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Orry Kelly: Tutte le donne che ho (s)vestito

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In Prima TV su Studio Universal il documentario “Orry Kelly: Tutte le donne che ho (s)vestito”

In concomitanza con la Milano Fashion Week (23 febbraio – 1 marzo), Studio Universal (Mediaset Premium DT) ha presentato in Prima TV, lunedì 29 Febbraio alle 23.20: “Orry Kelly: Tutte le donne che ho (s)vestito” (2015) di Gillian Armstrong, un documentario che celebra la vita e la carriera di uno dei più grandi costumisti di Hollywood: Orry-Kelly. Australiano naturalizzato statunitense nel 1934, non solo vestì dive del calibro di Bette Davis, Ingrid Bergman e Marilyn Monroe, ma, conquistò anche il cuore di un vero idolo delle folle come Cary Grant. Una relazione tempestosa durante la quale i due divisero tra l’altro un appartamento a Hollywood. www.womenhesundressed.com

OrryKellyOrry-Kelly nasce il 31 dicembre 1897 da Florence Kelly e William Kelly, sarto e grande bevitore. La madre lo introduce al teatro all’età di sette anni, portandolo nella grande città, a Sydney, a vedere una produzione di Dick Whittington. Orry stesso ha detto una volta che al calare del sipario sua madre dovette trascinarlo via dalla sedia di velluto rosso. All’età di diciassette anni, con l’aiuto dei genitori, Orry si trasferisce a Sydney dove termina gli studi e poi inizia a lavorare per una banca – così da frequentare “una classe più elegante”, come gli diceva sua madre. Quando lasciò Kiama, William Kelly, che all’epoca aveva smesso di bere, regalò a Orry un garofano rosa che aveva coltivato personalmente, chiamando la varietà The Orry.

Siamo a Sydney, nel 1918, e Orry si stufa sempre più della banca e delle persone che ci lavorano. La guerra è finita e la gente festeggia. L’atmosfera a Sydney è fuori controllo – cocaina, orge, sale d’oppio, uomini colti in atti irripetibili. Orry vuole unirsi ai divertimenti, è naturalmente attratto dal mondo del teatro e partecipa a dei casting, finché non ottiene un ruolo in un varietà licenzioso di Stiffy and Moe. Orry scopre il suo nuovo mondo, diviso tra la parte elegante della città, con le annoiate e ricche vedove e mogli felici di pagare personaggi del teatro per avere compagnia, e l’affascinante vita parallela di Woolloomooloo, con le signore della notte, gli speak-easy e l’uomo irresistibile dai contatti criminali e gli occhi delle star del cinema Wallace Reid. Il tutto serve a far sì che Orry entri in un rapporto lussurioso con il più noto borseggiatore di Sydney, GG (Gentleman George). Ma la storia è breve e Orry è già molto coinvolto, ha visto troppo del mondo criminale e deve fuggire dove nessuno lo conosce e può ricominciare da zero.

womenhesdressedNel 1922, Orry si imbarca sulla Sonora diretto a New York e il proibizionismo, passando per Honolulu, facendo coraggiosamente un salto nel vuoto per iniziare una nuova vita. Si ritrova a vivere in un hotel sulla 47 Strada, chiamata in modo azzeccato ‘Dream Street’ per tutti gli attori che vi abitano. Ha molti amici tra i perditempo e i banditi di Broadway, e dorme con Gracie Allen, George Burns e Jack Benny, tutti allegri ostentatori del proibizionismo. Anche qui Orry bazzica il teatro, ma i suoi giorni tra le fila di Broadway sono contati dopo che cade dal palco troppe volte, cercando di reggere una ragazza del corpo di ballo. Così passa a creare scialli dipinti a mano, almeno finché non vanno fuori moda.

