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Durante la Milan Art Week si inaugura “Whether Line” a Fondazione Prada

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Fondazione Prada, come nella moda segue anche nell’arte il suo slogan: “un universo concettuale per chi ama sperimentare, sfidando le convenzioni“. In questo si inserisce appieno il nuovo progetto espositivo concepito da Lizzie Fitch e Ryan Trecartin per la sede milanese, quella di Largo Isarco.
Sino al 5 Agosto quindi, sarà possibile visitare l’installazione Whether Line, un lungo processo creativo, iniziato nel 2016 in America e che ha portato al percorso espositivo site specific Whether Line; che è anche il titolo della mostra che si snoda in molti degli ambienti di Fondazione Prada.
Una sorta di “casa di legno stregata”, in un percorso fatto di echi: sonori e visivi , naturali , di vita quotidiana che si uniscono a vere e proprie “distorsioni” di spazialità limitanti e di esperienze familiari.

Se nel Podium e nel Cortile della Fondazione il progetto del 2019 “Neighbor Dub“, segna l’inizio di un viaggio (con una installazione a 15 canali e volumi sonori) nel Deposito della Fondazione Prada, l’unica risposta che viene fornita è nella visione della proiezione di “Plot Front” sempre del 2019, un video di circa un’ora e mezza.
Contenuti narrativi e atmosfere grottesche che segnano anche il punto di arrivo – su delle sedie a dondolo bianche- dei visitatori in una sorta di percorso obbligato.
L’idea, che fa eco allo “sculptural theaters“, si esprime bene ed in maniera più che diretta essendo costretti ad esserne parte costantemente. Inoltre, la scelta di legare immagini tratte dagli ambienti naturali americani dove il progetto è nato, permette di ripercorrere un legame nuovo con gli spazi aperti: obbligando il visitatore a rimanere in un luogo chiuso, ma con la percezione di uno spazio esterno.

Come ben hanno detto gli stessi artisti la caratteristica di questa mostra è che: “Il set di Athens è molto diverso dai [nostri ]precedenti per vari motivi. In primo luogo per il legame con gli spazi aperti, tanto che anche l’interno instaura una forte relazione con ciò che è fuori” (Fitch).
Paura, timore di morte, paura dell’abbandono nel bosco, l’idea di una necessaria ed imminente separazione perchè non è “più il tempo”, avviene attraverso la fruizione della mostra, così come anche nell’ultima parte del percorso, degna di nota, nella sala cinema della Fondazione Prada. Con la proiezione di “The movies” , la Fondazione Prada raccoglie, in una sorta di collezione video enciclopedica (in tre atti scenici) un lasso di tempo artistico dei due creativi di quasi 10 anni di carriera,quasi tutta la produzione di questi insoliti autori americani.

I temi dei video di “Kitchen Girl“, di “I. Be Area” e di “Yo!“, per esempio, si mischiano a molti altri temi di milioni di minuti di girato negli anni, dagli esordi al successo, dove i temi cari agli artisti, come quello del diventare adulti o di provvedere a se stessi, fanno eco o controcanto ad altri tra cui: far parte di una società o meno, dispezzarla o deriderla. Creando ruoli sociali sempre diversi e del tutto nuovi, senza garbo e senza ironia, ma che paiono quasi un viaggio alla ricerca di quelle “briciole”, mangiate chissà da chi e dove, come in una moderna fiaba di Hansel e Gretel e che dovrebbero aiutare il visitatore della mostra ad orientarsi infine , in questo viaggio regressivo dove il meteo diventa anche viaggio mentale tra concetti di territorio e senso di proprietà.

Il viaggio nel mondo di Fitch e Trecartin che, come un tempo variabile reale, verbale e non, hanno fatto dell’immagine della installazione finale la costruzione “icona” di tutto il progetto: una casa ed il brutto tempo. Un vero universo concettuale per chi ama sperimentare, sfidando le convenzioni che, come Ryan Trecartin ha detto: “a causa del brutto tempo i lavori di costruzione sono andati a rilento rispetto ai programmi. Alla fine, per questa parte di riprese abbiamo dovuto girare accanto all’edificio e modificare molte delle idee che avevamo immaginato su come utilizzare il set. Abbiamo avuto anche tanti problemi con i vicini. Da qui sono nati i contenuti che riguardano i concetti di territorio e proprietà e che si sono poi mescolati alle prime idee che stavamo già esplorando.”

