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Intervista al regista Vincent Garenq

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Durante l’anteprima del film “In nome di mia figlia” presso il Cinema Anteo di Milano, il regista del film, Vincent Garenq ha incontrato il suo pubblico per una vera e propria lezione di cinema moderata da Alessandra de Luca e così ha risposto anche ad alcune domande che gli abbiamo rivolto noi di Dailymood.  Il regista, nato come documentarista e sempre molto attento ai temi di attualità  e di cronaca, come in questo caso, racconta, attraverso la bravura dell’attore Daniel Auteuil che impersona André Bamberski il dolore e la tenacia di un padre che per quasi 30 anni ha chiesto ed infine, ottenuto, giustizia dallo Stato Francese per sua figlia, uccisa dopo una violenza. A soli 14 anni.

Il regista, come spiega durante l’incontro pubblico, si è molto documentato sul caso  ed ha costruito l’intera vicenda sul talento di Auteil ed al suo modo sempre dignitoso di non “darsi pace”. Ha cercato poi di raccontare la vicenda, famosissima in Francia, anche per chi non era francese, dandone volutamente un taglio cinematografico attento e rispettoso per la storia trattata.

Lei parla del difficile rapporto degli adulti, buoni o cattivi, vecchi o giovani, con i personaggi adolescenti, che sono sempre vittime, in un certo qual modo, di questi adulti. Quasi si tracciasse una linea immaginaria tra l’essere perdenti-gli adulti ed i vicenti-gli adolescenti. E’ cosi?

Fare il genitore ed essere adulti non è compito facile. Il film racchiude sicuramente questa terribile verità. Non credo pero’ che ci siano perdenti e vincenti in questa storia. Forse solo destini che si intrecciano sempre di piu’ e girano attorno al personaggio chiave. Che offre il suo punto di vista. Sicuramente avere un attore come Autiel ha permesso di fare la differenza. All’inizio ci ha messo un po’ per lasciarsi andare. Io usavo tutte inquadrature per esempio di profilo, lui a sua volta era abituato a quelle classiche. Ma dopo pochi giorni di lavorazione si è fidato. E tutto è andato benissimo. Per quanto riguarda i rapporti degli adolescenti con gli adulti, non tutti i veri protagonisti della storia hanno voluto o potuto partecipare alla lavorazione del film. Forse quello che pare una parentesi “vincente” è solo una sottolineatura non approfondita nella sceneggiatura, chissà.

Quanto è stato importante per la sceneggiatura avere la base di una storia vera? Lei continuerà con questo genere di film?

La storia del film è ovviamente quella del protagonista vero, Bamberski. Ma io ho voluto seguire fedelmente la storia con qualche piccola licenza cinematografica, a volte creandola totalmente come l’abbandono oltre confine lungo il fiume del dottore, per rendere  il pubblico partecipe ancor piu’ del piano del protagonista senza conoscerne fino alla fine la finalità, oppure rimanendone fedele addirittura attraverso gli atti dei vari processi, tanto anche da avere problemi ed il divieto di girare nel tribunale, al fine di far emergere tutta la sofferenza nel tempo di questo padre. Un tempo lunghissimo non dimentichiamolo.

E cosi, questo giovane regista francese, che ha al suo attivo già alcuni successi cinematografici legati a fatti di cronaca come Presunto Colpevole, adattamento cinematografico della vera storia di Alain Marécaux, conclude l’incontro:

“[…]non voglio essere ingabbiato nel ruolo di regista di film che partono da fatti di cronaca, ma è anche vero che i fatti di cronaca succedono davvero ed in un certo qual modo raccontano la storia di tutti gli altri che vivono in quella determinata società. Sono temi universali, sentiti ovunque. E per questo degni di essere raccontati”.

 

E si conclude così l’incontro con questo regista francese, attento e curioso, che parla cinematograficamente di protagonisti “veri” offrendo pero’ spunti da vero cinema, d’autore.

di Cristina Chiochia per DailyMood.

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