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Away. Hilary Swank in viaggio verso Marte. Su Netflix.

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Si intitola Away la nuova serie Netflix con Hilary Swank, disponibile in streaming dal 4 settembre, e il titolo sembra una dichiarazione programmatica. Away, cioè lontano. La serie racconta la storia di un’astronauta, Emma Green (Hilary Swank), una moglie e una madre, che si trova a guidare un equipaggio internazionale nella prima missione su Marte. Emma deve accettare di abbandonare il marito Matt (Josh Charles) e la figlia adolescente Lex (Talitha Bateman) proprio quando hanno maggiore bisogno di lei. Matt infatti ha un incidente proprio quando Emma sta per partire. E Lex è alle prese con i primi amori, con la scuola, la riabilitazione del padre, e con tutte le insicurezze tipiche della sua età. Uno dei temi di Away è proprio questo: la lontananza. Quei momenti in cui ci troviamo lontano dalle nostre famiglie, eppure sappiamo che abbiamo un compito da portare a termine. Un viaggio nello spazio, su Marte, tre anni lontano da casa, sono un caso limite. Ma è un discorso in cui possiamo riconoscerci tutti.

Insieme a Emma, nello spazio, ci sono astronauti di tutte le nazioni. Misha (Mark Ivanir), un cosmonauta e ingegnere russo, il più esperto dell’equipaggio, ha dovuto sacrificare la propria famiglia per il sogno di andare nello spazio. Kwesi (Ato Essandoh), un cittadino britannico del Ghana, tranquillo e riflessivo, un uomo di scienza e di fede, è un botanico di fama mondiale e porta con sé la speranza di far crescere la vita su Marte. Lu (Vivian Wu), un chimico e un’astronauta che rappresenta la Cina, è intelligente e pragmatica ma nasconde una vita personale complessa. Ram (Ray Panthaki), un pilota di caccia dell’Aeronautica militare dall’India, a differenza degli altri, è quasi solo al mondo, e ha un grande bisogno di legami. Nel chiuso dell’astronave, questi cinque elementi costretti a convivere, come in un esperimento sociologico, si incontrano e si scontrano, fanno uscire le loro fragilità e il loro vissuto. Le loro sensazioni e le loro emozioni, in un contesto come quello, tendono ad ingrandirsi, a esplodere. Il tutto mentre sono continuamente monitorati e seguiti dal “ground control”, dal controllo missione sulla Terra, come se fossero in uno specialissimo reality show.

Away è solo apparentemente una space opera, un film ambientato nello spazio. In realtà sembra quasi una sorta di soap opera, per quanto mette al centro i sentimenti, i rapporti tra le persone, l’approfondimento per i personaggi. Ma lo è anche per come, nel suo schema narrativo, inserisce una serie di elementi tipici di questo genere: le bugie, i tradimenti, le relazioni segrete, le attrazioni non dette. Quasi metà della storia si svolge sulla Terra, away, lontano da chi sta viaggiando su Marte, e quello che importa sono i problemi che la lontananza, l’assenza, il mancato contatto comportano. I protagonisti potrebbero anche essere in un viaggio d’affari. Perché il punto è che ora sono lontano, e hanno scelto di esserlo.

Away, lo avrete capito, è un film che parla di scelte, delle decisioni che ognuno di noi, soprattutto una donna nel mondo di oggi, si trovano a fare. Il lavoro, e una consacrazione meritata e aspettata da anni, o la famiglia, e il sostegno ai propri cari. Il personaggio di Melissa (Monique Curnen), l’astronauta che è il contatto tra Emma e la Terra, è il contraltare di Emma: ha deciso di non volare, di non fare più l’astronauta, per stare vicino a una figlia che aveva bisogno di lei. In lei c’è del rimpianto. In Emma, d’altra parte, c’è il senso di colpa per aver scelto di volare. Ma anche la consapevolezza che per una donna è sempre più dura riuscire solo a farsi accettare per missioni di questo tipo, e allora non è giusto rinunciare.

Tutto questo viene raccontato con una sceneggiatura un po’ furba, una di quelle storie che, invece di puntare su una progressione del racconto, su una crescita dei personaggi, costruisce un percorso a ostacoli. Alla missione, ma anche a chi è rimasto sulla Terra, ne succede una ogni giorno, e la missione sembra seguire la famosa prima legge di Murphy: se qualcosa potrà andare storto, lo farà. È un modo un po’ più semplice di costruire una storia, perché crea suspense e tensione. Il percorso dell’eroe, lo sappiamo, è fatto di ostacoli da superare. Ma, con una costruzione di questo tipo, tutto sa un po’ di studiato, di creato ad arte. Anche The First, la serie Hulu con Sean Penn che trattava lo stesso tema, metteva insieme la corsa allo spazio e le storie personali, ma tutto sembrava più bilanciato, e la storia aveva un incedere più naturale. Era una storia fatta anche e soprattutto di silenzi, di un ritmo più assorto, di ampio respiro. E in questo modo riusciva a creare maggiore attesa, ad essere più evocativo.

Away ha comunque una confezione pregevole. È patinata, melodrammatica, a suo modo intensa: avrebbe però bisogno di essere “asciugata” da certi cliché e da una certa retorica. Ha un grande cast, in cui spicca ovviamente Hilary Swank, che ha lo sguardo fiero e coraggioso che le abbiamo visto tante volte, e qui recita non solo con il volto, ma con tutto il corpo, come nel film in cui ce ne siamo innamorati, Million Dollar Baby. Accanto a lei colpisce Josh Charles, che per noi è sempre uno dei ragazzi de L’attimo fuggente e, a distanza di anni e con qualche ruga in più, ha sempre il sorriso e la luce negli occhi di quel ragazzino. Tra Rocket Man di Elton John e La vita è meravigliosa di Frank Capra, il loro viaggio continua. Verso Marte, certo. Ma anche verso una ricerca di se stessi che, a qualsiasi età, nessuno di noi ha mai finito.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

 

 

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