Vista la popolarità dei suoi scialli, Orry aggiunge al repertorio cravatte dipinte a mano. In quel periodo l’acrobata Archie Leach, di una bellezza sconvolgente, entra nella vita di Orry. Archie non ha un soldo, un tetto, è lontano dalla sua casa a Bristol, in Inghilterra, ma ho già detto che era di una bellezza sconvolgente? Fu l’inizio di una relazione on/off basata sul “cameratismo”, Orry e Archie sono identici, entrambi lontanissimi da casa, Archie compra il merluzzo inglese e cucina fish and chips per alleviare la nostalgia di casa. Orry lascia che Archie tagli gli stencil per le cravatte mentre lui mette la vernice, così pagano l’affitto. Era l’era di Kelly-Leach, vissero assieme per nove anni a intermittenza.

Durante questo periodo Orry torna in Australia per il funerale del padre. Archie gli fa notare che aveva sempre un debole per le bionde mozzafiato, eppure nonostante ciò che dice è ancora lì quando Orry torna a New York. Archie vuole calcare il palcoscenico ed essere famoso. Usa il suo aspetto fuori dal comune facendosi pagare per fare l’accompagnatore delle ricche signore della città.

Gli spettacoli dei locali notturni di New York offrono a Orry l’opportunità di creare set, e le sue trasformazioni ottengono buone critiche. Allo Shubert Theatre inizia a vestire Ethel Barrymore e una certa Katherine Hepburn. Al teatro Shubert i costumi di Orry piacciono così tanto che lo promuovono a responsabile della manutenzione dei costumi di scena. Orry dice: “tutti gli uomini etero vogliono che il mio lavoro comprenda anche l’assicurarsi che le donne nude del Wintergarden si siano ricordate di rasarsi”.

Il 29 ottobre 1929 arriva il crollo della borsa, trenta miliardi di dollari bruciati in poche ore. Orry e Archie si uniscono al movimento degli speakeasy. Orry dipinge le pareti di un bar di Belle Livingstone, ex-showgirl e una delle donne più pericolose di New York. La sua parete di scimmie copulanti diventa celeberrima tra i giri loschi di New York. Orry propone di aprire uno speak-easy, una mossa che la malavita non digerisce bene. Orry e Archie devono lasciare la città, in fretta. Il teatro Shubert dà a Orry una stagione a St Louis e Archie lo raggiunge. Quando i gangster li scovano, decidono di non uccidere Orry perché aveva dipinto le scimmie. Ma gli lasciano tempo fino al tramonto per abbandonare la città e non tornare. Orry trova un passaggio fino a…

….Los Angeles…. gli anni 1930, l’avvento del cinema sonoro. Orry arriva con un braccio rotto, tagli ed escoriazioni. Non conosce nessuno, il suo lavoro di New York non gli permette di avere un accesso facilitato a Hollywood. Archie arriva in città poco dopo e fa un provino per la Paramount. Viene preso. Gli cambiano il nome in Cary Grant e lo propongono come il nuovo Clark Gable. Orry passa sei mesi senza un soldo e si intrufola nei cinema, inorridito dallo scintillio pacchiano e dai vestiti di paillettes che vede sul grande schermo. La signora Kelly dice a Orry di insistere, di arrivare al trailer di Joan Crawford che vieie vestita come una torta nuziale! Nel frattempo, Jack Warner della Warner Bros. Infrange tutte le regole facendo razzia   alla Paramount rubandogli alcuni dei divi più grandi. Il problema di Jack ora è trovare un costumista che facesse felici le sue nuove star Kay Francis e Ruth Chatterton. E tramite il nuovo agente di Archie, i bozzetti di Orry arrivano sulle scrivanie di chi conta alla Warner Bros. Jack Warner decide di dargli un’opportunità. Il ragazzo di Kiama viene assunto per vestire le star del cinema. Chi lo avrebbe mai pensato.

Orry scrive alla madre. “Lo studio vuole che cambi il nome come ha fatto Archie, in qualcosa di più ‘parigino’. Ma gli ho detto che Kelly a me va più che bene, così hanno aggiunto un trattino! Quando avrò il mio primo film, potrai applaudirmi nei titoli di coda”.

