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Il trionfo di Guillermo Del Toro, delle donne e della diversità

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E’ stata la notte di Guillermo Del Toro e de La forma dell’acqua. Quattro Oscar, tra cui i più importanti, quello per la miglior regia e, soprattutto, quello per il miglior film. E’ la seconda volta nella storia che il vincitore del Leone d’Oro alla Mostra di Venezia trionfa anche agli Oscar nella categoria maggiore (era successo solo nel lontano 1949 con la vittoria dell’Amleto di Laurence Olivier). Un risultato quasi unico, quindi, ottenuto quest’anno da un film che rispecchia pienamente il suo autore: visionario, appassionato, eclettico ma sempre coerente nel suo percorso artistico. La forma dell’acqua non è solo un fantasy, non è solo una bizzarra storia d’amore, non è solo un omaggio al cinema classico. E’ un’opera che ci riconcilia con la Settima Arte, è un inno alla creatività, quella senza limiti e restrizioni, quella che ha sempre caratterizzato il cinema dell’autore messicano e che, in quella che lui stesso ha definito la sua opera più personale, esplode con incanto e poesia. «Usate la vostra immaginazione per raccontare la realtà: la fantasia è una porta, usatela!», ha dichiarato il regista esortando i giovani artisti.
Del Toro è il terzo messicano ad aggiudicarsi il premio come miglior regista negli ultimi cinque anni (prima di lui Alfonso Cuaròn per Gravity e due volte Alejandro Inarritu, con Birdman e Revenant). Un segnale politico e sociale importante, durante l’era Trump. «Io sono un immigrato, come molti di voi – ha proseguito Del Toro dal palco del Dolby Theatree negli ultimi venticinque anni ho vissuto in un Paese tutto nostro. Una parte è qui negli Stati Uniti, una parte è in Europa, una parte è ovunque. Perché la cosa più importante che fa il cinema è cancellare le linee di confine, quando invece c’è qualcuno vorrebbe renderle più profonde».

La serata, d’altronde, come previsto, è stata chiaramente segnata dalle questioni extracinematografiche, dall’accoglienza alla diversità, dall’inclusione alle molestie sulle donne. Ma le “women in black” che hanno caratterizzato le cerimonie pre-Oscar, dai Bafta ai Golden Globes, pur rimanendo nei limiti della sobrietà, per l’occasione hanno optato per un ritorno al colore e hanno preservato il clima di festa della cerimonia, lasciando che fossero “soltanto” le parole a smuovere le coscienze. A iniziare, con le parole, è stato però l’host Jimmy Kimmel (un po’ sottotono). Il conduttore, dopo l’inevitabile battuta sull’epic fail della scorsa edizione («Lo voglio dire: quest’anno quando sentite chiamare il vostro nome non alzatevi subito»), ha scherzato sul tema caro ai movimenti #Metoo e Time’s Up. Rivolgendosi alla platea e facendo riferimento alla statuetta, ha detto: «Oscar è un uomo molto rispettato a Hollywood. Guardatelo: tiene le mani dove le si può vedere, non dice mai una parola fuori posto e, soprattutto, non ha il pene». Infine, Kimmel ha concluso sul ruolo delle donne e delle minoranze nell’industria cinematografica, citando ad esempio il recente successo di Black Panther: «Mi ricordo un tempo in cui i grandi studi cinematografici non credevano che una donna o una minoranza potessero essere i protagonisti di un film di supereroi. E me lo ricordo perché quel tempo era marzo dello scorso anno».
Sul palco successivamente sono arrivate Ashley Judd, Salma Hayek e Annabella Sciorra, tra le accusatrici di Harvey Weinstein, le quali hanno lanciato un video sull’importanza della diversità nel cinema e sul dominio maschile a Hollywood. E poi, a proseguire su questa scia, ma con più ironia, sono state Mira Sorvino, Sarah Silverman, Greta Gerwig, Geena Davis e Kumail Nanjiani che, in un filmato, hanno ricordato al pubblico che spesso la diversità funziona bene al box office.
A fare, però, il discorso che passerà alla storia, è stata Frances McDormand – e c’era da aspettarselo. L’attrice premiata, come da pronostico, per la sua interpretazione in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, commossa ed emozionata per il riconoscimento (il secondo della sua carriera), dopo aver ringraziato il marito Joel Coen e il figlio, ha prima invitato tutte le donne della platea candidate a un Oscar ad alzarsi in piedi e poi ha dichiarato: «Tutte abbiamo storie da raccontare e progetti da finanziare. Invitateci nel vostro ufficio o venite al nostro, come preferite, e vi diremo tutto. Due parole prima di lasciarvi stasera, signore e signori: impegniamoci per l’inclusione, inclusion rider!».

Applausi a scena aperta, meritati. Come meritati sono stati quelli per Gary Oldman, premiato come miglior protagonista per la sua performance nei panni di Winston Churchill nell’acclamato L’ora più buia. L’attore britannico ha salutato la mamma di 99 anni, ha mandato baci alla moglie in sala e ha dichiarato, commosso: «Sono profondamente grato all’America per tutti i regali meravigliosi che mi ha fatto: una casa, la mia famiglia e adesso l’Oscar».
Se la sua vittoria e quella della McDormand hanno rispettato pienamente i pronostici, lo stesso vale anche per gli attori non protagonisti. I favoriti Sam Rockwell per Tre manifesti e Allison Janney per I, Tonya si sono infatti portati a casa il tanto agognato Oscar.
Sempre come da previsioni, in una cerimonia che ha lasciato poco spazio alle sorprese, il nostro Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino si è aggiudicato soltanto il premio per la sceneggiatura non originale, andato all’89enne James Ivory, il più anziano della storia a ricevere un Oscar. Niente da fare, invece, per l’altra italiana in gara e cioè Alessandra Querzola, nominata per la scenografia di Blade Runner 2049.
Un po’ d’Italia c’è stata anche nel discorso di Kobe Bryant. Il cestista americano nell’insolita veste di autore cinematografico ha vinto l’Oscar per il miglior cortometraggio d’animazione, insieme allo storico animatore Disney Glen Keane. La vecchia gloria dell’NBA, ricevendo la statuetta, si è rivolta alla moglie parlando nella nostra lingua: «Gianna, ti amo con tutto il cuore», ha detto con gli occhi pieni di emozione e soddisfazione.
Da segnalare infine il buon risultato di Dunkirk nelle categorie tecniche (e ci mancherebbe!), ottenendo gli Oscar per il montaggio, il suono e il montaggio sonoro; il trionfo di Coco come miglior cartoon; il successo di Roger Deakins, lo straordinario direttore della fotografia che, dopo innumerevoli candidature, finalmente ha vinto per il suo lavoro in Blade Runner 2049; e quello del cinema cileno che con Una donna fantastica di Sebastian Lelio si è aggiudicato la statuetta come miglior film straniero.
Delusione, invece, per Il Filo Nascosto di Paul Thomas Anderson, che ha avuto la meglio solo nella categoria dei costumi. Speriamo che questo risultato spinga Daniel Day Lewis a proseguire la strada per la sua quarta statuetta, e quindi a rivedere la sua decisione di lasciare le scene. Chissà…il potere degli Oscar non va sottovalutato. Alla prossima edizione.

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

Crediti Fotografici : @GettyImage

 

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