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

 

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Picasso come mood: la metamorfosi della figura

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Picasso, oltre Picasso. Picasso come mood nell’arte? L’eredità spirituale di Pablo Picasso nei suoi disegni sulla figura umana ed il suo senso antropologico in mostra a Milano presso il Mudec ne danno sicuramente testimonianza. Un percorso espositivo davvero suggestivo che , visitabile dal 22 febbraio fino al 30 giugno 2024 , chiude idealmente le celebrazioni del 50° anniversario della morte di Pablo Picasso. Il titolo della mostra è evocativo: PICASSO. LA METAMORFOSI DELLA FIGURA ed è a cura di Malén Gual e Ricardo Ostalé. Una mostra “evoluta” anche nella prestazione delle sezioni ed all’avanguardia nella presentazione del numero di accostamenti con l’arte africana per amplificare quel senso “antropologico” del lavoro di Picasso che non può lasciare indifferenti. Sguardo aperto su disegni, quadri, sculture, dove quel senso di “malagueno”, ovvero di appartenenza alla terra spagnola del sud di Malaga, esplode , rivendicando le radici di quell’arte che, fondamentalmente, è Pablo Picasso: passione per la luce ed i colori, nella sua profonda disgregazione delle forme quasi in assenza di gravità delle figure e dei corpi, come le immagini dei video finali sul lavoro di “light art” di Picasso ed alcune opere di arte africana contemporanea a lui ispirata, mostrano concludendo degnamente una mostra intensa e molto espressiva su quella arte “primitiva” che tanto lo ispirava era, in fondo, un desiderio di “aprire nuove strade”.
Come sottolinea il comunicato stampa infatti: “Picasso non vedeva un ‘prima’ e un ‘dopo’ nell’arte, non c’era un’arte “altra”, “diversa”: Picasso la concepiva come un Tutto senza tempo. “Non c’è né passato né futuro nell’arte. – amava sottolineare – Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non ha significato”. Pablo Picasso mostrò sempre un profondo rispetto per le manifestazioni artistiche di altre culture e di altri tempi e seppe, più di ogni artista della sua generazione, comprenderle e reinventarle con il nobile scopo di dare un impulso e un nuovo percorso di esplorazione all’arte universale. Il MUDEC propone al pubblico di leggere la ricchissima produzione di Picasso – dalle opere giovanili fino alle più tarde – alla luce del suo amore per le fonti artistiche ‘primigenie’, per l’‘arte primitiva’, e racconta questa costante rielaborazione intellettuale e l’eredità artistica della sua visione attraverso un grande progetto espositivo, appositamente pensato per essere ospitato nel cuore del Museo che racconta le culture del mondo e la loro reciproca e costante influenza. È importante infatti far conoscere al pubblico come Picasso abbia colto l’essenza e il significato di altre fonti artistiche e le abbia assimilate nella sua produzione per tutta la vita, dal 1906 – anno fondamentale per la sua produzione – fino agli ultimi lavori degli anni Sessanta”. E la mostra, vi riesce appieno.
Grazie ad un allestimento essenziale ma non affatto scarno, il visitatore viene accolto nell’arte di Picasso quasi come una sintesi ed una evoluzione del suo talento grazie alla videoinstallazione, in particolare nella sezione sull’arte “nera”,  dando voce allo stesso concetto che espresse , in fondo, Picasso: : “Quando ho scoperto l’arte nera, quarant’anni fa, e ho dipinto le opere che chiamano appunto del periodo della mia «arte nera», era per oppormi a quello che chiamavano ‘bellezza’ nei musei. In quel momento, per la maggior parte delle persone, una maschera nera era solo un oggetto etnografico. Quando sono andato per la prima volta con Derain al museo del Trocadero, un odore di muffa mi ha preso alla gola. Ero così depresso che avrei voluto andarmene subito. Ma mi sono forzato a restare. […] E allora ho capito che questo era il significato stesso della pittura. Non è un processo estetico; è una forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi, un modo di catturare il potere, imponendo una forma alle nostre paure come ai nostri desideri. Il giorno in cui ho capito questo, ho saputo di aver trovato la mia strada.” (Françoise Gilot e Lake Carlton, Vivre avec Picasso).
Una mostra che merita di essere, vista proprio per questa capacità di esporre Picasso oltre Picasso stesso e che si avvale di un catalogo molto ben realizzato che testimonia , in fondo, il perchè ora si può sempre più dire, a cinquanta anni dalla morte dell’artista che esiste anche un “prima e dopo Picasso” .
di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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BECAUSE YOU ARE A WOMAN Fotografie di Dina Goldstein, Maurizio Forcella, Keila Guilarte e Donatella Izzo