Entro un anno tutti gli studio assumono stilisti full time. Ma Orry è diverso dai suoi contemporanei; fa scalpore con la semplicità. Segna il passo alla Warner Bros., con semplicità elegante e classe. Orry soleva dire: “Ripetete dopo di me. Nessuna delle mie attrici farà mai una scena d’amore con vestitini a fiori e stupide maniche a sbuffo”.

Orry scrive alla madre: “Faccio vestiti per sessanta film all’anno e senza grande aiuto. Per il rinnovo del contratto ti ho detto che renderò fiera l’Australia”. E così fece, Orry-Kelly il ragazzo del bush australiano fece braccio di ferro per sei settimane finché Jack Warner cedette e accettò di pagare Orry settecentocinquanta dollari a settimana.

Orry-Kelly prosegue la carriera diventando uno dei costumisti più pagati di Hollywood. Era sfrontato, audace, e rispettato da molte delle attrici più brave e splendenti di Hollywood. La sua lingua però rischiava di metterlo nei guai, dopotutto Orry era australiano, e la sua schiettezza non piaceva a tutti – in particolare ad alcuni dei manager più potenti degli studio abituati a gente che li osannava senza mai contraddirli. Per questo la strada di Orry a volte non era tanto spianata, ma nessuno poteva negarne il talento e a Hollywood il talento vinceva sempre.

Orry fu il Costumista di ben 285 film, disegnò abiti per star come Marilyn Monroe, Bette Davis, Humphrey Bogart, Rosalind Russell, Errol Flynn e moltissime altre celebrità del grande schermo. Tra i suoi film: A qualcuno piace caldo, Casablanca, Un americano a Parigi e Perdutamente tua. Orry-Kelly (Jack per gli amici) vinse tre Oscar® e venne nominato per un quarto. Orry fu a capo del reparto costumi della Warner Brothers durante il periodo più florido della storia del cinema americano, che diede forma alla ‘fabbrica dei sogni’ e fu di grande influenza sulla cultura di massa tramite i brevetti sui costumi e gli show radiofonici.

Era scandaloso, arguto, schietto, bevitore, e non celava la sua sessualità in un periodo in cui Hollywood era profondamente conservativa, ma sopravvisse in parte grazie alla protezione che veniva dalla sua amicizia con Jack e Ann Warner e la giornalista di costume Hedda Hopper – ma principalmente grazie al suo straordinario e impareggiabile talento.

Gillian Armstrong (Melbourne, 18 dicembre 1950) è una regista australiana.

Nata a Melbourne, Victoria, si laureò al Swinburne Technical College nel 1968 dove ebbe modo di studiare come costumista teatrale e regista cinematografica. Nel 1972 si iscrisse, ed in seguito si laureò, all’ Australian Film Television and Radio School. Tre anni più tardi diresse i suoi primi due cortometraggi: The Singer And The Dancer e Smokes and Lollies(1975). Il suo primo lungometraggio, La mia brillante carriera, un adattamento dell’omonimo romanzo di Miles Franklin, fu il primo film australiano ad essere diretto da una donna dopo 46 anni. Armstrong ricevette 6 Australian Film Awards nell’edizione del 1979, incluso quello per la miglior regia. Dopo il successo di La mia brillante carriera, Armstrong diresse il musical Starstruck (1981). Da allora la Armstrong si specializzò nel genere drammatico. Ottenne il suo maggior successo hollywoodiano nel 1994 con l’adattamento di Piccole donne, con Winona Ryder e Susan Sarandon, al quale seguirono i film Oscar e Lucinda (1997), Charlotte Gray (2001) e Houdini – L’ultimo mago (2007).

Credit: http://www.studiouniversal.it

 

 

 

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DE ANDRÉ – LA STORIA 25mo anniversario

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Location: Teatro Carcano – Milano
Data evento: 11 Gennaio 2024

Nell’anniversario della morte di Fabrizio de Andrè, al Tearo CARCANO di Milano, va in scena “De Andrè, la storia”, lo spettacolo-evento. De Andrè, La Storia è un vero e proprio viaggio musicale nell’universo di Fabrizio De André, il grande cantautore italiano scomparso l’11 gennaio del 1999, sempre presente nella memoria e nella cultura musicale italiana, che accompagna intere generazioni. “De André, La Storia”, è lo spettacolo sul cantautore più importante e influente della musica italiana che celebra, a 25 anni esatti dalla scomparsa, la sua opera. Lo spettacolo ha debuttato nel 2020 e, dopo una tournèè nazionale, approda a Milano, al Teatro CARCANO.

