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Si esce vivi dagli anni ottanta. Il bello di vivere in un videoclip

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Non si esce vivi dagli anni Ottanta, cantava Manuel Agnelli con i suoi Afterhours. Lui, evidentemente, ne è uscito benissimo, tanto che oggi siede sull’agognata poltrona di giudice di X Factor. Ma se a uscire vivi dagli anni Ottanta fossero proprio… gli anni Ottanta? Bollati a loro tempo come anni di cattivo gusto, di eccessi, di plastica e lustrini, in realtà hanno lasciato più di qualche segno nel nostro immaginario. Il revival degli anni Ottanta è già in auge da un po’. I gruppi rock che seguono la lezione della new wave, a varie ondate, esistono già da una decina, o da una quindicina d’anni. I jeans a vita alta si vedono in giro da almeno un paio d’anni. Ma quando, nello stesso mese, in due differenti film in uscita, ascolti 99 Luftballons di Nena allora capisci che nel revival degli anni Ottanta ci siamo dentro completamente. Se andrete al cinema in agosto potrete gustarvi la colonna sonora di Cattivissimo me 3, dove gli anni Ottanta sono usati per mettere in scena un cattivo che è un ex star televisiva degli Eighties (e si veste con delle giacche con grandi spalline, uno dei simboli – in negativo – della moda del decennio) e combatte a ritmo di musica dance (il che permette di sentirci pezzi come Bad di Michael Jackson e Into The Groove di Madonna). Ma soprattutto quella di Atomica Bionda, che ambienta una spy story in un momento chiave di quegli anni, la caduta del Muro di Berlino nel 1989, per disegnare un universo in cui tutto ciò che erano gli anni Ottanta è accentuato: le luci al neon diventano ancora più accese, le batterie elettroniche più potenti di quelle che ci ricordavamo. Mentre Charlize Theron indossa una t-shirt di Boy London, marchio cult dell’epoca, non a caso oggi tornato sul mercato, ascoltiamo New Order, Depeche Mode e David Bowie, che di quella Berlino, come della scena new wave, è un nume tutelare.

È un modo molto più intelligente di riportare in scena gli anni Ottanta di quello di un’altra tendenza, quella che vuole che, quando un classico della tv viene ripreso su grande schermo, tocca per foraza buttarla in parodia (dagli anni Settanta ai Novanta, da Charlie’s Angels a Starsky & Hutch fino a CHIPS e Baywatch è sempre andata così). Di una certa atmosfera, e dell’esigenza di tornare a quella narrazione fantasiosa degli anni Ottanta, con la quale siamo cresciuti, si è accorta la tv (on demand in questo caso). Netflix l’anno scorso ha lanciato la serie Stranger Things (la seconda stagione è in arrivo questo autunno, annunciata da un trailer sulle note di Thriller di Michael Jackson), una serie ambientata negli anni Ottanta, che pesca a piene mani da film come E.T. – L’extraterrestre, I Goonies, Stand By Me. Sempre Netflix ha appena lanciato una nuova serie, Glow, ambientata a Los Angeles nel 1985. Siamo in un mondo ben preciso, quello del wrestling femminile, tra capelli cotonati e tutine luccicanti. Anche quando un film è ambientato ai giorni nostri, si vanno a cercare certe atmosfere: al momento di scrivere e girare un film come Spider-Man: Homecoming, per tutti il riferimento era John Hughes (Breakfast Club, Sixteen Candles), un maestro del teen movie anni Ottanta.

