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Il natural mood nella mostra Extinct in the Wild di Michael Wang

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Largo ai giovani talenti. E se Prada Group è da sempre attiva nella promozione e nel sostegno dei talenti , in modo particolare al fine di creare nuovi percorsi creativi, il lancio di un concorso mondiale con altri attori e partner di eccellenza, ha portato in questi ultimi anni, alla realizzazione di progetti dai contenuti e percorsi pronti ad essere esplorati e declinati per creatività e qualità. Nasce così il progetto Extinct in the Wild nell’ala nord della Fondazione Prada a Milano dell’americano Michael Wang. L’artista, nel 2014 vincitore proprio con questo progetto “Extinct in the Wild di Michael Wang“, sviluppò ed ha sviluppato da allora sino ad oggi, quello che è il ruolo degli essere umani nella conservazione della specie di flora e fauna che, inevitabilmente, nel corso dei secoli ha colonizzato e fatto propria. Nella mostra, il progetto artistico è evidente: per le specie animali e vegetali la targetta dell’opera diventa titolo con l’indicazione del solo nome scientifico. E non solo. Le categorie di classe, ordine e specie ecc. diventano sintesi della tecnica utilizzata: la registrazione del loro anno di ultimo avvistamento, che sostituisce nella targhetta, il materiale che viene utilizzato e viceversa. Una raccolta quindi di esemplari sicuramente unica, sia di flora che di fauna, spesso di tipi non più esistenti in natura, che sopravvivono solo grazie all’intervento dell’uomo in un nuovo percorso di vita. Perchè far crescere un albero, abbandonare la coltivazione di alcune biodiversità di specie (per altre), costringere la natura a svilupparsi fuori dal proprio ambiente naturale (per sopravvivere o farla scoparire,) pare accogliere il pubblico attento come in una teca di luce. Inoltre, attraverso le fotografie che ne fanno da corredo lungo le pareti di fondo, pare quasi ripercorrere la storia del progetto attraverso la sua sintesi estrema. Ecco che le grandi teche-serra in mostra alla Fondazione Prada a Milano, predono quindi vita propria e ripercorrono, affiancate come sono dalla mostra fotografica sul fondo della parete, i due registri linguistici presentati che, in un continuo discorrere provocano ed ammiccano confondendo l’ambiente industriale che, si solito, ospita arte prodotta e non viva: come biopsie fotografiche, le immagini, a gruppi di due, offrono allo sguardo del visitatore il sito dell’ultimo avvistamento e l’attinenza alla specie naturale stessa: un mondo naturale che si offre dall’Est all’Ovest del mondo, mentre la cura delle teche, affidato ad un team della Fondazione che si occuperà non solo di questi organismi viventi (tra cui alcuni piccoli animali) ma anche della manutenzione, identifica l’unica intenzione umana possibile: l’unico fine, di mantenere in vita se non addirittura “salvare” la natura frastornata dai cambiamenti che l’uomo vuole. Una testimonianza diretta e “viva” quindi, di quanto, avendo bisogno dell’uomo, il mondo naturale sia quasi in una costante “cattività” e di come l’uomo culturale, necessiti quasi di un percorso emozionale che funga da “biopsia” dei vari tipi di flora e fauna presentati nelle teche ed a cui l’uomo stesso l’ha condannata e costretta come si evince dalle foto. Un mondo “fuori”, che si puo’ spiare dando un’occhiata spietata nelle teche, dove un ambiente al 100% naturale viene reso più confortevolmente umano, snaturandolo oppure concimandolo. Esattamente come accade nell’arte contemporanea e moderna, dove viene presentato un mondo umano che spesso, di umano non ha più molto.
Come il mood del naturale esemplifica appieno e che abbiamo in altri articoli più volte citato, la ricerca di una radice comune o di un “homo” radix appare invece sempre più sentita ed essenziale da cercare: non solo interessante ma utile, al fine di comprendere meglio non solo i fenomeni culturali (di una società in cui lasciare andare appare più semplice che preservare). In modo particolare quando si parla di testimoniare la bellezza, naturale o culturale che sia.

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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