“Fabrizio De André è stato uno dei primi a portare la canzone italiana verso la modernità, ha cambiato le regole delle canzoni, ha mescolato la storia e l’intelletto con il canto popolare, il sacro e il profano, la cultura alta e bassa con una libertà di espressione senza pari – dice il direttore Musicale, Massimiliano Salani – poterne raccontare l’epopea musicale ed umana attraverso la sua musica, ma anche attrvaerso immagini e testi credo sia una grande sfida e un grande privilegio”.

Da Creuza de ma, a Non al denaro… da La buona Novella a Le nuvole, da Anime salve a l’Indiano, l’avventura musicale di De Andrè viene attraversata in uno spettacolo emotivo e coinvolgente, arricchito dalle immagini e dalle informazioni che lo rendono un vero e proprio concerto documentario.
Grazie a un grande interprete, una band eccezionale e video esclusivi, questo spettacolo ripercorre quindi quarant’anni di attività artistica di Fabrizio De André, raccontando un’epoca storica, il clima sociale e politico di un periodo, l’atmosfera e il sapore di un mondo e di come un visionario lo abbia attraversato, descrivendo magistralmente noi stessi, oggi.

La sua storia, la nostra storia.

“È una grande emozione poter lavorare e ideare uno spettacolo basato su una figura così imponente del panorama musicale e intellettuale italiano. L’arte e la musica svolgono nella vita delle persone un ruolo fondamentale, che Fabrizio ha saputo coniugare con una rara indipendenza e profondità di pensiero. Oggi De Andrè è più seguito ed amato che mai, le sue canzoni restano attuali, le nuove generazioni le assorbono e rimandano sui social, negli eventi.
Stiamo ricevendo un caloroso riscontro riguardo agli spettacoli che abbiamo in programma.
Abbiamo voluto dedicare questo spettacolo a un musicista e poeta visionario, proseguendo una ricerca che portiamo avanti dal 2003. Questo evento non è solo un modo per ascoltare i brani di Fabrizio ma anche una possibilità di celebrare la sua influenza storica e la sua continua conversazione con il tempo e con la contemporaneità.” afferma il regista e produttore Emiliano Galigani.

Uno spettacolo da non perdere! I biglietti sono acquistabili online (TicketOne).

Lo spettacolo è prodotto da Stage 11: il regista, Emiliano Galigani ha già realizzato, nel 2003 lo spettacolo musicale Circo Faber, con la collaborazione della Fondazione Fabrizio de André, di Dori Ghezzi e dello storico collaboratore di De André, Pepi Morgia.

Voce: Carlo Costa
Synth, minimoog, voce: Massimiliano Salani
Chitarra acustica, nylon, bouzouki, voce: Emmanuele Modestino
Chitarra elettrica, chitarra acustica, berimbeau, guitalele: Giacomo Dell’Immagine
Basso: Luca Santangeli
Flauto: Eanda Lutaj
Batteria: Alessandro Matteucci

Regia: Emiliano Galigani
Video: Domenico Zazzara
Prodotto da: Federica Moretti, Simone Giusti
Per Stage11

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Pronto, Raffaella?… ci mancherai!

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Raffaella Carrà ci ha lasciato. Senza alcun segno di preavviso, in silenzio. La notizia è arrivata come un colpo a ciel sereno, totalmente inattesa. Aveva tenuto nascosta la sua malattia, probabilmente per non intaccherà quel senso di gioia, freschezza, libertà ed eterna giovinezza che la sua figura pubblica portava con sé, agli occhi di tutti, nell’immaginario collettivo, italiano ed internazionale.

