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Thomas Qualmann intervistato per la mostra “Disegni Icastici”

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Incontriamo l’artista Thomas Qualmann, durante la serata d’inaugurazione della sua mostra presso lo spazio “Nonostantemarras” a Milano dal titolo Disegni Icastici. Veste di nero, ha un sorriso disteso e quello sguardo vivo di “inquieta intelligenza” che si ritrova anche nei suoi lavori appesi al muro bianco dello spazio messo a disposizione per la mostra. Percorriamo con lui un viaggio ideale davanti ad alcuni dei suoi lavori che, come ha detto Francesca Alfano Miglietti: “richiedono una doppia visita, due ottiche, una da microscopio ed una da telescopio, cosi come due tempi si trovano annodati nell’essere stesso di Thomas: il tempo della vita ed il tempo della realizzazione dell’opera”. Ecco come ce li descrive lui stesso.

Domanda: Un grande benvenuto da Dailymood e grazie per questa intervista. La prima cosa che colpisce guardando i suoi disegni, chiamati appunto “icastici” parafrasando una frase di Italo Calvino, è che il suo lavoro è fatto di ritmi. Potrebbe provare a descriverceli?
Grazie a voi dell’interessamento. Il mio lavoro si basa su di una ricerca, sulla rappresentazione della ricerca scientifica stessa. Il ritmo è dato dalla pratica stessa, da questa sequenza di linee e si concentra sulla intersezione di sistemi grafici che diventano delle informazioni per gli occhi.

Domanda: Sembra quasi una sezione aurea, una proporzione perfetta che parte dalla matematica e che sviluppa un rapporto tra lunghezze che sono via via diseguali…
Sicuramente seguo un codice. Uso il disegno per creare dei modelli. Ogni parte del mio lavoro parte da una forma, grande o piccola che sia, che modello e che riproduco in sequenze che sono però tra loro collegate in proporzione, colore e forma.

Domanda: è come se guardandole avvicinandosi o allontanandosi, lo sguardo dello spettatore si dilatasse. E’ voluto?
No, anche se mi fa piacere che il pubblico abbia una reazione. Ma la reazione è negli occhi di chi guarda, di cosa ci vuole vedere. A me interessa che questa reazione di sia.

Domanda: I colori dicono molto dell’opera: nero, bianco, grigio. Paiono lavori quasi crepiscolari. Li fa di notte?
Si. Molti dei miei lavori nascono e si sviluppano nelle ore notturne. Richiedono un’attenzione ed una costanza che implica molta concentrazione. Ogni singola opera dalla più grande alla più piccola, richiedono settimane di lavoro, anche tre settimane per essere realizzate.

Domanda: I suoi lavori esposti sono tutti fatti interamente a mano?
Assolutamente si: ogni pezzo è realizzato interamente a mano su carta ed esprimono dei calcoli che io ho fatto mentalmente e riprodotti in forme di vario colore. A volte ci sono anche delle cancellature per esempio.

Domanda:Lei si ispira alla logica visiva dell’architettura e delle scienze dell’informazione, ma ci sono dei modelli che l’aiutano in queste sue sequenze fatte di proporzione e colore bianco, nero e grigio?
Si ho ovviamente la mia personale prospettiva che è il nucleo di quello che faccio. E’ un work in progress dove i modelli divengono le strategie per elaborare le informazioni che raccolgo nelle forme, intersecando dei sistemi grafici con delle informazioni visive che ho già ottenuto, in proporzioni mai variabili, ma prestabilite. Bisogna quindi stare molto attenti con la distribuzione dei colori per esempio, o la grandezza delle forme.

Domanda: Concludendo, come definirebbe i suoi lavori esposti qui allo spazio Marras?
Sono lavori che mi appartengono anche se sono una piccola sintesi di quel che faccio. Sono un artista ed ogni immagine che creo è una parte di qualcosa di molto ampio, che rappresenta un lavoro profondo: io seguo un pensiero, una forma, e lo modello. E’ questo quello che sono e che faccio.

Nessun grado di separazione quindi nei disegni di Thomas Qualmann. Essi rappresentano davvero quella mappa che permette, attraverso una creazione regolare, come dice la curatrice della mostra, di uscire dal caos e che indica forse, davvero un ritrovarsi dopo un totale smarrimento, quasi che quel voler sopprimere l’individualità dell’io permettesse il raggiungimento del suo fine ultimo: avere la libertà di non poter scegliere.

di Cristina T.Chiochia per DailyMood.it

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