Mood Your Say
In the mood for dance: intervista a Alessandro Viviani
Published
8 anni agoon
Il mood della danza va di pari passo con quello del fiabesco. Lo dicono i numeri e senza falsa modestia: nel 2015 erano 7mila le strutture per un totale 1,4 milioni di allievi, tra i 4 e i 20 anni, 17.000 scuole (fonte AGIS) eppure, ad oggi non esiste ancora una vera e propria legge che ne disciplini non solo l’insegnamento ma l’appartenenza. E proprio in un periodo dove i corpi di ballo stabili, anche in Italia, tendono a scomparire. Un “esercito” di circa 4 milioni di persone che ruotano attorno al mood della danza in Italia, se si contano i membri delle famiglie che poi vanno a vedere gli spettacoli ed i saggi nei teatri. Come mai il mondo della danza affascina così tanto? Come mai, più di qualsiasi altra arte, è proprio il mondo della danza a sviluppare quella vera e propria tendenza che è il “mood del fiabesco” o mood della fiaba che poi ritroviamo nei cartelloni dei teatri? Lo chiediamo ad un ballerino professionista, Alessandro Viviani.
Domanda: Benvenuto da Dailymood sig. Viviani, ci raccondi di Lei e della sua formazione come danzatore. Com’è stata la sua scuola di ballo e dove l’ha frequentata?
Risposta: Grazie a dailymood ed a Lei per l’invito. Io ho iniziato a studiare danza in età adolescenziale, quindi tardi rispetto alle modalità attuali, in una piccola scuola privata nella mia città in Toscana. In realtà il mio desiderio era quello di fare del Rock and roll acrobatico ma quando mi sono iscritto l’insegnante voleva che assieme a quella disciplina imparassi (giustamente) la danza classica e quindi ho iniziato anche lo studio di quella materia. Ho frequentato li circa 2 anni, poi essendomi appassionato al mondo del Balletto ho deciso che finiti gli studi del liceo avrei preso il mio percorso di vita per fare il ballerino .
Infatti poi mi sono recato a Firenze e ho perfezionato o meglio ricostruito tutto il mio lavoro. Li ho studiato assiduamente al “Centro studi danza di Firenze ” diretto da Cristina Bozzolini e Lilia Bertelli, mia cara insegnante prematuramente scomparsa. A loro debbo la mia preparazione di base. Insieme a queste insegnanti ho incontrato altre figure importanti, come Barbara Bear e Marcello Angelini e molte altre, basilari per la mia formazione sia di classico che moderno.
Domanda: ed il passaggio dal punto di vista lavorativo? Chi l’ha “scoperta” come ballerino? A chi deve la sua carriera?
Risposta: a dire la verità, il passaggio al professionismo è stato consequenziale infatti al termine dei miei studi a Firenze; ho tentato una Borsa di studio, al corso di Perfezionamento, tenutosi all’Aterballetto di Reggio Emilia e con mia grande gioia si, l’ho vinta. Lì ho avuto l’opportunità di studiare con grandi maestri di danza, da Victor Litvinov (Kirov) che ho riincontrato poi successivamente durante la mia carriera di danzatore a Olga Evreinoff (Bolschoi), Lidia Diaz (Cuba), Eugenie Tenner (American Ballet) e nel moderno e contemporaneo: Ronald Brown, Mari kajiwara e ancora Francois Raffinot per le danze Rinascimentali e per le materie teoriche la grande Vittoria Ottolenghi, il Maestro Alberto Testa, il critico musicale Mario Pasi… insomma un bel team di docenti! A quel punto, al termine del corso, insieme ad altri miei colleghi sono stato scelto per entrare a far parte della Compagnia di ” Carla Fracci “.
Li ho cominciato i primi passi da professionista e con questo gruppo o girato un po’ l’Italia facendo bellissimi eventi come il Gala delle “Divine ” a Pisa in mondovisione e il Romeo e Giulietta alla Rocca di Benevento trasmesso da quella bella trasmissione televisiva quale “Maratona d’estate”. In quel frangente di tempo ho avuto modo di studiare col maestro Gabriel Popescu grande artista. Successivamente mentre mi trovavo a Roma, ho studiato col maestro Riccardo Nunez e lui mi ha suggerito di recarmi a Trieste e li al teatro G. Verdi ho incontrato un insegnante e amico che ha perfezionato il mio percorso artistico, parlo di Tuccio Rigano oltre che bravo maitre de ballet anche persona squisita. In teatro poi ho incontrato moltissimi altri grandi colleghi, maestri e famosi coreografi.
Domanda: Riflettendo su ballerini famosi come Bolle, la Garritano ed Coviello… cosa pensa del rapporto tra immagine di un ballerino e la sua professionalità? Quando incide per un ballerino professionista il danno d’immagine? E per lei? Ha inciso sulla sua carriera?
Domanda: Scene da un corpo di ballo: ci racconti com’è l’atmosfera della sala prove? Ovvero quello che non si vede sul palcoscenico: quanto fare il ballerino sia tecnicamente molto forte ed impegnativo? E’ possibile entrare in scena senza un buon riscaldamento? Quanto è difficile lavorare come ballerino sulla pantomima? Quante ore di lavoro richiede l’avere una buona tecnica?