E’ soltanto di qualche mese fa, del novembre 2020, l’articolo del Guardian che la incoronava “icona culturale che ha rivoluzionato l’intrattenimento italiano e ha insegnato all’Europa la gioia del sesso”. Parole che descrivono perfettamente ciò che Raffaella ha rappresentato per la società italiana e non solo, il ruolo fondamentale del suo personaggio, che ha saputo rompere tabù, creare e anticipare tendenze, sdoganare pregiudizi, giocare divertita su sessualità e sensualità.

La sua forza era la naturalezza. Quella naturalezza che l’ha spinta ad affrontare con caparbietà e disincanto dei tempi che stentavano a cambiare. Negli anni Sessanta-Settanta appariva, soprattutto agli occhi conservatori e benpensati, come una provocatrice scandalosa. Ma era “semplicemente” una donna che riusciva a spingere il suo sguardo oltre gli schemi sociali dell’epoca, senza paura dei giudizi, senza timore della censura.

Soubrette per eccellenza, nel senso più nobile del termine – non come lo si intende oggi… –, Raffaella Carrà è stata un’artista poliedrica, capace di cantare, ballare, recitare, condurre, stando alla pari con tutti, se non un passo, anzi dieci, avanti. Amata da tutti e da tutte le generazioni che ha toccato con la sua irrefrenabile simpatia e la sua dolce sensualità, negli anni non ha mai smesso di reinventarsi, di sperimentare, di mettersi in gioco.

Pochi lo ricordano, ma ha iniziato come attrice, diplomandosi al Centro Sperimentale di Cinematografia e recitando per tanti registi, da Carlo Lizzani a Mario Mattoli, da Mario Monicelli a Steno, e poi è esplosa in televisione rendendo il suo caschetto biondo, insieme ai suoi vestiti attillati e coloratissimi, un vero simbolo di libertà e sfrontatezza.

Ha lavorato e duettato con i più grandi dello spettacolo italiano, da Corrado ad Alberto Sordi, da Alighiero Noschese a Renato Zero, soltanto per citarne alcuni, e poi ha travalicato i nostri confini, conquistando le vette delle classifiche internazionali con le sue canzoni, diventate ormai immortali. E’ stato il “primo ombelico” del piccolo schermo, scandalizzando l’opinione pubblica, ha fatto innervosire il Vaticano con il suo “Tuca Tuca”, la sua discografia è ancora oggi l’inno per eccellenza dell’amore libero, del divertimento senza freni. “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Fiesta”, “Rumore” sono soltanto alcuni dei titoli che negli anni sono diventati la colonna sonora dell’appagamento, della felicità, facendo ballare e conquistando il mondo intero.

Una colonna sonora che sicuramente continuerà a cadenzare anche le prossime generazioni, con i suoi ritmi coinvolgenti e i suoi testi semplici ma unici. Esattamente come lei, come la stessa Raffaella, inimitabile icona pop, che con una “carrambata”, una risata, un balletto, è riuscita con tenerezza ed esplosività ad appassionare, divertire, coccolare il suo pubblico, ad entrare nelle nostre case, a farsi considerare una di famiglia. Da tutti. “Pronto, Raffaella?”, ci mancherai…

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

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Duran Duran: Quei new romantic in cerca del suono della tv

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Some new romantics looking for a tv sound” recita, a un certo punto, il testo di Planet Earth, il primo successo dei Duran Duran, la band che ha caratterizzato gli anni Ottanta, e, questo non lo immaginava nessuno, è ancora viva, vegeta e in ottima salute. E, a quarant’anni dall’uscita del primo album, Duran Duran (arrivò nei negozi proprio il 15 giugno del 1981) continua a fare tendenza. Se negli anni Ottanta Simon Le Bon, Nick Rhodes, John Taylor, Andy Taylor e Roger Taylor, da Birmingham, UK, idoli delle ragazzine per la loro bellezza, erano considerati alla stregua di una boyband, oggi tutti li considerano una grande band, gli artefici di un suono che ancora oggi è attualissimo, e che ha ispirato decine di gruppi che sarebbero venuti dopo di loro. I Duran Duran sono forse tra i più famosi esponenti del genere new romantic, una variante della new wave, il movimento che, in varie sfaccettature, seguì il punk.

