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Natale a 5 stelle, il film delle feste targato Vanzina (e Netflix)

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La sfida cinematografica della stagione natalizia, da quest’anno, ha un nuovo protagonista. Un concorrente che ha scelto di “partecipare alla gara” senza farsi coinvolgere nel gioco degli incassi, e che forse, proprio per questo, ha già vinto in partenza. Parliamo di Netflix, ovviamente, che a differenza di quanto fatto lo scorso settembre con Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, ha deciso di distribuire la sua prima commedia italiana delle feste solo sulla sua piattaforma, evitando l’uscita nei cinema.

Una assoluta novità per il panorama italiano, che però il colosso mondiale dello streaming ha deciso di realizzare affidandosi al “vecchio”, un “vecchio” sempre in grado di rinnovarsi. Ci riferiamo ai fratelli Vanzina, due autori che il cinema natalizio lo conoscono bene e che, ogni volta che l’hanno frequentato, hanno sempre tentato di sganciarsi dalla patina superficiale del cosiddetto cinepanettone per offrire al pubblico una comicità mai banale e ancorata profondamente nella realtà italiana. Per cui non chiamiamolo cinepanettone, questo nuovo Natale a 5 stelle. E non perché i fratelli Vanzina non hanno mai accettato con piacere questa classificazione, ma perché del “prodotto” cinepanettone questo film non ha proprio nulla. Il nuovo lavoro dei fratelli romani (sì, sia di Carlo che di Enrico, perché il primo anche se non accreditato ha partecipato alla sceneggiatura prima della sua prematura scomparsa) è una farsa come non se ne fanno più. Una farsa vera e propria, non intesa nell’accezione denigratoria contemporanea di facile commediola senza pretese, ma nell’originaria natura del genere: un’opera leggera, mai volgare, dal ritmo forsennato, dove il meccanismo comico delle situazioni è un impianto ad orologeria che non concede soste.

I Vanzina prendono la pièce teatrale di Ray Cooney Out of Order, che dagli anni Novanta ad oggi ha ottenuto successo in tutto il mondo, e trasformano una tipica “farsa da camera da letto” in una “farsa da Camera dei deputati”, dove gli intrecci, gli equivoci, le sorprese, i giochi delle porte che si aprono e si chiudono, oltre che motore indispensabile della comicità si fanno anche ironica rappresentazione della confusione politica dell’Italia di oggi. Così, più che effettuare un semplice lavoro di contestualizzazione e adattamento dell’opera all’attualità italiana, il film ne sfrutta la perfetta struttura farsesca per condurre una sferzante satira politica che, sempre con il tocco bonario e leggero tipico del cinema vanziniano, non salva nessuno. Se i personaggi in scena richiamano chiaramente alcune figure, o alcune caratteristiche, del mondo politico di oggi, il “fuori campo”, evocato nei dialoghi tra i protagonisti, fa nomi e cognomi: da Di Maio a Salvini, da Veltroni a Renzi.

Nonostante l’ambientazione a Budapest, quindi, il film non ha nulla della cosiddetta “commedia all’ungherese” (o dei “telefoni bianchi”) degli anni Trenta/Quaranta, quella commedia borghese ed edulcorata che si allontanava dalla realtà italiana (e che per questo, ad esempio, “papà Steno” non amava per niente). Lo spassoso racconto del premier (un bravissimo Massimo Ghini), del suo portaborse Ricky Memphis, della deputata dell’opposizione Martina Stella e di tutti gli altri personaggi che seguono la delegazione italiana nella capitale ungherese (interpretati da attori in ottima forma, da Paola Minaccioni a Massimo Ciavarro, da Riccardo Rossi a Biagio Izzo), tra tradimenti, equivoci, assalti fisici e presunti cadaveri, diventa il mezzo per ridere della società e della politica italiana di oggi, quella dove le alleanze si chiamano contratti di governo, dove i comunisti sono diventati leghisti, i parlamentari vengono dai reality show, e Rocco Siffredi (sì, c’è anche lui in un cammeo) è il vero portabandiera del Bel Paese all’estero.

A ereditare la regia dal compianto Carlo, è l’amico Marco Risi, che torna alla commedia dopo anni di cinema d’impegno. Risi la commedia la sapeva fare (ricordiamo Vado a vivere da solo o Un ragazzo e una ragazza, due cult degli anni ’80) e dimostra di saperla fare ancora. Il regista tiene perfettamente le redini della messa in scena corale, dirige con equilibrio il brillante cast e dà ritmo interno ad una narrazione che rischiava di rimanere bloccata nella sua natura teatrale.
Si ride, si sorride. Si assiste con piacere ad un turbine frenetico di situazioni. Il tutto con tocco semplice e garbato, ma anche con l’acume di uno sguardo che sa cogliere le stramberie dell’attualità. Non un cinepanettone, ma un perfetto film di Natale. In pieno stile Vanzina.

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

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