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Sulle serie tv, ovvero le storie a puntate

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Chissà chi avrebbe mai immaginato che le dita potessero avere il potere che oggi hanno, che con un dito si potesse essere in contatto col mondo. Oggi in un click, in un touch, si può vedere cosa sta facendo un amico a mille chilometri di distanza, ci si può comunicare; si può verificare il saldo del proprio conto in banca, e perfino accendere le luci di casa, aprire l’auto. Chissà chi avrebbe mai immaginato che con le stesse dita con cui impugniamo una penna o lo spazzolino da denti potessimo connetterci (che è parola bella, significa unirci insieme) con il mondo intero, senza nemmeno intrecciarle in una stretta di mano. Le dita sono il mezzo con cui rispondiamo a moltissime delle nostre esigenze perché, anche prima dell’avvento tecnologico, erano le estremità che connettevano l’uomo al mondo: per prendere qualcosa e portarsela vicino, son sempre state fondamentali, o quasi. L’esigenza di essere connessi al mondo reale, però, viaggia di pari passo a quella di conoscere altri mondi, altre storie. Le serie tv, oggi, sono una risposta a questa esigenza di immedesimarsi nella pelle di altre persone, di tessere vicende magari assurde, iperbolizzate o fantascientifiche.

Una volta, le series erano catene di oggetti strettamente legati tra loro; se vogliamo andare più in profondità, il verbo serere significa intrecciare. Come spesso accade, si può riuscire a capire di cosa si sta parlando soltanto scoprendo il significato del nome: le serie tv, infatti, sono storie, trame, intrecci, divise in puntate che hanno un filo conduttore. Questa divisione fa crescere l’attesa, immaginare come possa andare avanti, tanto che poi si rimane contenti oppure, a volte, male. Per quanto possano essere considerate un passatempo effimero, anche esse rispondono a un’esigenza prevalentemente giovanile: incarnarsi in persone simili, con domande simili. Da Friends a Grey’s Anatomy, da Happy days a Thirteen reasons why, negli ultimi decenni migliaia giovani si sono immedesimati nei personaggi visti in tv, e nelle loro mille peripezie.

Non tutti però sanno che l’idea di tessere (la parola ‘testo’ deriva, in fondo, da qui) trame, puntata dopo puntata, per suscitare l’interesse del pubblico, dare un modello da imitare, non è così recente. Erano gli anni ottanta dell’Ottocento quando Carlo Lorenzini (famoso poi con lo pseudonimo di Collodi), pubblicava le storie di un burattino chiamato Pinocchio. Talmente alto fu il clamore, che il capitolo XV (designato dall’autore come ultimo) in cui il burattino moriva impiccato, destò le proteste dei piccoli lettori, e l’autore fu convinto a continuare la storia e a darle un finale diverso. Da lì nacque poi il libro, e la favola che tutti conoscono.

Oggi come ieri, basta un dito anche per vivere altre storie: per scriverle, riprenderle… o, come tutti noi facciamo, per schiacciare play.

di GianMarco Ragusa per DailyMood.it

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