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Tonya. L’america ha bisogno di qualcuno da amare e qualcuno da odiare

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Il triplo axel è la figura più difficile nel pattinaggio su ghiaccio. È un salto in cui un pattinatore si avvita per tre volte e mezza su se stesso per poi atterrare sul ghiaccio e continuare. Durante quel salto si è praticamente in volo, staccati da terra, anche se per pochi secondi. Tonya Harding è stata la prima pattinatrice americana ad eseguire questa figura in una competizione ufficiale, i campionati nazionali americani del 1991. Anche se sarà ricordata per il fattaccio legato all’aggressione alla collega Nancy Kerrigan. Tonya (I, Tonya in originale) il film di Craig Gillespie con Margot Robbie (nelle nostre sale il 29 marzo) racconta tutto questo. Quell’axel lo vediamo più volte, da tante angolazioni, al ralenti. Nella scena di finzione e in quella reale dalla vera Tonya. E da quell’immagine, in quel momento in cui Tonya/Margot è sospesa in volo sopra a tutto, capiamo qual è il senso della sua vita. Tonya ha provato ad elevarsi, a librarsi in volo, a staccarsi dall’ambiente opprimente in cui è cresciuta. Ce l’ha fatta, ma per un tempo brevissimo, come quello del salto. Poi è stata inchiodata di nuovo a terra, perché da una vita come la sua, e da un ambiente come quello, non si scappa.

Tonya Harding è nata in un ambiente modesto, ignorante, gretto. Il padre che ha lasciato la famiglia quando era ancora bambina, e lei è cresciuta con una madre insensibile, cinica e violenta (“non fare amicizia, quello è il nemico” le dice quando familiarizza con una bambina il primo giorno degli allenamenti di pattinaggio). E poi un marito violento, con cui vivere sarà impossibile (il regista piazza Romeo and Juliet dei Dire Straits al loro primo incontro, con un’intendo ironico e beffardo) e che la trascinerà in fondo con sé, di fatto rovinandole la vita e la carriera. Sarà lui, in un certo senso, insieme ad altri tre idioti, a organizzare l’agguato a Nancy Kerrigan, la sua rivale di quei tempi, che doveva essere solo uno spavento, una serie di minacce di morte, ed è finito con il suo ginocchio frantumato a martellate. Tonya Harding, in tutto questo, non c’entrava neanche molto. Eppure tutto il mondo oggi si ricorda di lei come la mandante di quell’agguato. Tonya prova a raccontarci la verità. Ma, attenzione: come ci dice guardandoci in faccia nell’ultima scena del film, questa è la “sua” verità.

Già, la verità. Perché Tonya, oltre ad essere una perfetta storia nel cuore e sul cuore dell’America, è anche un intelligente apologo sulla verità. Prima di tutto, e questo è evidente, perché quella che ascoltiamo è la storia dal punto di vista di Tonya, e poi da quello del marito Jeff Gillooly, e della madre LaVona. E in questo è un racconto soggettivo. Ma anche perché Gillespie è bravissimo a giocare con realtà e finzione. Tonya infatti è un mockumentary, un finto documentario in cui i protagonisti raccontano la storia in prima persona, ma sono degli attori. La Tonya il Jeff e la LaVona che rispondono alle interviste sono Margot Robbie, Sebastian Stan e Allison Janney (vincitrice di uno strameritato Oscar – e un Golden Globe – per la miglior attrice non protagonista) bravissimi nel replicare – accentuandone il lato grottesco – le reali interviste da cui il regista è partito per girare il film. Con momenti geniali, come quello in cui Allison Janney/LaVona si rivolge all’intervistatore, e quindi al pubblico, avvisando di essere scomparsa dalla storia (cosa che un intervistato non può sapere, perché le sue parti nel film sono scelte al montaggio). O come quelli in cui gli attori, nella parte “dichiaratamente” di finzione, cioè quella narrativa, parlano in macchina e si rivolgono direttamente a noi spettatori. Così il confine tra le interviste e l’azione sfuma, in un cortocircuito che finisce per avvolgere, e coinvolgere, lo spettatore.

Il risultato è una bomba. Craig Gillespie entra dentro Tonya e il suo mondo, e ci porta proprio lì, ci fa guardare in faccia i protagonisti, ci fa conoscere così bene la storia e le motivazioni della Harding che quel mostro che i media ci hanno sempre mostrato impariamo ad amarlo. “L’America ha bisogno di qualcuno da amare e di qualcuno da odiare, vuole le cose semplici”, ci dice la voce narrante di Tonya. Ed è davvero stato così: l’America ha scelto la sua principessa, Nancy, e la strega, Tonya. Anche se in fondo non erano molto diverse, e per un po’ sono state anche amiche (godetevi i momenti in cui Tonya ci dice: “lasciatemi dire una cosa su Nancy”..). Chi era quindi Tonya? Una ragazza un po’ ingenua, sgraziata, perennemente in cerca dell’amore e dell’approvazione che non ha mai avuto da nessuno, così mortificata da pensare di meritarsi le botte, gli insulti, l’aridità di cui era circondata. Tonya le rende, in parte, giustizia, ed è un grande film. Merito di un’attrice protagonista, anche produttrice, la straordinaria Margot Robbie (The Wolf Of Wall Street). Sta facendo il percorso di Charlize Theron: imbruttirsi per dimostrare la propria bravura. Non ci riesce del tutto, perché dietro a quella bocca perennemente stretta in una smorfia di rabbia, dietro a quella goffaggine, c’è una ragazza di una bellezza unica, che non riesce a celare del tutto. Il suo volto si appropria di quello buffo della vera Tonya e la trasforma in una figura tragica, universale. Una di quei Perdenti, con la P maiuscola, di cui il cinema si nutre e ama da sempre. E il merito è anche di Gillespie, che evidentemente ha trovato i personaggi così assurdi da doverli rappresentare nella loro verità, replicando le loro interviste, accentuandone i caratteri distintivi. E, allo stesso tempo, ha capito di dover trattare il tutto in modo ironico, per sublimare la tragicità della storia. Ne esce un racconto grottesco, sarcastico, eccessivo, in cui i personaggi sono comunque credibili. D’altra parte, Gillespie ci aveva fatto appassionare a un ragazzo innamorato di una bambola gonfiabile (Lars e una ragazza tutta sua). Lo stile è dalle parti dei Coen e David O. Russell, un po’ di Scorsese e un po’ di Tarantino, tra l’immancabile citazione di Rocky IV e una strepitosa colonna sonora rock. Sui titoli di coda ascoltiamo The Passengers di Iggy Pop cantata da Siouxsie And The Banshees, e vediamo la vera Tonya volteggiare in quella famosa gara del suo primo triplo axel. Quando, per un attimo, era riuscita a volare via.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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