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Type Visual di Lorenzo Marini ovvero la tecnologia come arte del fare

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Chi lo conosce sa che l’anima del famoso pubblicitario italiano, Lorenzo Marini, è sempre in continua evoluzione. Vincitore di molti premi nazionali ed internazionali è a Milano per la sua nuova mostra personale, focalizzata sull’esaltazione della ricerca dell’alfabeto attraverso i suoi “ideogrammi” o “font”, ovvero i caratteri grafici ed anche questo sottolinea come è e rimane un pubblicitario con l’anima profonda dello scrittore. Le lettere come opere d’arte. Quasi un’operazione di civiltà. E così , memore degli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia dove fu allievo di Emilio Vedova, ritorna all’arte raccontando una storia, la sua storia che è continuo mutamento e movimento attraverso appunto le lettere dell’alfabeto. In un mondo dove la “k” ha preso nella lingua italiana il posto della “c” nell’uso quotidiano dei ragazzi, il grande conoscitore del mondo della “catalogazione spaziale”, si affaccia all’uso del linguaggio in modo suggestivo e del tutto nuovo. Quasi come un attore che cambia il suo palcoscenico per assecondare le sue tante anime: le lettere dell’alfabeto si traformano, cercando l’arte come sintesi , in particolari talvolta nascosti, talvolta esaltati. Certo, già il tema dell’arte come sintesi si ritrova in altri lavori di Lorenzo Marini, come per esempio nelle tre opere ospitate in Spagna presso l’istituto della cultura italiana di Barcellona in questi giorni o le esposizioni degli scorsi anni negli spazi pubblici italiani, scelta voluta e cercata o in palazzi come Palazzo Medici Riccardi a Firenze o Palazzo Zuckermann a Padova sino ad arrivare gli spazi del Gallery Center Soho a New York. Ma la bella mostra personale inaugurata il 6 ottobre in una grande festa, alla presenza di tanti ospiti ed amici, dal suggestivo titolo “Type Visual” trova posto negli spazi della Permanente di Milano ( che sarà visitabile sino al 29 ottobre dal lunedi al sabato) per accrescere in questo modo, l’idea di un’arte semplice come sintesi semplice, quasi arricchendola di quei contorni che i linguaggi scritti, come preziosi codici, solamente sanno dare. Quasi a ricercare l’anima dai mille fondali che ricrea i suoi lavori: l’incarnazione di un’anima molto vicina all’immagine che ne riesce a traslare. Ecco l’idea trasmessa dal bianco che copre gli altri colori. L’idea del contemporaneo, dei colori primari fortissimi coperti, del niente e del di più della scelta delle lettere come la “s” o la “r” che raccontano qualcosa, dell’idea di una scadenza nell’arte, l’idea del vintage e di che cosa possa essere una bella o brutta immagine attraverso quello che l’artista chiama “alfabeto visivo”. E questo, chissà, forse perchè conosce profondamento il suo settore di artista che è in continuo movimento e mutamento e che tende a qualcosa. Come l’arte, dopo tutto. O l’idea di essa. In connessione. Attraverso vari punti di vista. In fondo, come ha detto recentemente lui stesso, anche la parola tecnologia deriva dal greco e significa “discorso o ragionamento sull’arte del fare”. Non è fantastico?

di Cristina T.Chiochia per DailyMood.it

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