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Sense8 finale: e tutti (i fan) vissero per sempre felici e contenti

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Ci siamo. Un anno dopo l’annuncio della cancellazione da parte di Netflix, il finale di Sense8 è arrivato l’8 giugno, per la gioia dei fan. Gli stessi fan che dodici mesi orsono erano stati colpiti come un fulmine a ciel sereno dalla decisione di interrompere bruscamente la serie con la seconda stagione, nonostante il progetto iniziale fosse quello di produrne almeno cinque.
In effetti, la notizia del mancato rinnovo aveva colpito il mondo seriale in generale. Netflix si era dimostrato fino a quel momento come un’isola felice dove gli appassionati di serie tv potevano rifugiarsi, e soprattutto Sense8 è stato uno degli show su cui il colosso di Los Gatos ha costruito la sua fama internazionale, passando dall’essere solo un distributore all’essere anche un (valido) produttore di contenuti originali. Sense8, insieme a House of Cards e Orange is the new black ha contribuito a ridefinire il linguaggio televisivo (anche se qui si parla di streaming, ma ormai la distinzione è pressoché inconsistente) e ha rappresentato uno dei più esemplari punti di contatto tra cinema e televisione. Gli ex fratelli ormai diventate sorelle Wachowski, ossia le menti creatrici del fenomeno cinematografico Matrix, sono riuscite a trasportare sul piccolo schermo la loro idea di fantascienza senza perdere la potenza visiva spettacolare che da sempre le caratterizza.

Cosa non ha funzionato allora in Sense8? Quando si parla di creatività, concetti come botteghino o share fanno sempre storcere un po’ il naso, ma in questo caso si può dire che Netflix abbia dovuto guardare ai numeri, molto alti a livello produttivo (circa 9 milioni ad episodio a causa delle numerose location utilizzate) e troppo bassi a livello di ascolti. I fan della serie però hanno dimostrato di essere pochi ma buoni, e grazie alle rivolte scatenatesi sui social per salvare lo show, sono riusciti ad ottenere un finale che potesse almeno concludere le questioni rimaste in sospeso.

Piccola confessione: anche chi scrive è riuscito a resistere, senza troppa fatica, al fascino esercitato da Sense8, nonostante le premesse fossero buone. Otto sconosciuti (una dj tossicodipendente islandese, un poliziotto di Chicago, un attore omosessuale messicano in crisi, l’autista di un minibus a Nairobi, una donna d’affari di Seul, uno scassinatore di Berlino, una chimica farmaceutica indiana e una transgender hacker di San Francisco) provenienti da otto diverse parti del mondo scoprono di essere uniti da un legame mentale che va oltre la telepatia, che gli permette di vedere con gli occhi degli altri, di sentirli e di condividere ricordi ed esperienze, aiutandosi nei momenti di difficoltà. Sono homo sensorium (che a differenza degli homo sapiens hanno un livello di empatia ultra-sviluppato) appartenenti allo stesso cluster (in italiano cerchia) in quanto nati dalla stessa madre, Angelica.
Non appena gli otto protagonisti iniziano a conoscersi e a capire la loro vera natura, scoprono di essere ricercati da Whispers, una figura misteriosa che lavora per il centro di ricerca multinazionale BPO (Biologic Preservation Organization), il cui scopo è quello di catturare, lobotomizzare e sfruttare i “poteri” dei sensates per scovare tutti i loro simili sparsi per il mondo, considerati una minaccia. Quello dei protagonisti infatti non è l’unico cluster esistente, e dovranno trovare negli altri degli alleati per poter sconfiggere per sempre la BPO.

Una fabula avvincente, su questo non c’è dubbio, se non fosse che per svilupparla ci siano voluti 22 episodi dalla durata media di 55 minuti, un episodio natalizio di due ore e il tanto agognato finale di ben due ore e 30 minuti. Quello che ha scoraggiato i più a proseguire la visione di Sense8 infatti è stato proprio l’eccessivo dilungamento della narrazione, con una forte disparità tra il minutaggio riservato alle dinamiche personali dei protagonisti (privilegiandone alcuni, soprattutto nei primi episodi) e quello dedicato allo sviluppo della trama principale.
Sembra poi assurdo affermare che i main characters – la cui caratteristica principale è l’empatia – non riescano a creare una connessione diretta con il pubblico, rendendo difficile l’immedesimazione; il tentativo di dare spessore ai personaggi risulta essere spesso confuso e un po’ approssimativo, e laddove risulti convincente, distoglie l’attenzione dalla storia centrale che smette così di essere interessante. È un vero peccato notare come l’ineccepibile (non è un’esagerazione) bellezza della fotografia, delle scenografie (merito delle location mozzafiato, tra cui risalta anche l’Italia) e dei movimenti della macchina da presa non sia stata supportata da altrettanta maestria nella gestione dell’intreccio.

Le debolezze di Sense8 si ripresentano puntuali nel finale che procede spedito senza alcun colpo di scena e arriva ad una conclusione felice, ma del tutto scontata. I fan sicuramente lo adoreranno e non è difficile intuire che l’intero episodio sia stato costruito per compiacerli, ma ci troviamo di fronte anche ad un’occasione sprecata di appassionare una nuova fetta di pubblico, o almeno di convincere gli scettici.
Tuttavia, è doveroso riconoscere a Sense8 il grandissimo pregio di essersi fatta portatrice di nobili ideali come nessun altro prodotto (né televisivo né cinematografico) ha fatto finora. Non solo una rappresentazione aldilà di ogni retorica e cliché della comunità LGBT ma anche la libertà di essere sé stessi, la necessità di capirsi e di entrare in contatto con gli altri, l’accettazione, l’inclusione e soprattutto l’amore in tutte le sue forme, come unico sentimento che supera ogni pregiudizio e difficoltà. D’altronde, lo dice anche il titolo del finale, Amor Vincit Omnia, e questo Sense8 è riuscito a dimostrarlo più di chiunque altro.

 

di Marta Nozza Bielli per DailyMood.it

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