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Goshka Macuga in mostra alla Fondazione Prada a Milano

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Un viaggio dialogico-dialettico ai confini del progresso umano

Si è inaugurata, con un enorme successo (e volti noti del teatro, arte, spettacolo e della moda), la nuova mostra in Fondazione Prada a Milano che dal 4 Febbraio al 19 giugno esporrà un allestimento di Goshka Macuga, artista polacca.

Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, 2015. Foto: Delfino Sisto Legnani Studio

Chi la conosce sa che è quasi impossibile catalogare il suo lavoro per quel gioco delle parti che la rendono a volte curatrice, a volte artista, a volte semplice voce di un coro di “incipit” con performer ed arstisti di tutta Europa. Sicuramente anche il lavoro che presenta a Milano presso la Fondazione Prada “To the Son of Man Who Ate the Scroll” che si rifà ad un versetto della Bibbia ebraica e che potrebbe essere tradotto forse anche come al figlio dell’uomo che non ha “mangiato la foglia”, chissà e che ripercorre idealmente già dal nome, tutto il senso di questo viaggio che si snoda in differenti ambienti, il podio, la cisterna e la galleria sud della ex-distilleria vicino allo scalo romano di zona sud a Milano. Un vero e proprio “circuito magnetico” al quale il visitatore “si induce”, entrando nel primo spazio ed assistendo alla performance dell’androide molto somigliante al fidanzato della Macuga, che parla dell’origine, del tempo, della fine e della rinascita dell’uomo attraverso frasi fatte in inglese dei suoi protagonisti storici e la celebre frase del film blade runner. Un androide, dai tessuti sintetici che muove come un uomo, gli occhi apre, come un uomo, la bocca e muove le mani (perfette) ma che annulla, con il solo essere lì tra dei capolavori della scultura moderna e contemporanea, il fattore umano sparso per la sala in opere per lo più celebri ed immortali di Phyllida Barlow, Robert Breer, James Lee Byars, Ettore Colla, Lucio Fontana, Alberto Giacometti, Thomas Heatherwick ed Eliseo Mattiacci e molti altri.

Goshka Macuga, To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2016. Foto: Delfino Sisto Legnani Studio

Quasi una introduzione alla seconda sala che pare domandarsi dove finisce il fattore umano e ne nasce la sua sintesi “cibernetica”, con l’installazione Before the Beginning and After the End di Macuga in collaborazione con Patrick Tresset che ha realizzato il sistema “Paul-n” per tracciare gli schizzi sui rotoli. Lungo infatti cinque tavoli, vengono presentati questi rotoli di carta (a cui forse il titolo della mostra si riferisce) e che sono lunghi 9,5 metri. Interessante la scelta di suddividere i tavoli per colore: quello verde, giallo,blu, ecc., quasi fossero i colori del mondo che, con l’interazione del bianco della carta e gli scarabocchi in penna nera rossa o blu; cambiasse la luce e diventasse materia luminosa anch’essa che si spegne solo attraverso “la memoria” del colore, spogliandosi così di tutti i suoi significati polisemantici attraverso il continuo disegnare sulla carta dell’ultimo tavolo, di due mini-robot della serie “Paul-A” appunto e che continuano a disegnare in tempo reale per tutta la durata della mostra. Il culmine di questa metafora è nella percezione dell’insieme, che riprende alcuni protagonisti degli oggetti artistici messi sui fogli di carta dei tavoli o accanto o sulle pareti, che costringono a “girare l’angolo” lungo una colonna e compiere questa rotazione su se stessi per riassaporarne l’insieme. Piccole sculture di De Chirico, opere di Hanne Darboven, Lucio Fontana, Sherrie Levine, Piero Manzoni e Dieter Roth ed il famoso carteggio tra Freud e Einstein sul perche’ della guerra con la lettera originale in bella mostra e la possibilità di sfogliarne il libro, mentre spicca, su di un angolo del penultimo tavolo, anche la catena del DNA umana disegnata in modo perfetto, ma meccanicamente.

E cosi, concludendo il percorso nelle tre sale del cisterna, ecco si completa questo viaggio: quasi che fosse il cosmo a realizzare non dei modellini con sfere d’acciaio e barrette di plastica come fanno i bambini di tutto il mondo, ma 73 teste di bronzo che rappresentano 61 figure storiche e contemporanee tra cui quella di Albert Einstein e di Sigmund Freud, Martin Luther King, Karl Marx, Mary Shelley e Aaron Swartz, collegate tra loro da lunghe barre metalliche che si infilzano nelle teste di cotanti esseri umani illustri. E come nel circuito magnetico che induce un campo magnetico per mezzo degli opportuni “avvolgimenti” , come un magnete il cervello e la mente umana restano per chi si aggira per le sale cisterna, l’unica ed inscindibile risposta per quel destino dell’uomo cosi segnato dalla ricerca di sviluppo che mette “in rete” competenze e mondi virtuali in nome del progresso umano. E chissà, se come nel gioco dei bambini, basterà avvicinare la sfera alla estremità della barretta e l’altra l’attirerà magneticamente.

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

Photo Credit: http://www.fondazioneprada.org/projects/to-the-son-of-man-who-ate-the-scroll/

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