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Venezia 75, trionfa il Messico di Cuaròn, delusione per l’Italia

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Ha vinto Alfonso Cuaròn, ha vinto il Messico, ancora una volta. Dopo The Shape of Water, a trionfare alla Mostra di Venezia è Roma, il film targato Netflix firmato dal regista premio Oscar per Gravity. Ad assegnarlo, una giuria presieduta dal Leone d’Oro uscente, Guillermo Del Toro, che alla faccia delle illazioni su possibili “conflitti d’interesse”, ha scelto per il film del

Alfonso Cuaron

suo amico e connazionale. Un’opera emozionante, commovente, un esempio di cinema altissimo, per contenuti, forma, scrittura, interpretazioni degli attori. Sì, anche quello di Netflix è cinema, e questo premio segna un momento storico per l’industria della Settima Arte, un momento che non può e non deve essere sottovalutato e che certamente cambierà molte prospettive. Costringerà a cambiarle, e in senso positivo: perché da una parte farà rivedere le considerazioni e le scelte, figlie di un eccessivo purismo, di chi “snobba” i film prodotti dalle nuove realtà/piattaforme web, ignorando l’evoluzione del cinema stesso, dall’altra – è più una speranza – imporrà a Netflix e simili a ripensare alle proprie dinamiche distributive, portandoli inevitabilmente a valutare l’uscita nelle sale. Un verdetto storico e importante, dunque, che da molti punti di vista, mette tutti d’accordo.

Venendo al resto del palmarès, prevedibile (e meritato) il Gran Premio della Giuria al controverso film in costume di Yorgos Lanthimos, The Favourite. Il film del regista greco può vantare anche la Coppa Volpi assegnata a Olivia Colman per la miglior interpretazione femminile. Anche in questo caso, niente da ridire, anche se di performance meritevoli ce ne erano diverse (su tutte quelle di Marianna Fontana in CapriRevolution e di Natalie Portman in Vox Lux). La Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile è andata all’indimenticabile Willem Dafoe di At Eternity’s Gate, dove l’attore veste i panni di Vincent Van Gogh, in una delle migliori prove della sua carriera. Il Leone d’Argento per la miglior regia è andato al francese Jacques Audiard per il suo bellissimo western The Sisters Brothers, mentre il premio per la miglior sceneggiatura ha visto trionfare i sempre presenti fratelli Coen per La ballata di Buster Scruggs (anche questo un film targato Netflix). A far discutere è invece il doppio riconoscimento a The Nightingale di Jennifer Kent, che si è portato a casa il Premio Speciale della Giuria e il premio Marcello Mastroianni (al miglior giovane emergente) andato a Baykali Ganambarr, attore aborigeno alla sua prima prova sul grande schermo. Entrambe hanno il sapore di scelte che esulano dal cinema, anche perché il film non aveva affatto convinto: la prima sembra più che altro figlia del #Metoo (Jennifer Kent era l’unica regista donna in concorso), la seconda di un discorso socio-politico pro minoranze.

Infine, grande, immensa delusione per l’Italia. Per Suspiria di Luca Guadagnino, Capri – Revolution di Mario Martone e What You Gonna Do When The World’s On Fire di Roberto Minervini ci si aspettava una considerazione diversa, un finale diverso. Soprattutto il film di Martone, poetico e dal respiro internazionale, meritava un posto di rilievo tra i vincitori. Dispiace vedere i nostri film completamente esclusi dal palmarès di quest’anno, anche perché mai come in questa edizione il cinema italiano aveva dimostrato la sua vitalità e la sua felice eterogeneità.
Questa delusione, in ogni caso, non ci fa cambiare il giudizio su Venezia 75. Un festival ricchissimo, completo, che ci ha regalato il meglio del cinema contemporaneo. Complimenti al direttore Alberto Barbera: dopo anni, è la prima volta che il festival di Cannes guarda la Mostra dal basso verso l’alto.

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

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