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Il mood del fiabesco attraverso gli occhi del teatro

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Se il “Cindarella mood” al grande cinema esiste da sempre, anche si è iniziato a chiamarlo così solo da poco, ovvero da quando la “voglia di fiaba” ovvero di sognare e dare spazio alla fantasia “a lieto fine” ha conquistato Hollywood -con i volti di Angelina Jolie in Maleficent e Cenerentola di Branagh lo scorso anno-; nella programmazione dei grandi teatri, in modo particolare in quelli del teatro italiano ci si dovrà forse ancora abituare, ma esiste già e non solo nella danza. Un teatro che ha deciso di testimoniare appieno questo “mood” nel suo cartellone associando appunto un repertorio vasto tra cinema e teatro (e danza) è il Teatro di tradizione “Verdi” di Pisa. E lo fa con una stagione di prosa dai numeri impensabili per un teatro italiano: il tutto esaurito.

Ma davvero esiste un “cindarella mood” ovvero un mood fiabesco cinematografico, che conquista anche il pubblico del teatro? Pare di si. Ne è un primo buon esempio lo spettacolo teatrale “Calendar Girls” in cartellone appunto al Teatro Verdi di Pisa, con un cast di altissimo livello tra cui Ariella Reggio, Angela Finocchiaro e Laura Curino che parla di una storia realmente avvenuta alla fine degli anni ’90 nella campagna dello Yorkshire inglese quando un gruppo di donne di un’associazione femminile, decidono, dopo che una di esse ha perso il marito per una grave malattia di donare un divano all’ospedale. Come? facendosi fotografare benchè over 50, nude. Nudi artistici, ovviamente, ma comunque sexy per delle donne non più giovanissime.

Lo spettacolo, con una scenografia coloratissima di grande effetto e dei cambi di ambientazione tra esterno ed interni curatissimi, per la regia di Cristina Pezzoli ha nel cast anche Matilde Facheris, Corinna Lo Castro, Matilde Facheris, Carlina Torta e Noemi Parrone, Titino Carrara e Marco Brinzi; ispirato al film diretto da Nigel Cole del 2003, con il film inglese ne condivide il mood della fiaba: raccontare la storia vera di un gruppo di donne che realizzano sogni facendo qualcosa di inusuale e coraggioso: non dell’acquisto del divano ma di raccogliere ben un milione di sterline e far edificare una nuova ala del locale ospedale. Delle semplici donne di 50, 60 e 70 anni alle prese con gare di torte fatte in casa ed il gioco del volano che, in barba ai rigidi canoni di bellezza, mostrano al pubblico che affolla sala nei due giorni di repliche da tutto esaurito, le “loro grazie” da eterna giovinezza quasi a dire nel bene e nel male: “nessuno è immune, può capitare a tutti”.

E se questo è il potere forte ed intrinseco del mood della fiaba, quello di permettere al pubblico di riconoscersi nella storia, in questo senso è inserito anche il teatro canzone di Neri Marcorè ed il suo spettacolo “Quello che non ho” ispirato al film de “La rabbia” di Pier Paolo Pasolini con le canzoni di Fabrizio de Andre’, anch’esso in cartellone al Teatro Verdi di Pisa. Lo spettacolo, in scena in questi giorni, con voci e chitarre della brava cantante Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini gli arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri e la drammaturgia e regia di Giorgio Gallione e collaborazione alla drammaturgia di Giulio Costa per la produzione del Teatro dell’Archivolto di Genova; benchè abbia poco in comune con la “La rabbia”, che è un film in due parti la prima di Pier Paolo Pasolini e la seconda di Giovannino Guareschi dove ci sono due lati di una stessa medaglia, ovvero due ideologie, due dottrine di opposte tendenze che rispondono però entrambe ad un drammatico interrogativo: perchè la nostra vita è dominata dalla scontentezza dall’angoscia dalla paura della guerra e dalla guerra (attaverso la visione di documentari dell’epoca attraverso le parole dell’autore), quello che non ha lo spettacolo di Marcorè è questo essenziale senso dell’abbandono, mentre invece, abbraccia appieno il mood della fiaba dato dalle belle canzoni di De Andrè, con sipari teatrali dai tempi a volte comici, a volte drammatici che si aprono e si chiudono su di un mondo e di una Italia allo sbando attraverso dei led luminosi calati dall’alto e campi buì pieni di lucciole. Il mood della fiaba insomma, risponde esattamente a quello che Marcorè dice in scena: Come può un artista, un intellettuale, raccontare a chi non l’ha vissuto, cosa è stato il nostro tempo? Una volta chiesero a un direttore d’orchestra, Furtwangler: “Quanto dura il concerto di Mozart che lei dirigerà stasera?” E il direttore rispose: “Per lei dura quarantadue minuti, per chi ama la musica dura da 300 anni”.

Stiamo producendo orrori e miserie, ma anche un tempo fatto di opere meravigliose, quadri, musica, libri e parole. Eredità e testimonianza della civiltà umana sono le frasi di Leonardo: “seguiamo la fantasia esatta”, di Mozart “siamo allievi del mondo”, di Rameau “Trovo sacro il disordine che è in me”, di Beckett “non siamo che figura e sfondo”, di Monet “voglio un colore che tutti li contenga”, di Fabrizio De Andrè “Vado alla ricerca di una goccia di splendore”, fino alle utopiche provocazioni di Pasolini “E’ venuta ormai l’ora di trasformarsi in contestazione vivente”. In questa società moderna, insomma, cosi dissacrante, che ultimamente (e sempre di più ) sta utilizzando per esprimersi stati d’animo ed aspirazioni, angosce, ansie e problemi quello della fiaba per prenderne le distanze, diventa il modo perfetto per esprimersi, non solo al cinema, ma anche in scena. Perchè mai come nel mondo della fiaba con le sue principesse ed i suoi ochi è necessario (e normale) far emergere quelle note che spesso sono silenti dentro ma che così emergono in modo coraggioso, facile e divertente al fine di evitare per dirla come ha detto ne “La rabbia” lo stesso Pasolini parlando della morte di Marylin Monroe: “che la tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente…” divenga un male mortale! Ben vengano quindi teatri lungimiranti con un cartellone cosi ben fatto a testimoniarlo.

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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