facile girare questo film – ha raccontato la regista – Farlo era però un dovere, dal 2014 quando è scoppiata la crisi dei rifugiati sono morte 60 mila persone nel tentativo di raggiungere l’Europa e ora che siamo qui seduti la situazione ritratta nel mio film continua, ci sono persone che si nascondono nei boschi, private dei loro diritti umani e della dignità, alcuni di loro perdereanno la vita, altri vivranno qui in Europa. Tutto questo accade non perché non abbiamo risorse per aiutarli, ma perché non li vogliamo”. A Pablo Larrain e Guillermo Calderón va poi il premio per la miglior sceneggiatura per il grottesco El conde, mentre il giapponese Ryusuke Hamaguchi conquista il Gran premio della giuria con Evil does not exist. Tocca invece a Peter Sarsgaard, protagonista di  Memory di Michel Franco, alzare la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile non senza aver rivolto un pensiero ai colleghi in sciopero: “Sappiamo che gli attori sono in scioepero, la questione di uno stipendio equo è centrale e lo è ancora di più quella dell’Intelligenza Artificiale, deve essre una nostra priorità. Un attore o un autore sono persone e tuttavia sembra che non lo siano, se gli esseri umani verranno consegnati alle macchine perdendo questa esperienza sacra che è la connessione fra uomini, se perdiamo questa battaglia la nostra industria sarà la prima a cadere fino alla disconnessione che preparerà  la strada delle atrocità. Lasciamo che questo spazio sacro esista, perché è qui che ho davvero ritrovato me stesso”, ha detto l’attore ritirando il premio. La giovane Cailee Spaeny è la migliore attrice per Priscilla, il biopic di Sofia Coppola sulla vita di Priscilla Beaulieu e sul suo matrimonio con Elvis Presley. Parla italiano il Premio degli spettatori Armani Beauty che va a Felicità, esordio alla regia di Micaela Ramazzotti, visibilmente commossa mentre ringrazia e dedica il premio “a chi sta vivendo un momento difficile, delicato e di infelicità. L’infelicità puo durare a lungo ma bisogna lottare sempre per la felicità”. Tricolore anche nel palmares di Orizzonti dove la Miglior sceneggiatura va a El paraiso di Enrico Maria Artale, mentre Una sterminata domenica di Alain Parroni ottiene il Premio speciale della giuria.

Premi della Selezione Ufficiale
Leone d’oro: Povere creature di Yorgos Lanthimos
Leone d’argento: Matteo Garrone per Io capitano
Gran premio della giuria: Evil does not exist di Ryusuke Hamaguchi
Premio speciale della giuria: Green Border di Agnieszka Holland
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Peter Sarsgaard per Memory
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Cailee Spaeny per Priscilla
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Guillermo Calderón, Pablo Larraín per El conde
Premio Marcello Mastroianni: Seydou Sarr per Io capitano

Premi della sezione Orizzonti
Miglior film: Magyarázat Mindenre (UNA Spiegazione Per Tutto) di Gábor Reisz
Miglior regia: Mika Gustafson per Paradiset Brinner (IL Paradiso Brucia)
Miglior sceneggiatura: El paraiso di Enrico Maria Artale
Premio speciale della giuria: Una sterminata domenica di Alain Parroni
Miglior cortometraggio: A short trip di Erenik Beqiri
Miglior interpretazione maschile: Tergel Bold-Erdene per Sèr Sèr Salhi (CITTÀ Del Vento) di Lkhagvadulam Purev-Ochir
Miglior interpretazione femminile: Margarita Rosa De Francisco per El paraiso
Leone del futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”: Ai Shi Yi Ba Qiang  (Love is a gun) di Lee Hong-Chi

Premi della sezione Venice Immersive
Migliore esperienza Venice Immersive: Emperor di Marion Burger, Ilan Cohen
Gran premio della Giuria Venice Immersive: Songs for a passerby di Celine Daemen
Premio speciale della Giuria Venice Immersive: Flow di Adriaan Lokman

Premi della sezione Venezia Classici
Miglior restauro: Ohikkoshi di Shinji Somai
Miglior documentario sul cinema: Thank you very much di Alex Braverman

Premio degli spettatori Armani beauty: Felicità di Micaela Ramazzotti

di Elisabetta Bartucca per DailyMood.it

 

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