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Gold Mass. La Nuova Goldfrapp è italiana.

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Chiudete gli occhi e ascoltate. Crederete di essere in un club di Bristol a metà degli anni Novanta. Invece siamo in Italia. Emanuela, in arte Gold Mass, in quegli anni era probabilmente giovanissima, ma è miracolosamente riuscita a ricreare un suono che credevamo non si potesse ascoltare più. Tantomeno in Italia. L’album di Gold Mass, Transitions, che uscirà in primavera, è prodotto da Paul Savage, già produttore di Mogwai, Franz Ferdinand, Arab Strap, che ha voluto lavorare sul suo progetto dopo aver ascoltato alcune demo che aveva inviato per mail. Avete presente quelle cose che si fanno, non sperando nemmeno in una risposta? Invece Savage ha risposto e insieme a lui hanno risposto altri grandi produttori, tra cui quell’Howie B che conosciamo tutti per il lavoro con Björk, gli U2 e Tricky. Emanuela è laureata in fisica e lavora nel reparto di ricerca e sviluppo di una multinazionale tedesca: si occupa di acustica e passa il suo tempo in laboratorio a fare misure e simulazioni virtuali. La sua vita è totalmente immersa nel suono, che siano rumori industriali o le eteree composizioni della sua musica. Dove finisce uno inizia l’altro. Il suo è un progetto completamente indipendente, completamente autofinanziato. E, questa è la cosa più bella, è tutto al femminile. In un mondo che sembra ancora restio a dare spazio alle donne, ci sono donne che se lo prendono da sole.

Ascoltare la musica di Gold Mass è impressionante. Sembra davvero di essere stati ibernati per vent’anni e ritrovarsi in quegli anni Novanta in cui c’è stata l’ultima rivoluzione musicale, dove si sperimentava. Erano gli anni della musica elettronica, del trip hop, di artisti come i Massive Attack, i Portishead e Goldfrapp. Emanuela riesce a creare un suono morbido, avvolgente, sinuoso e insinuante. A volte oscuro, a volte più solare, ma velato di malinconia. Our Reality è il classico che mancherebbe ai Portishead dopo Glory Box e All Mine. Happiness in A Way potrebbe essere uscita da un disco di Goldfrapp. May Love Make Us ha il beat potente di certi brani di Mezzanine dei Massive Attack. E su tutto c’è la sua voce: a volte eterea, a volte sensuale, a volte più potente, sempre pulita, mai virtuosistica ma sempre funzionale all’ambiente sonoro dove si trova. E tra i sintetizzatori c’è anche spazio per strumenti più classici, come il pianoforte.

IL PIANO, MOZART, POI I BEATLES E….

Sì, perché quello di Emanuela non è il lavoro di qualcuno che ha studiato un tipo di sound e lo ha riprodotto. Non sarebbe stato lo stesso. Il suo è un percorso che viene da lontano, e da altri mondi. “Come musicista sono pienamente classica: da quando ero bambina ho preso lezioni di pianoforte, il mio iter è stato quello di qualsiasi pianista, la musica che suoni e ascolti è prettamente classica” ci racconta. “Questo ti dà un bagaglio completo, perché conosci la musica che è successa centinaia di anni fa. Qualsiasi cosa ha lasciato una traccia, le leggi dell’armonia sono le stesse che funzionano oggi e che usava Mozart all’epoca. Capire questo è importante, altrimenti si è come uno scrittore senza aver mai letto i classici della letteratura”. “In casa giravano i dischi dei Beatles, e da lì ho poi straripato, tutto quello che era il rock anglosassone, e poi americano, l’ho divorato. È come una grammatica”.
Sembra che Emanuela sia cresciuta a pane e trip-hop, ma è arrivata alla musica elettronica solo recentemente, dopo aver ascoltato il post rock, il progressive. “E non mi è risultata piacevole da subito” ci confessa. “È stato ascoltando il lavoro di Nils Frahm che mi sono innamorata dell’elettronica, la sua è una musica raffinata, che unisce l’elettronica alla classica e per questo motivo mi ha in un certo senso accolto verso questo nuovo mondo sonoro”.
E l’elettronica è una confezione, un punto di arrivo per delle canzoni che hanno un’anima intima e acustica. “Il momento della scrittura per me è quasi sempre voce e pianoforte” ci racconta Emanuela. “Poi ricerco i suoni al sintetizzatore per creare l’atmosfera che vorrei avesse il pezzo”. “All’inizio non sapevo se questa cosa dovesse essere ridimensionata” continua. “Io scrivo al piano, è il mio strumento a cui sono inevitabilmente legata. Nel pezzo Mineral Love, ad esempio, questo legame con il pianoforte è parecchio evidente: quando l’ho fatto sentire a Savage gli ho detto che mi sembrava di aver scritto una melodia molto italiana, e gli chiesto di aiutarmi a ridimensionarla. Mi ha risposto: assolutamente no”. I riferimenti agli artisti che vi abbiamo citato non sono mai troppo voluti. “A me succede così” ci confida l’artista. “Non è mai una cosa esterna che mi fa scrivere. Sono affascinata dai Blonde Redhead, credo si senta molto nella musica che faccio: ma scrivere un testo pensando esplicitamente a un mondo musicale credo sia sbagliato. E’ tutto quello che ascolto che esce fuori, ma in una forma nuova”.

