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Roma. La storia di due donne regalata a tutto il mondo

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Mentre scorrono i titoli di testa, un’immagine si riflette sull’acqua, che continua a scorrere. Comincia così Roma, il film di Alfonso Cuaron, Leone d’Oro all’ultimo festival di Venezia, che dal 14 dicembre si può vedere su Netflix, ma è ancora presente in molte sale italiane. Con un movimento di macchina Cuaron ci fa vedere che quell’acqua scorreva su un corridoio, l’ingresso di una casa che porta al cortile, e che quell’acqua è il lavoro quotidiano di Cleo, una tata che vive in una casa borghese della Città del Messico degli anni Settanta. Roma è il nome del quartiere dove si trova. E il titolo di un film che racconta la storia di due donne. Sofia, donna borghese, tira su da sola i quattro figli, mentre il marito, perennemente assente, decide poi di lasciarla. La tata Cleo si occupa dei bambini e della casa. Anche lei ha un compagno, un ragazzo che la lascia proprio nel momento in cui le dice che è rimasta incinta. Le due donne troveranno il modo di sostenersi a vicenda, con i fatti più che con le parole, trovando quella solidarietà tutta femminile che a volte può fare miracoli e salvare delle vite. La storia della famiglia si intreccia a quella della repressione contro le manifestazioni di protesta che finirono nel massacro del Corpus Christi del 1971.

Quel corridoio coperto che porta al cortile è spesso sporco, e va continuamente ripulito dai bisogni del cane. Quel corridoio è troppo stretto, e la macchina del capofamiglia, quando entra, ci passa appena. E quando a guidarla è Sofia a volte a va a sbattere, si graffia passando contro quei muri. Quel corridoio è un percorso obbligato, il cammino della vita che Cleo e Sofia devono per forza fare. In questo modo Cuaron ci racconta la storia di queste due donne. Con quella che è allo stesso tempo una metafora e un gesto faticoso per quanto riguarda Sofia, quel condurre una macchina troppo grossa – come lo è mandare avanti una famiglia con quattro figli da sola – e con il racconto di un gesto altrettanto faticoso e quotidiano per Cleo, quel continuo pulire quel passaggio, con caparbietà e fedeltà.

Roma, è stato detto, è l’Amarcord di Alfonso Cuaron. E quelle che vediamo sullo schermo sono una serie di madeleine proustiane che lo riportano indietro nel tempo, alla sua infanzia. Roma è una lettera d’amore alla madre e alla tata che lo ha allevato. I nostri ricordi, si sa, ritornano a galla e, quando lo fanno, sono composti da immagini slegate, da piccoli flash. Così Cuaron, nel corso del suo racconto, porta più volte in scena alcuni elementi, ci mostra il reiterarsi di certi gesti, insiste su certe immagini e certi luoghi. Perché il passato lo ricordiamo così.

E forse lo ricordiamo in bianco e nero. Gli anni Settanta sono stati anni in bianco e nero, perché la tivù era così, i giornali erano così. Virare un racconto di infanzia in bianco e nero è come voler ribadire che stiamo tornando indietro nel tempo, che stiamo parlando del passato, come voler fare uno stacco netto con i suoi lavori di oggi e dirci “mi prendo il tempo di ricordare”. Allo stesso tempo, il bianco e nero ha un effetto speciale, che è quello di slegare il racconto dalla vita delle persone che racconta e renderlo iconico, avulso dal momento in cui accade, universale. Così quella storia di due donne sole che si danno forza diventa la storia di tutte le donne che, quando ci riescono, sono così forti nel sostenersi a vicenda. Il tutto è sintetizzato nella potentissima immagine del finale, che è quella che vedete nei manifesti, un abbraccio tra le due donne e i figli, dopo che sono state salvate delle vite. È un’immagine filmica che è una scultura, che ha la plasticità e la bellezza di una Pietà o di un gruppo laocoontico.

Il bianco e nero, dicevamo. È un bianco e nero magico. Mario Sesti, dopo la proiezione veneziana di Roma, ce lo descrisse come “un bianco e nero con una morbida infinità di grigi” e così lo riportiamo, perché non sapremmo dirlo meglio. Aggiungiamo che raramente abbiamo visto una fotografia simile, capace, in quei due colori e tutte le sfumature che vi stanno in mezzo, di raccogliere così tanta luce e di restituirla. Che poi significa prendere la storia di due donne e regalarla a tutto il mondo.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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