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In occasione della XIII Edizione di MIA PHOTO FAIR, la prima e più importante fiera d’arte dedicata alla fotografia in Italia, in programma all’ALLIANZ MiCo MILANO CONGRESSI dall’11 al 14 aprile 2024, Tallulah Studio Art presenta BECAUSE YOU ARE A WOMAN. Un progetto speciale, a cura di Patrizia Madau e Rebecca Delmenico, sviluppato attraverso l’accostamento visivo di quattro artisti della fotografia: Dina Goldstein, Maurizio Forcella, Keila Guilarte e Donatella Izzo. Ciascuno di loro esprime con stili differenti l’identità femminile e il suo cambiamento.

BECAUSE YOU ARE A WOMAN è lo sguardo sulle donne, il racconto delle loro suggestioni etiche, morali, amorali, contemporanee e i relativi contrasti sociali e culturali. Nella prospettiva di questi artisti la donna si libera di tutta una serie di imposizioni legate alla cultura occidentale, dove bellezza, giovinezza e ricchezza, veicolate da una perfetta apparenza, sono sinonimo di felicità. Una narrazione sull’universo femminile dove le donne vengono celebrate per la forza che dimostrano quotidianamente, per il loro essere indipendente di fronte alle sfide poste dalla contemporaneità.

Dina Goldstein (Tel Aviv, 1969) è nota a livello internazionale per le sue serie fotografiche, che si sviluppano in elaborate tableaux, in cui l’artista, con un linguaggio pop e irriverente, muove una critica sociale mostrando la propria versione degli archetipi della cultura di massa occidentale. Con le sue graffianti opere, Dina Goldstein affronta il cambiamento sotto diversi aspetti. Attraverso un racconto ironico e tagliente nella serie “In the Dollhouse” la fotografa scoperchia i lati oscuri di una dinamica ormai tossica nel rapporto di coppia, quella tra Barbie e Ken, caratterizzata dall’apparenza e dalla finzione. Con “The Fallen Princess” invece, abbatte il falso mito del “vissero per sempre felici e contenti”, creato da Disney ad uso e consumo di intere generazioni, ricontestualizzando le eroine Disney per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sfide della società contemporanea. Con “The Last Supper” dalla serie “God of Suburbia”, si affronta il cambiamento che la società dovrebbe avere nei confronti delle persone in difficoltà. Nella ricostruzione della cena più famosa della storia religiosa, la Goldstein rappresenta gli apostoli di Gesù come appartenenti a una gang del Downtown Eastside di Vancouver, luogo noto per essere tra i più malfamati e disagiati del Canada. Invece di un banchetto, troviamo lattine di birra vuote e zuppe in ciotole di plastica.

Le donne di Maurizio Forcella (Premio Arte Cairo Editore 2023), sovvertono l’estetica dell’apparenza, decostruendo l’idea di un’estetica contemporanea, dove tutto deve apparire in maniera perfetta, levigata e senza incrinature. Nei suoi ritratti l’artista cerca quell’imperfezione che da sempre è fonte di creatività e innovazione, e la racconta attraverso i volti sinceri, segnati dal tempo. Occhi chiusi, volti rugosi, niente sguardi ammiccanti, né filtri camuffanti: queste sono le signore sognanti di Forcella. Donne gentili, libere che hanno riaffermato per tutte il diritto alla diversità. La lavorazione, affidata alle cosiddette AI-TTI (Ar7ficial Intelligence Text-To-Image), permette di elaborare contenuti fotografici intervenendo su aspetti estetici caratterizzanti e grazie ad un preciso lavoro di post-produzione i risultati sono quelli di una fotografia pittorica.