LA FELICITÀ È UN ATTIMO.

La musica di Gold Mass è notturna, carezzevole, intima. Come lo sono i testi, introspettivi e personali. “Nascono tutti da un momento molto particolare” ci confida Emanuela. “Ho bisogno di scrivere: per me la musica è una terapia, scrivere mi fa stare meglio, la mia inquietudine si ritrova qua dentro. È un esorcismo, un tentativo di confessione, nascono tutte nello stesso periodo”. “Non ci sono momenti allegri o tristi” continua. “Happiness In A Way in realtà è un pezzo malinconico, perché la felicità sono piccoli momenti che ci capitano. La serenità è un’altra cosa. Nella canzone ho messo un pezzo di pianoforte, che mi ricorda di quando ero bambina. Tutti i pezzi, anche quelli che sono cupi, nei ritornelli hanno aperture più forti. Quando scrivi senza filtro viene fuori quello che sei”. Happiness In A Way è il primo singolo di Gold Mass, seguito da Our Reality e May Love Make Us. “Our Reality è l’ultimo pezzo che ho scritto, pochi giorni prima di entrare in studio con Savage” ci racconta l’artista. “È il più vicino a quello che ho in mente di fare. Ha un incedere ipnotico. L’ho scritto sul sintetizzatore, e non sul pianoforte: ho cercato un suono che fosse morbido, per l’arpeggio, e che avesse una sequenza di note ipnotica, che fosse un’altalena, che cullasse, come quei loop che non finiscono mai e ascolteresti sempre”. “Ho messo anche molta attenzione al suono iniziale cercavo un suono grave che descrivesse un sipario si apre. Mi ricorda di quando, da piccola, andavo a teatro con mio padre ed ero affascinata da tutto” continua. “La parte finale del pezzo è un po’ surreale: c’è un mio parlato, che non era per nulla voluto. Avevo preparato il progetto, la struttura del pezzo, ma la coda era qualcosa di indefinito: una volta finito di cantare ho iniziato a descrivere a parole al produttore le idee che avevo in mente per quella parte finale; ma lui non rispondeva. L’ho raggiunto in sala regia, e mi ha detto ‘qui lasciamo la tua descrizione di quello che volevi’”. “In questo i produttori sono magici” riflette. “Non avrei mai permesso che un produttore modificasse la mia natura. E non è stato il suo caso: ha cercato solo di tradurre quello che ero già io”. Our Reality è anche il pezzo che più rappresenta il periodo che sta vivendo Gold Mass.È la sensazione di quando hai in mente degli obiettivi e li vuoi raggiungere” ci spiega. “Raggiungerli o meno non è scontano, non siamo in un film con l’happy end. Quando hai una tensione verso una meta e temi di non raggiungerla, ti crea una certa inquietudine. Ma a pensarci bene non è poi così importante: il mondo vive anche senza il mio disco… e assolutamente anch’io, potrei benissimo decidere di non pubblicarlo affatto. Quello che conta sono le relazioni umane. La nostra realtà è quella”.