I Duran Duran nascono già nel 1978. Sono tre studenti d’arte, John Taylor alla chitarra, Nick Rhodes ai sintetizzatori e Stephen Duffy alla voce e al basso. I tre sono compagni di scuola e amano gli artisti glam e synth pop. È proprio John Taylor a suggerire il nome per la band: si chiamerà Duran Duran ispirandosi a Durand Durand, il cattivo del film Barbarella, famoso film di fantascienza con Jane Fonda. E, se ascoltate certe linee di tastiera del primo album dei Duran, sentirete che una certa atmosfera fantascientifica c’è tutta. Nella band entrerà poi Simon Colley, al clarinetto e al basso. Ma, già dopo il terzo concerto, Duffy e Colley se ne andranno. John Taylor lascerà la chitarra per imbracciare il basso, lo strumento con cui darà un groove inconfondibile al suono dei Duran Duran. Alla batteria ci sarà il secondo Taylor, Roger. Il terzo, Andy Taylor (i tre non sono parenti) entrerà nella band come chitarrista. Alla voce ci proverà Andy Wickett, che registrerà con la band alcune demo. Ma non saranno i Duran Duran che conosciamo fino a che, con la sua voce inconfondibile, non prenderà in mano il microfono Simon Le Bon.

Il biglietto da visita con cui i Duran Duran si sono presentati al mondo è il singolo Planet Earth, quello in cui si parla di new romantic in cerca del suono della televisione. È una canzone trascinante che, ancora oggi, sembra arrivare da un altro pianeta. Ci sono i synth spaziali di Nick Rhodes, il basso incalzante di John Taylor, il ritmo sincopato della batteria di Roger Taylor che si sposa alla perfezione con i salti del basso, la chitarra ritmica rockeggiante di Andy Taylor. E poi quegli effetti sonori che sembrano evocare l’atterraggio di un elicottero, o qualsiasi altro veicolo vogliate immaginare. Magari un’astronave. È qui che sentiamo già tutte le influenze che hanno reso quello dei Duran Duran un suono unico. In quella ritmica c’è, ad esempio, il groove di Giorgio Moroder, quello, per capirci, di I Feel Love di Donna Summer. L’influenza dei Roxy Music, una band che aveva dato una propria interpretazione del glam rock, la sentiamo tutta in Girls On Film, il brano che apre l’album. Ascoltate Love Is The Drug dei Roxy Music e poi questa canzone, e capirete quanto siano importanti. E poi, ancora, ci sono gli Chic, ci sono i Japan di David Sylvian, idolo di Nick Rhodes, tanto che i due sembrano due gemelli separati alla nascita. E ovviamente David Bowie, che in qualche modo aveva lanciato il movimento new romantic nel suo video Ashes To Ashes, in cu apparivano alcune comparse prese da quella scena, tra cui Steve Strange dei Visage. Nelle linee melodiche orientaleggianti di Tel Aviv, lo strumentale che chiude il disco, ci sono degli echi di alcune canzoni del Bowie della trilogia berlinese. E nella versione Deluxe di Duran Duran, del 2010, c’è una cover di Fame (che i Duran incisero come lato B di Careless Memories), il brano, tratto da Young Americans, che Bowie registrò a metà anni Settanta insieme a John Lennon. A proposito, Duran Duran fu registrato, agli AIR Studios di Londra, proprio nel dicembre del 1980, quando da New York arrivava la notizia dell’assassinio di Lennon. Più tardi i Duran confessarono quanto fu difficile portare a termine le registrazioni dopo aver sentito quella notizia. Ma in quei giorni in quello studio c’erano proprio i Japan, i loro idoli, che stavano registrando Gentlemen Take Polaroids in fondo alla sala dello studio.

