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Intervista a Dawid Patané

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A volte, ricapitolare a tutti i costi, ciò che è bello o brutto nella performance della moda è impossibile. Per questo l’avant-garde nella moda è spesso, sì diffuso ma anche molto banalizzato ed etichettato come “camp” in senso spregiativo . Ma esiste anche un mood camp con delle strutture tipiche e spesso rarefatte? Con la sua voglia di andare oltre, tra la moda, il fashion e l’arte. E’ davvero così? Esiste un mood camp, con una connotazione ben precisa e vicina all’avant-garde? O si potrebbe definire semplicemente a metà tra lo swing mood e le suggestioni più trasgressive? Con l’unica matrice dell’irrinunciabile ?
Lo chiediamo ad un giovanissimo fashion designer, Dawid Patanè, che ha definito nella sua prima sperimental capsule collection “Les Fleurs du Mal” la classe come veleno mortale e non acqua. Sarà questo il futuro della moda?

DailyMood.it – Benvenuto Dawid. E grazie per questa tua testimonianza. Vedendo la tua sperimental capsule essa si inserisce appieno nella tendanza dell’avant-garde nel “mood camp” che ha percorso in modo trasversale tutto il secolo scorso. Le avanguardie del 900 hanno vissuto e continuano a vivere di provocazioni: Duchamp, Manzoni, Serrano, Fontana, De Dominicis, Warhol, Abramovic, Franko B. Tu ti senti o vorresti esserlo, nel solco di questa tradizione?
Dawid Patanè La provocazione è colta, e viene giudicata tale da un eventuale spettatore, che chiaramente ha una diversa educazione e moralità dalla nostra. Io non mi reputo un provocatore, o probabilmente sono un provocatore innato, ovvero ho un modo di pensare, interagire ed approcciarmi alla realtà talmente distante dai luoghi comuni da venir giudicato un provocatore. La provocazione è vitalità, è smuovere gli animi, è la dimostrazione plateale di ciò che la società vorrebbe non vedere, è una protesta in nome della libertà e della diversità, è la strada per l’avanguardia.

DM – Spesso questo modo di intendere l’arte come categoria estetica, viene visto come un fenomeno sociale prima che culturale. Sei d’accordo?
DP – L’Arte non è solo estetica, sarebbe sminuire la ricchezza di un tesoro allo scrigno che lo contiene. L’Arte molte volte è concettuale, non è sola apparenza, bensì qualcosa che va oltre il visibile. Per cui è inutile dire che saper leggere l’Arte, saperla comprendere appieno, non è da tutti. Vanno colti con cognizione di causa riferimenti storico-artistici, citazioni, simbolismi. L’Arte è un manifesto socio-culturale del periodo storico in cui si evolve, dunque è assolutamente un fenomeno culturale che ha ripercussioni sulla società.

DM – Nella tua sperimental capsule collection”Les Fleurs du Mal” c’è molto di quel “se camper” , ovvero mettersi in mostra come opera d’arte. Cosa definiresti come qualcosa “di bello” e cosa “di brutto” nella tua collezione?
DP –  La mia capsule collection “Les Fleurs du Mal” è ispirata ad un mondo che oscilla tra romantico e gotico; il tutto, come ci viene sottolineato dal titolo, è velato da un’aria di dannazione, un fascino maledetto, una bellezza decadente. Dunque tutto può essere terribilmente bello, o meravigliosamente brutto, questioni di prospettiva.

DM –  Il “mood camp” potrebbe definirsi una tendenza che comunica con il corpo, come dei “graffiti” sotto gli abiti. Anche nella tua collezione il corpo delle modelle e dei modelli è parte integrante della tua collezione. Il corpo finalmente liberato? Che non diventa più solo “un manichino” ma parte vivente con tatuaggi, piercing e trucco?
DP –  Il corpo è assolutamente fondamentale nei miei lavori. Lo intendo come “tempio dell’anima”, quindi va esaltato, curato, personalizzato, adattato secondo quella che è la nostra personale visione di noi stessi; molte volte la nostra interiorità non corrisponde a pieno con la nostra esteriorità, quindi è necessario apportare delle modifiche al nostro involucro per sentirci autentici, per affermare la nostra identità. Dunque è un corpo che fonde carne e spirito, è un corpo che si racconta attraverso modificazioni corporee, è un corpo che parla e che fa anche parlare di sé.

DM – L’abbigliamento cosi si esprime in modo quasi teatrale. E’ voluto nella tua capsule?
DP –  Parte della ricerca per il mood ha preso ispirazione da un immaginario di teatro decadente, per cui l’impatto visivo della capsule collection è molto teatrale, sia per le forme, sia per i materiali ricercati come velluti, pizzi, ricami, merletti, piume, rivisitati e lavorati in chiave decadente, rovinati dall’usura del tempo, apparentemente provenienti da un’altra epoca. Gli abiti rievocano in chi li indossa vecchi e dannati fantasmi del passato, ma al contempo anche lasciato addosso su un manichino l’abito ha la sua bella resa scenica, divenendo così un pezzo d’esposizione.

DM –  Concludendo, secondo te, quando è importante l’immagine visiva nella moda ai giorni d’oggi? Ovvero, travestimento e performance spesso creano delle vere e proprie icone; basti pensare ai frequentatori della Factory di Warhol : le “Superstar” dove immagine, estetica ed apparire erano tutto. E’ ancora così? Esiste un mood camp?
DP –  L’immagine ha sempre un fortissimo valore, perché piacere e piacersi è comunque un’indole innata dell’uomo, e chiaramente la Moda è l’industria che accontenta per la maggiore tale richiesta di mercato.
Io dico sempre di “giocare” con la propria immagine, di osare, di non aver timore dei giudizi altrui, anzi di farsi notare, d’altronde è così che si diventa icone. Ma ovviamente anche questo richiede una predisposizione naturale e tanto lavoro, perché dietro una bella immagine accattivante esiste tanto studio e tanta meditazione.
Inoltre da creativo e fashion designer ho sempre preso ispirazione da tendenze, mode, o movimenti artistici estremamente appariscenti, ho reso mia la citazione dannunziana “Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte”, e percorro “La strada dell’eccesso” di cui parlava Blake.
La creatività, l’arte, la bellezza, salveranno il mondo.
Ed in conclusione vi anticipo che tra i miei sogni per il futuro, seguendo le orme di Andy Warhol, c’è proprio l’idea di dare vita ad una nuova “Factory”, intesa come laboratorio e salotto creativo che tenga uniti dall’amore per l’Arte.

di Cristina Chiochia per DailyMood.it

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