Ma, ovunque si girino gli occhi, è un continuo ritrovare oggetti che sembravamo avere dimenticato. Se la moda ha riportato in pista una calzatura simbolo degli anni Ottanta, quelle espadrillas che il Sonny Croquet di Don Johnson in Miami Vice indossava insieme agli abiti di Armani, in alcune immagini torna anche il Juke Box, oggetto di modernariato che, nell’era di Spotify e di iTunes, fa davvero tenerezza. Tv8 ne ha fatto il simbolo di un ciclo di film estivi, Cine Summer Juke Box. E lo vediamo campeggiare anche nello studiatissimo video di Riccione dei Thegiornalisti, dove i riferimenti agli anni Ottanta si sprecano, dagli zaini Invicta ai Game Boy ai walkman (musicalmente invece siamo vicini al Luca Carboni dei primi Novanta, ma è quasi la stessa cosa). Se pensiamo al mondo della musica, il recupero degli anni Ottanta è in voga ormai da anni. C’è tutta una generazione di band, ormai veterani della scena rock, che deve moltissimo ad artisti cresciuti tra la fine dei Settanta e gli inizi degli Ottanta, dai Franz Ferdinand, ai Killers, dagli Editors ai White Lies. Ma, oltre agli stili, si pensa anche ai supporti: il vinile ormai da anni è di nuovo un oggetto di culto, ma qualcuno pensa anche a recuperare le musicassette: i Green Day (loro, un gruppo cult dei Novanta) hanno rilasciato una raccolta con tutti i loro album in musicassetta. A proposito di rock, il 2017 è anche l’anno in cui ricorrono i trent’anni di un disco simbolo degli anni Ottanta, The Joshua Tree degli U2, una band che, in quegli anni, era agli antipodi di tutto quello che quel decennio voleva significare. Nel tour che ha celebrato quel disco storico hanno scelto una via molto particolare: niente revival, niente nostalgia, ma un discorso che metta in evidenza l’attualità del disco. È stata l’occasione per rendere omaggio a una band e a un suono – ancora attualissimo – che ha formato decine di band e artisti e di cui ancora oggi si sente l’eco in una miriade di arrangiamenti. Ma il tempo rivaluta tutto. E così anche una band come i Duran Duran, non considerati negli anni Ottanta, oggi sono un esempio. Un intenditore come Morgan, i cui Bluvertigo devono molto alla band di Simon Le Bon, ha indicato un loro pezzo come un perfetto esempio di scrittura pop (in una lezione nel programma Music di Bonolis), accanto a classici di David Bowie. A proposito. A un anno e mezzo dalla sua scomparsa il Duca Bianco è sempre più nei cuori, negli occhi e nelle orecchie di tutti. Accanto ai periodi d’oro della sua carriera, anche il suo repertorio Eighties viene rivalutato (in Atomica Bionda sentiamo Cat People, scritta con Moroder per il film Il bacio della pantera, oltre che Under Pressure con i Queen). E, in un cofanetto in uscita a settembre, A New Career In A New Town, ripercorreremo un momento importante della sua vita artistica, la “Trilogia Berlinese”, iniziata alla fine dei Settanta, ma la collezione arriva fino a Scary Monsters, il primo disco degli anni Ottanta, che lo porterà al suo nuovo repertorio, e ad essere definitivamente una star mondiale.

Resta da capire il perché di tanto affetto verso questo decennio. Possiamo pensare a una spiegazione razionale e a una sentimentale. La generazione dei quarantenni e dei cinquantenni di oggi, che vede sceneggiatori, registi e produttori che in qualche modo guidano o influenzano il sistema dello show business, è quella cresciuta in quegli anni, e porta nelle proprie opere il proprio vissuto e il proprio background, conoscendo il proprio pubblico, che è fatto di coetanei che non aspettano altro che tuffarsi nei propri ricordi e nei propri riferimenti. A livello emotivo, una spiegazione perché amiamo tanto gli anni Ottanta forse c’è. Lo abbiamo capito guardando Atomica Bionda. Ma soprattutto guardando un piccolo film uscito questo autunno (e ora in home video), Sing Street. È il romanzo di formazione di un ragazzo nella Dublino degli anni Ottanta. E la sua formazione passa per scoprire suoni e stili dei gruppi del momento da assimilare e da riportare nella band che ha formato. C’è un momento del film che è emblematico. Quello in cui il gruppo, e alcuni amici, girano un video, con le loro risorse, nella palestra della scuola. Con un grande colpo di cinema, per incanto, il video diventa uno di quei video ad alto budget americani, con ballerini, costumi, luci. Ecco, probabilmente amiamo così tanto gli anni Ottanta perché ci sembrava di vivere in un videoclip: tutto era brillante, tutto andava a posto, tutto aveva un lieto fine. Tutto era finto, certo, ma così rassicurante. Che poi, è come dire di vivere una favola. Ma, noi, visto che siamo cresciuti in quegli anni, possiamo dire di aver vissuto davvero in un videoclip.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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