Girls On Film, il terzo singolo estratto dall’album, è stato il salto definitivo dei Duran Duran verso la fama. Merito anche di un video ad effetto, arrivato proprio nel momento in cui, grazie a MTV, il videoclip diventava allo stesso tempo una forma ad arte a sé, e il miglior veicolo promozionale per lanciare un singolo e un artista in vetta alle classifiche. Girls On Film era uno di questi video: fatto per bucare lo schermo, scandalizzare, far discutere. Era stato girato dal duo Godley & Creme, musicisti e videomaker tra i più in voga al tempo, e due settimane dopo venne lanciato negli Stati Uniti da MTV. Nel video, i Duran Duran suonano di fronte a un ring, sul quale si avvicendano una serie di numeri da nightclub: una ragazza mima un combattimento con un lottatore di sumo, un’altra simula un salvataggio da parte di un bagnino, una un massaggio e una cowgirl cavalca un uomo con una testa di cavallo. La parte più spinta è quella in cui due donne, di cui una in topless, lottano nel fango. Il video fece scandalo e molte reti televisive finirono per mandare in onda la versione alleggerita, senza la scena incriminata. Ma il video integrale venne trasmesso nei nightclub dotati di schermi video, e sulle nostre tivù musicali spesso veniva tramesso. Ma è un video che ha una sua ironia e, nonostante sia spinto, non è mai volgare. A maggior ragione se visto oggi. La potenza del suono di Girls On Film e quel video così particolare portarono l’album la terza posizione nella Top 20 inglese.

La Duranmania doveva ancora iniziare, e le ragazze che avrebbero voluto sposare Simon Le Bon anche. Da lì a poco sarebbe arrivato Rio, il secondo album, e i video esotici girati da Russell Mulcahy. Sarebbero arrivate le loro canzoni più belle e più famose, quelle che avrebbero fissato per sempre nell’immaginario il suono e l’immagine dei Duran Duran. Ma il primo album aveva forse un suono ancora più sperimentale, coraggioso, innovativo. I Duran Duran, insieme a un’altra manciata di artisti, avevano lanciato il movimento dei new romantic. Un movimento fatto di musica, come detto, ma anche di look sgargianti e sfrontati. I Duran Duran, grazie alla collaborazione con stilisti come Perry Haines, Kahn & Bell e Anthony Price, a ogni video e ogni apparizione si distinguevano per il loro abiti. Se i pantaloni sono spesso quelli di pelle tipici del rock, a volte stretti, a volte più larghi e a vita alta, i nostri vestono spesso con camicioni dalle maniche larghe e dal collo a sbuffo che sembrano usciti da un film su Casanova. Hanno vistose sciarpe attorno al collo, o strette in vita a mò di cinture, e a volte portano delle fasce annodate sulla fronte. Nel loro guardaroba ci sono quelle giubbe militari che oggi vediamo molto spesso, e il tipico giubbetto del rock, il chiodo, magari è di colore bianco, come quello che indossa Simon Le Bon nel video di Girls On Film, o blu. Gli abiti sono speso di tinte pastello, ad esempio carta da zucchero. Un classico del periodo, poi, sono le t-shirt, colorate o bianche e nere, a righe orizzontali. Il trucco sul volto è spesso deciso, pesante. E i capelli sono colorati con meches, bionde o di altri colori, e spesso dalle forme molto voluminose.

Quelle parole di Planet Earth possono suonare come “qualche nuovo romantico in cerca del segnale della tv”, o “in cerca di una sigla per la tv”. Ma ci piace leggere, in quei versi, che quei new romantic stessero cercando il suono della tv, cioè il prodotto perfetto per le nuove tivù musicali che stavano nascendo, una forma d’arte che unisse musica e immagini, canzoni e videoclip perfetti e inscindibili da essere una cosa sole nell’immaginario collettivo, suoni all’avanguardia e un look all’altezza di essi. A quarant’anni da Duran Duran, se oggi vi guardate e attorno e tenete le orecchie aperte, vedrete ancora in giro tracce del look new romantic. E, se le hit dei Duran risuonano ancora, hanno lasciato anche molte tracce sonore in canzoni di oggi e in band che, da almeno vent’anni o forse di più, in qualche modo provano a recuperare il loro suono.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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