Il reportage di Keila Guilarte I mille volti dell’Uganda” è stato realizzato in collaborazione con l’associazione To Get There, l’ETS (Ente Terzo Settore) fondata da Massimo Leonardelli e Piero Piazzi, con l’intento di aiutare le persone in difficoltà. Lo sguardo della fotografa cubana ci porta in mezzo a una realtà fatta di povertà e indigenza estrema, incontrando al tempo stesso la forza, la speranza, l’energia e l’attaccamento alla vita di questa popolazione caratterizzata dalla grande dignità. Scatti in bianco e nero, poetici ed evocativi raccontano gli sguardi inconsapevoli dei bambini e omaggiano soprattutto la personalità femminile ugandese, mostrata nella consuetudine di donne, madri e lavoratrici dalla grande tempra e fede.

Donatella Izzo nelle opere “Silent Time” e “She Wanted”dalla serie “No Portrait”, mostra l’anti-ritratto della donna in una società basata sull’apparenza e sulla moda dell’essere perfetti a tutti i costi attraverso i selfie, i filtri e i social. La vera rivoluzione è mostrarsi per quello che si è con le proprie fragilità e imperfezioni, anche dal punto di vista psicologico. Nelle opere della Izzo il viso è parzialmente nascosto per sottolineare l’idea dell’imperfezione che rende unici e fa sì che le personalità emergano scavando nell’io più profondo, andando oltre la superficie.

TALLULAH STUDIO ART
Tallulah Studio Art nasce nel 1999 su iniziativa di Patrizia Madau mente creativa, consulente di arte, design e fotografia. Da sempre alla ricerca di giovani talenti emergenti, dedica attenzione alle proposte delle nuove generazioni, promuovendo forma e materia nel design e nell’arte contemporanea in ogni sua espressione. La forza che contraddistingue Tallulah Studio risiede nella sua continua evoluzione estetica e nell’esprimere sempre concretamente i risultati di una ricerca costante. Patrizia Madau si è appassionata al lavoro di giovani artisti presenti nel recente panorama internazionale come Donatella Izzo, Federico Unia, Federica Angelino, Patrick Corrado, Riccardo Bonfadini, Ian Gamache, Fabio Roncato, Daria Dziecielewska McDouglas, Jono Nussbaum, Jordi Suñé Ferrús, Andrea Floris, Lorenzo Santy.

Dal 1999 ad oggi Tallulah Studio Art ha presentato molteplici mostre di arte, fotografia e design collaborando con artisti di fama internazionale come: Gerry De Bastiano, Melvin Anderson, , Nigel Coates, Michael Roberts, Dusciana Bravura, Dario Zucchi, Giada Barbieri, Gian Piero Gasparini, Thomas Berra, Fabio Roncato, Pier Lorenzo Salvoni, Gian Paolo Barbieri, Donata Clovis, Edland Man, Bruna Rotunno, Piero Figura, Carlo Bevilacqua, Keila Guilarte, Gianluigi Di Napoli, Maurizio Forcella, Dina Goldstein.

 INFORMAZIONI
MIA PHOTO FAIR 2024
ALLIANZ MiCo MILANO CONGRESSI | Via Gattamelata, 13 Milano
Tallulah Studio Art sarà presente allo Stand G005 corridoio G

ORARI
Orari di apertura MIA PHOTO FAIR dall’11 al 14 aprile 2024 | dalle 12.00 alle 20.30
BIGLIETTI ACQUISTABILI SU: MAILTICKET
www.miafair.it
tallulahstudioart.com
+39 3355929562

DINA GOLDSTEIN

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DONATELLA IZZO

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KEILA GUILARTE

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MAURIZIO FORCELLA

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Gli anni novanta della moda (e non solo) negli scatti iconici di Thierry Le Gouès: arriva a Milano la grande mostra fotografica organizzata da MKS Milano Fashion Agency

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Un’estetica che ha fatto epoca, un artista tra i maggiori a livello internazionale: “’90” (alla Galleria Rubin, dal 16 al 24 febbraio 2024) ritrae volti, espressioni e gesti di miti del mondo fashion, quali Kate Moss, Carla Bruni, Karen Mulder, Tatjana Patitz, Naomi Campbell e tante altre

