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C’era una volta a… Hollywood. Credete nel cinema. Come Quentin Tarantino

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Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari, diceva Anton Cechov. Se in un film compare un lanciafiamme, bisogna che prima o poi dia fuoco a qualcosa, diciamo noi, iniziando a parlarvi di C’era una volta a… Hollywood, il nono, attesissimo film di Quentin Tarantino, il suo film più riflessivo, maturo, nostalgico: un nuovo modo di fare cinema, e allo stesso tempo il Tarantino di sempre. Non appena si inizia a seguire il film, ci si sente subito a casa: atmosfere, parole e immagini sono inconfondibili. C’era una volta a… Hollywood racconta la storia di Rick Dalton (Leonardo Di Caprio), attore famoso per i suoi ruoli d’azione negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, che, nel 1969 in cui si svolge il film, sta vivendo una fase di declino: nessuno gli fa fare più il protagonista, ed è cercato solo per fare ruoli da cattivo. Il suo agente (Al Pacino) gli propone di andare in Italia e fare gli Spaghetti Western, ma lui non è convinto. Accanto a Rick c’è il fidato Cliff Booth (Brad Pitt), che gli fa da controfigura, in tutte le sue sequenze d’azione, da anni: ma è molto più che uno stuntman, è un tuttofare, un’ombra che lo segue, un grande amico. I due sono alle prese con l’inizio di un nuovo film, mentre nella villa accanto a quella di Rick arriva una giovane coppia: sono Roman Polanski, regista europeo reduce dal successo di Rosemary’s Baby, e la sua bellissima moglie Sharon Tate, in costante ascesa nel firmamento di Hollywood.

Tutti i film di Quentin Tarantino non sono ambientati nella realtà, ma in un mondo a se stante, creato dal geniale cineasta americano, un mondo che è quello del cinema. L’universo nel quale si svolgono storie come Le iene, Pulp Fiction, Jackie Brown e tutte le altre è costruito con mattoncini presi da tutta una serie di altri film e, come se fossero dei Lego, sono smontati e rimontati per creare qualcosa di nuovo. Ma C’era una volta a… Hollywood è ancora più di questo. È una dichiarazione d’amore verso il cinema. È l’Effetto notte di Tarantino, metacinema come il classico di Truffaut, ma ovviamente alla maniera del nostro. È un intricato gioco di scatole cinesi, un film che al suo interno ne contiene molti altri, probabilmente tutti i precedenti film di Tarantino, e ovviamente tutto il cinema di cui si nutrono. Sin dalle prime scene, C’era una volta a… Hollywood è un continuo entrare e uscire dai film, dai set, dalle sale cinematografiche, un continuo passaggio dalla realtà al cinema: solo che anche la realtà, come dicevamo, è fatta di cinema, e questo rende il film come una di quelle case degli specchi in cui ogni immagine si specchia in un’altra creando un riflesso infinito.

C’era una volta a… Hollywood, dicevamo, racchiude tutto il cinema di Quentin Tarantino. Il regista americano non ha paura di metterci dentro tutto quello che ama e che ha contribuito a creare il suo cinema. Oppure siamo noi che amiamo così tanto i suoi film da rivederli ovunque, e all’infinito. Così nel suo nono film vediamo il Cliff Booth di Brad Pitt sfrecciare in auto nella notte e pensiamo subito alle corse di Vincent Vega in Pulp Fiction. Arriviamo sul set e, come direttore degli stunt, troviamo proprio Kurt Russell, cioè lo Stuntman Mike di Grindhouse: A prova di morte, e accanto a lui ecco Zoe Bell, anche lei protagonista di quel film, e anche controfigura di Uma Thurman in Kill Bill. A proposito, ricordate la tuta gialla e nera che riprendeva quella di Bruce Lee? In quella scena con Russell e la Bell c’è anche il personaggio di Lee, in uno dei momenti più esilaranti del film, in cui Brad Pitt – come per tutto il film del resto – è ai livelli di Bastardi senza gloria.

Sì, C’era una volta a… Hollywood è un film di attori, e un film sugli attori, quei tipi “falsi, che dicono battute scritte da altre persone”. Riunisce Brad Pitt e Leonardo Di Caprio, già con Tarantino rispettivamente in Bastardi senza gloria e Django Unchained: il primo irresistibile, ammiccante, sexy, il secondo drammatico, dolente, tormentato. Il verso per richiamare il cane del primo, e le lacrime del secondo, dopo aver girato una scena che gli fa capire di essere ancora un grande attore, sono tra le cose che resteranno. Ma, ovviamente, c’è di più. Quando sentiamo dire al Rick Dalton di Di Caprio che quando un attore comincia a fare il cattivo è a fine carriera, Tarantino sembra parlare proprio del suo cinema e dei suoi attori, di quelle star come John Travolta, o Kurt Russell, che il regista ha preso, ridipinto come villain e rilanciato verso una nuova carriera. L’ironia sta anche nel fatto che, un tempo, fare il cattivo era visto come un passo indietro, mentre oggi gli attori fanno a gara per i ruoli da villain diretti dai grandi registi (pensiamo a Tom Cruise in Collateral o a Heath Ledger ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro). E proprio Di Caprio, l’attore protagonista per eccellenza, l’eroe di Titanic, in carriera si è evoluto spesso in personaggi tormentati, creando un villain da antologia proprio per Tarantino.

A un certo punto di C’era una volta a… Hollywood, un set si apre, una quinta scivola di lato e svela ciò che c’è dietro, rivela la finzione e il gioco che tutti noi, dal regista allo spettatore, accettiamo ogni volta che parliamo di cinema. Il cinema, con film reali o inventati per l’occasione, entra spesso, in tutti i modi (il suono di una mitragliatrice, il dietro le quinte di un set, una scena che, mentre viene girata, ha già i movimenti di macchina e le luci del film finito) nel racconto principale, spezzando un film che, a parte questi inserti, ha un andamento piuttosto lineare, un respiro ampio, un ritmo più assorto rispetto agli altri prodotti di Tarantino, che partono in quarta e sparano subito alcune delle migliori cartucce. Sono film che prendono subito una direzione precisa, per poi cambiarla. Qui siamo a lungo in attesa di capire che direzione prenderà Tarantino, ma quando lo capiamo vediamo che tutto aveva un senso. A Quentin Tarantino, che era un commesso in una videoteca, il cinema ha probabilmente salvato la vita. E, in C’era una volta a… Hollywood, capiamo che il cinema le vite le può salvare davvero. Basta scrivere le storie con un altro finale. Basta crederci. E Quentin Tarantino crede talmente nel cinema da immaginare che possa fare qualsiasi cosa. Credeteci anche voi.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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