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L’attualità del mood della rivoluzione giovanile nella moda degli anni Sessanta a “Revolution”

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La minigonna e Londra. Un binomio che ancora oggi è sicuramente il simbolo per eccellenza di quei favolosi anni ’60 dove le donne, finalmente, potevano sentirsi libere di osare, mostrare ed essere consapevoli di un corpo, in particolare delle gambe, che poche prima di loro avrebbero provato ad essere in una città che si proclamava particolarmente “libera”.
Beatles, Mary Quant e Kings Road fecero il resto e permisero a centinaia e centinaia di ragazze prigioniere di convenzioni che sentivano oramai inutili, di immedesimarsi in nuovi modelli come Twiggy. Un vero e proprio mood rivoluzionario che da allora la moda non ha mai più dimenticato. Forse per questo la Mostra “REvolution!” presso la Fabbrica del Vapore di Milano, visitabile dal 2 dicembre al 4 Aprile 2018, ha dedicato proprio alla moda di quegli anni ampie sezioni della mostra con percorsi emozionali e splendida musica di accompagnamento agli abiti esposti.
Curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Victoria and Albert Museum, luogo per cui la mostra è nata, insieme al promoter italiano Fran Tomasi (il primo che portò in Italia i Pink Floyd), Clara Pamphili (giornalista e storica della moda) e Alberto Tonti, critico musicale, la mostra è un viaggio, un percorso emozionale ben strutturato ricco di molti punti di vista e tanti spunti: anche uditivi grazie a Sennheiser, partener dell’esposizione, ovvero un’audioguida speciale fatta solo di tracce musicali che automaticamente cambiano entrando in una sala differente della mostra; oggetti, design, arte, grafica, musica e storia dei Beatles con alcuni testi originali delle loro canzoni e costumi di scena di quegli anni ma, su tutto, gli splendidi abiti di scena, costumi ,abiti di pret a porter e di haute couture originali in mostra.
I rivoluzionari anni ’60 visti in quel taglio vertiginoso di tessuto: la minigonna.

Abiti d’alta moda “sottovuoto” in pannelli di pexiglass o street dress a trapezio e mini-dress di maglia fatti su misura, su manichini come in una ipotetica passerella o in particolare “teche spaziali” con ambientazione di quegli anni. Modelli di abiti che non solo fecero la fortuna di grandi nomi del pret a porter, ma anche delle prime vendite per corrispondenza, molto ben documentate in mostra e della più prestigiosa haute couture con rivisitazioni sulle passerelle sino ai giorni nostri, in particolare per quei minidress e giacche visti lo scorso anno a Milano e Parigi e una ricerca sempre più incalzante di quei look “spaziali” che si aprono sempre più al futuro del mondo, alla giovinezza ed alla voglia di cambiare (negli anni sessanta appunto, i primi successi di lanci spaziali), rievocati alla settimana della moda di Parigi lo scorso anno dalla sfilata di Chanel addirittura con l’accensione vera e propria di un finto razzo spaziale al centro della passerella.
La mostra “Revolution” arriva così anche per il pubblico italiano direttamente da Londra, dove è stata creata nel 2016 e racconta quel senso di “meraviglia” per il mood della rivoluzione – che si protrae in Europa ed America sino agli anni Settanta con periodi di grandi turbolenza e “rapidi cambiamenti sociali e politici”, come recita il comunicato stampa della mostra-.
Tra abbandono delle convenzioni, libertà e nuovi valori ecco che gli abiti in mostra nelle prime due sezioni evocano la dimensione ludica di quegli anni, tra moda, architettura e ricerca artistica, mentre quelli della terza sezione approfondiscono l’idea di identità di quegli anni con un allestimento “verticale-orizzontale” degli abiti che in modo indelebile forniscono in un solo colpo d’occhio l’idea del pret a porter e dell’haute couture di quegli anni.
Una nuova espressività che visivamente viene evocata con la ricostruzione di Carnaby Streeet, la via più “alla moda” di quegli anni.
Potrà la realtà contemporanea e virtuale influenzare gli stilisti con nuovi abiti mini in vinile? Ai posteri l’ardua sentenza.
Nel frattempo la mostra, Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, dai Beatles a Woodstock, rimane una bella mostra sulle storie, i protagonisti, i luoghi di quel periodo, gli anni tra il 1966 e il 1970, che cambiarono per sempre abitudini di una generazione intera e, a cascata, quelle di un po’ tutti quanti quando il mood della rivoluzione giovanile nella moda no, non restava a guardare. Rolling Stone, VH1 e Virgin Radio sono a fianco del progetto come Media Partner. L’allestimento è progettato da Corrado Anselmi, la produzione AVATAR – MondoMostre Skira mentre il progetto grafico è a cura dello Studio Dinamo Milano, catalogo Skira.

Di Cristina T.Chiochia per DailyMood.it

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