Anni Novanta: un’estetica che ha fatto epoca. Colta dall’obiettivo di un grande fotografo, capace di immortalare l’essenza di quel periodo in maniera inequivocabile e di fissare quindi volti, gesti ed espressioni di alcune delle principali icone internazionali del fashion – e non solo – che han fatto di quei momenti irripetibili il loro trampolino di lancio verso la storia. È questo il tema dirompente di “90’s”, la straordinaria mostra fotografica che verrà inaugurata il prossimo 16 febbraio a Milano, in Galleria Rubin, al civico 10 di via Santa Marta. Protagonisti, gli scatti di uno dei fotografi più importanti nell’universo patinato della moda, il francese Thierry Le Gouès. Che ha saputo cogliere da par suo l’essenza estetica e caratteriale di donne inimitabili, che hanno calcato i red carpet, le passerelle e i palcoscenici più prestigiosi di New York, Parigi, Milano, Londra: parliamo di miti, come le top Kate Moss, Carla Bruni, Karen Mulder, Tatjana Patitz, Naomi Campbell e tante altre.

GLI ANNI NOVANTA – Dunque, una mostra fotografica da non perdere. Capace di cogliere l’identità profonda di un decennio sempre più attuale, ripreso e reinventato dalle nuove generazioni in una sorta di sindrome nostalgica. Edulcorato, mitizzato, artefatto: è nel mondo della moda che bisogna scavare per cogliere l’essenza di questo periodo storico. Ossia dell’ultimo capitolo del secolo scorso, che ha premuto l’acceleratore sull’immaginario femminile, mettendo in costante competizione generazioni di donne stimolando in loro un ulteriore bisogno di emancipazione. Il 900 è donna, si potrebbe dire… A conclusione di questo immaginario, i 90’s sono diventati dunque l’emblema di una concezione di femminilità intramontabile, insuperabile, pura e dichiaratamente ribelle. La conferma si ritrova nella mostra 90’s: una serie di rappresentazioni autentiche di ciò che è stato; ritratti che catturano l’essenza del percepito dell’epoca e al contempo il motivo per cui ancora oggi suscita così tanto fascino. Autoaffermazione, istinto provocatorio, bellezza esatta, estetica minimalista: l’ideale dell’irraggiungibilità ritratto attraverso purezza in bianco e nero e le immagini scultoree di Thierry Le Gouès.

L’AUTOREThierry Le Gouès è uno dei nomi più acclamati della fotografia mondiale, rappresentato in Italia da Mks Milano Fashion Agency. Nasce a Brest, in Francia, nel 1969. A soli 18 anni inizia la sua carriera di fotografo di moda lavorando per il gruppo Condé Nast. Da allora ha collaborato con le più importanti testate internazionali del settore (Vogue, Harper’s Bazaar, Marie Claire, Elle, Vanity Fair, Rolling Stone, solo per solo citarne alcune). In Italia è stato pubblicato da Vogue, l’Uomo Vogue, Per lui, Per Lei, Vogue Pelle, Vanity Fair, Marie Claire, Amica e Grazia. Nei decenni ha curato le campagne pubblicitarie fotografiche e videografiche di diversi brand del lusso, tra i quali Armani, Cartier, Alexander McQueen, Levi’s, Louis Vuitton, Pierre Cardin, Fendi, Gucci, Hermés, Ralph Lauren, Bottega Veneta, Nike, Paco Rabanne. Ha ritratto celebrità del calibro di Beyoncé, Mary J. Blige, Pete Doherty, Britney Spears, Harrison Ford, Isaac Hayes, Alicia Keys, Lenny Kravitz, Neymar e Sharon Stone. Ma una delle più grandi ragioni del successo di questo straordinario artista è la singolarità dei ritratti delle modelle più celebri del pianeta: Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Stephanie Seymour, Carla Bruni, Amber Valletta, Eva Herzigova, Kristen McMenamy, Yasmeen Ghauri, Helena Christensen, Tatjana Patitz e Karen Mulder. I suoi scatti son presenti ormai nelle più importanti gallerie del mondo. Ha anche pubblicato numerosi libri di successo, l’ultimo dei quali è l’omonimo “90’s, da cui sono tratti i contenuti della mostra, edito da PowerHouse Books: è l’emblema di ciò che viene considerata la massima espressione di fotografia di moda dell’ultimo decennio del Novecento.

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