VIVERE NEL SUONO.

L’attenzione per i suoni di Gold Mass è altissima. Perché Emanuela vive nel suono, lo respira, lo controlla, continuamente. Dove finisce il lavoro inizia l’arte. “Io ho la testa alle frequenze sempre: qualsiasi suono io ascolti cerco di rispiegarmelo per come viene emesso, anche quando sento piantare un chiodo” ci spiega. “Al lavoro, come funziona l’emissione di uno strumento musicale mi è stato molto utile per capire come funzionano l’emissione sonora di sorgenti che sono molto complicate, dove ci sono commistioni di meccanica e fluidodinamica, soprattutto quando la devi spiegare a qualcuno. Pensiamo a quando devi trovare una soluzione per una sorgente che è troppo rumorosa; in musica è esattamente il contrario: vuoi una cosa che, con la minima energia, dia il maggior volume. Io vivo in un trip completo. È come se stessi sempre al lavoro, o come se stessi sempre facendo musica”.

VI PRESENTO PAUL SAVAGE.

Ma come è nata la storia dell’incontro con un produttore internazionale come Paul Savage? “Avevo scritto questi pezzi ed ho pensato: ‘ho bisogno di trovare un produttore perchè il mio desiderio è fare le cose sul serio e nel modo più professionale’” racconta Emanuela. “Ho pensato agli album che mi avevano lasciato un segno. Ho conosciuto Savage soprattutto attraverso gli Arab Strap ed ho provato a cercare questi album su internet per capire chi li avesse prodotti. Ho trovato così i siti dei produttori ed ho preso a mandare le mie demo, pensando che non avrei neanche mai ricevuto risposte. A un certo punto invece ho cominciato a riceverne”. Ma quanto ha inciso il lavoro di Savage sulla sua musica? “La sua mano è su ogni pezzo dell’album, alcuni suoni li abbiamo trovati insieme nello studio c’erano altri sintetizzatori e li abbiamo utilizzati. “Savage è una persona veramente sensibile, io sono timida ed ero un po’ tesa, non sapevo che persona stavo per incontrare. È stato un incontro tra persone che non si pestavano i piedi”. L’album di Gold Mass è stato registrato a Pisa e mixato a Glasgow, mentre il mastering è stato fatto in America.

INDIPENDENTE, E FEMMINILE.

Oggi va di moda la parola “indie”, che sta per indipendente e ormai contraddistingue un genere, un cliché. Gold Mass è un progetto davvero indipendente ed un progetto tutto al femminile. “Io mi diverto moltissimo, sto lavorando intensamente e ricevo una grande gratificazione da quel che faccio” ci racconta l’artista. “In genere i musicisti sanno esclusivamente suonare e scrivere. Questo tipo di professionalità funzionava quando attorno c’erano ancora etichette discografiche con potere e soldi da investire sugli artisti. Ma oggi la realtà è ben diversa. Le etichette sono per lo più impoverite ed in genere investono solo su progetti già ben avviati, ossia da cui sono sicure che avranno un ritorno economico nell’immediato. Oggi un artista emergente è invitato a diventare anche imprenditore di sé stesso, a mettere il capitale, ad accollarsi il rischio che ne deriva e ad occuparsi dell’aspetto manageriale. Personalmente, l’idea di gestire pienamente la comunicazione al pubblico del mio lavoro, contattare giornalisti, studiare il funzionamento di una piattaforma digitale e gestire in modo autonomo il mio budget, è qualcosa che mi affascina. Io mi occupo anche di tutto questo. E la cosa bella è che mi dà soddisfazione. Se questo disco non arrivasse mai a un obiettivo, fa niente: nel frattempo ho goduto ogni momento del percorso”.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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