Risposta: Adesso sono “in pensione” da alcuni anni e per quello che mi ricordo, entrare in sala ballo vuol dire tutti i giorni, ogni giorno, mettersi in gioco, costantemente; incontrare i colleghi e instaurare dei rapporti cordiali o amichevoli e poi concentrarsi e pensare a lavorare bene e impegnarsi per superare le proprie personali difficoltà e stare attenti quando si montano le coreografie rispettando il più possibile quello che chiedono i coreografi e mettere a proprio agio i colleghi se si danza con loro. Tutto questo richiede uno sforzo giornaliero molto intenso sia fisico che mentale. Le posso dire che sindacalmente le ore lavorate non possono essere meno di 5 giornalmente e spesso sono di più se si è chiamati a svolgere ruoli anche da solista. Comunque all’interno delle ore lavorative ci sono delle piccole pause di pochi minuti e poi una più grande se il lavoro è consecutivo e non spezzato cioè se si fanno due prove mattina e pomeriggio.
Rispondendo alle altre questioni: Se si eseguono dei balletti, entrare in scena senza un buon riscaldamento è fortemente pericoloso perchè si va incontro a traumi, non a caso si fa una lezione di riscaldamento in scena prima delle prove e dello spettacolo. Se si effettuano ruoli pantomomici o lievemente mimici si può anche gestirsi un riscaldamento personale o minimo. Per un ballerino non è sempre facile entrare nel campo artistico come un attore e destreggiarsi sulla pantomima anche se, sicuramente per quanto riguarda i movimenti del corpo, possiede una padronanza che gli può permettere di rendere credibile ogni personaggio. Riguardo alla sua domanda sulla tecnica. Parliamo di tecnica? Guardi se non si possiede non si può entrare a lavorare in teatro, se poi si parla di grande tecnica quella è relativa al ballerino ed è per quello che esistono le categorie di: corpo di ballo, solisti, primi ballerini, guest o etoile.
Domanda: Secondo Lei, l’Italia è un paese dove è ancora possibile lavorare come ballerino professionalmente e continuativamente?
Risposta: credo di no. Purtroppo in Italia stiamo vivendo un momento molto critico per la danza. Su 11 enti lirici che avevano dei corpi di Ballo fissi, oggi ne restano pochi: La Scala, L’Opera di Roma, il San Carlo di Napoli ed il Massimo di Palermo, teatri che possono permettersi questa “fortuna”. Pensi che in questo momento ho dei colleghi che stanno lottando per mantenere un posto all’Arena di Verona e la loro paura è quella di venir “esternalizzati”. Proprio come hanno già fatto al Maggio Danza di Firenze. Per me da ballerino, è assurdo pensare di eliminare un corpo di ballo. Ed un corpo di ballo che è stato uno dei migliori in Italia, che ha condiviso il palcoscenico con artisti del calibro di Nureyev, Baryshnikov, Fracci, Terabust e tante altre Etoiles ed inoltre sito in una città sinonimo di arte e cultura. Lascerà una ferita profonda. Viste queste premesse, quindi no, non credo si possa più pensare di lavorare professionalmente “dentro” un teatro con un impiego a tempo indeterminato. E quelli che ancora lavorano così, a mio avviso, sono a rischio perchè tutto il sistema si sta dirigendo verso privatizzazioni con compagnie che arrivano da fuori. Forse ogni tanto qualche buon ballerino potrà lavorare, certo, ma non so quanto continuativamente, qualche mese consecutivamente si, certo. Ma se non si è sorretti da un teatro ed i corpi di ballo che incentivino la professione, dal momento che per poter ballare bene e seriamente occorre studiare (e quotidianamente), come potranno i futuri ballerini, permettersi lezioni e studi seri con la crisi del lavoro? Senza poi dimenticare chi ballerino lo è già, il danno psicologico -e sociale- di chi ha dedicato gran parte della sua vita alla professione e magari ha un mutuo per la casa e senza lavoro, non può pagarlo… Insomma, ora il problema in Italia affligge i corpi di ballo, ma poi? I cori? L’orchestra? Chissà!
Domanda: Ritorniamo, per concludere, a sognare un po’ sul suo mondo, quello della danza: l’abbiamo chiamato “mood del fiabesco” che altro non è che emozionare il pubblico forse “elevandolo”, questo, secondo Lei, è ancora possibile nel suo tipo di lavoro di ballerino?
Risposta: certamente, la funzione della danza come di tutte le altre arti, è quella di comunicare dei messaggi essenziali, sintetici e universali. Oggi secondo me ne abbiamo un gran bisogno. Personalmente poi, credo che non abbiamo bisogno infatti di vedere in scena argomenti che trattano di angoscia e disperazione, con percorsi che delineano riflessioni mentali, ma momenti che portino lo spettatore, con quel cammino discorsivo e lineare, ad immaginare e quindi realizzare una società più felice e propositiva.
Un mood, quello del fiabesco della danza, che non potrebbe sussistere senza la serietà di validi professionisti perchè, come disse Carla Fracci: “la danza è una carriera misteriosa, che rappresenta un mondo imprevedibile ed imprendibile. Le qualità necessarie sono tante. Non basta soltanto il talento, è necessario affiancare alla grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza.” Doti che i ballerini italiani anche in tempo di crisi, come Alessandro Viviani, testimoniano appieno alle nuove generazioni di danzatori.
di Cristina T.Chiochia per DailyMood.it
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