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Ratched: l’infermiera di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” è una serie Netflix

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Gli infermieri sono gli angeli di Dio”. La frase è da intendersi ironica. Perché stiamo parlando di Mildred Ratched, la terribile infermiera di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Da comprimaria, ma in grado di lasciare il segno, ora diventa protagonista assoluta nella serie Ratched, in streaming dal 18 settembre su Netflix. Ma la frase è da intendersi ironica perché quello di Ratched è un mondo creato da Ryan Murphy (Nip/Tuck, Glee, American Horror Story), che su Netflix abbiamo appena visto ricreare la Mecca del Cinema in Hollywood. Murphy è bravissimo a prendere pezzi di storia del cinema, studiarne l’immaginario e ripensarli creando qualcosa di nuovo. Se in Hollywood prendeva il cinema americano degli anni Quaranta e immaginava che le cose fossero andate in modo diverso, in Ratched prende un personaggio “minore” di un film e ne immagina la storia che è avvenuta prima.

RATCHED (L to R) JUDY DAVIS as NURSE BETSY BUCKET in episode 101 of RATCHED Cr. SAEED ADYANI/NETFLIX © 2020

Siamo nel 1947: Mildred Ratched, arriva nella California del Nord per trovare lavoro in un importante ospedale psichiatrico, dove riesce ad entrare, e a fare carriera, non senza trucchi e inganni. Mildred ha un’immagine impeccabile, ma – come capiremo dal colpo di scena alla fine dell’episodio pilota – porta con sé un segreto. Anzi, probabilmente più di uno.

Ratched, come Hollywood e altri prodotti di Ryan Murphy, ha una confezione seducente e raffinata, fatta di tinte laccate, inquadrature raffinate, abiti e scenografie eleganti. A spiccare è soprattutto il verde, in tutte le sue sfumature: tenue, quasi acquamarina, per l’iconica tenuta dell’infermiera che, da bianca che era nel famoso film di Milos Forman, qui prende un nuovo colore. Più carico in altre immagini, come ad esempio quelle delle automobili e di alcuni abiti. E improvvisamente acido, quando, in alcune sequenze, si impossessa all’improvviso dell’intera inquadratura.

In Ratched c’è anche l’altro marchio di fabbrica di Ryan Murphy, quella recitazione sopra le righe, effettata, esagitata. Un tono che colpisce subito, ma che, alla lunga, come accadeva in Hollywood, rischia di stancare, e anche di allontanare in qualche modo dalla storia. L’ospedale psichiatrico, e alcuni momenti horror della serie, rischiano di essere prevaricati da alcuni istrionismi degli attori che stridono con le atmosfere tipiche di quel luogo particolare che è il manicomio e di un genere come l’horror

A distinguersi, nel tono generale del racconto, è proprio il personaggio principale, interpretato da Sarah Paulson, una lunga serie di ruoli da comprimaria sul grande schermo (The Post e Glass tra i film più importanti) e già con Ryan Murphy in American Horror Story e American Crime Story. Qui è la protagonista assoluta, e la sua è un’interpretazione certamente riuscita. Impeccabile nei suoi attillati tailleur anni Quaranta, nelle sue acconciature o con i suoi cappelli che non passano inosservati, la sua Mildred attraversa il film con un contegno apparentemente inscalfibile. L’espressione imperscrutabile, l’affabilità quasi inquietante, il sorriso appena accennato e i modi cortesi nascondono un carattere freddo, dei modi risoluti, una follia lucida e determinata. La recitazione di Sarah Paulson è misurata, e gioca a contrasto con quelle di altri attori.

Sarah Paulson è al centro di una squadra di alto livello. Ci sono Vincent D’Onofrio, l’indimenticabile “palla di lardo” di Full Metal Jacket, ancora una volta trasformato, imponente e mefistofelico, nei panni dell’ambizioso Governatore George Wilburn. C’è Cynthia Nixon, la (anche lei indimenticabile) Miranda di Sex And The City, nella parte di Gwendolyn Briggs, l’assistente di Wilburn. Interpreta una signora attempata, elegante e cortese. Per chi non dovesse averla vista per un po’, dopo averla conosciuta sempre come la single brillante e indipendente della famosa serie, di cui conserva l’innata, maliziosa, grazia, è una novità interessante. E poi c’è Sharon Stone, biondissima e in gran forma, che sembra una diva del cinema anni Quaranta. È una donna molto ricca, che nasconde un segreto…

In Ratched, come avrete capito, ci sono tante sottotrame che si innestano nella storia principale, quella di Mildred, il suo lavoro e i suoi legami familiari. Detto che la sospensione dell’incredulità richiede molti sforzi da parte dello spettatore, spesso queste storie non si innestano bene nella principale, non ne hanno la stessa forza, e finiscono per diluire il racconto. Dopo lo stupore delle prime puntate, il gioco si fa meno interessante, con troppe digressioni, e con quel tono grottesco tipico di Ryan Murphy che, a tratti, tende ad allontanarci dalla storia.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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