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Tempo e Tempio di Mahmoud Saleh Mohammadi al Circolo Marras

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Lo sguardo che declina la pace in un’unica direzione Marras

Agli sguardi “oltre” ed ai suoi eccessi di live performance, installazioni, moda e design, fotoshow e video arte, Milano è abituata, per sua vocazione, da sempre. Negli anni per esempio, gli eventi dei giovani di “womade” si sono avvicendati nello scrigno degli spazi, consoni o meno che siano, della Fondazione Umanitaria proprio per offrire questo punto di vista. Ma lo spazio “Non solo Marras” di sicuro propone con gusto, qualcosa di simile eppure di estremamente diverso al punto di vista, entra addirittura dentro lo sguardo con la voglia di declinare un messaggio di pace in tre diverse scritture che si fondono però in un’unica direzione. Come  ben dimostra in “Mappe, percorsi ed orizzonti” la bella performance di scrittura calligrafica e la inaugurazione della nuova mostra, successivamente si è svolto “#04 Chissà..” di Mahmoud Saleh Moammadi con Akiko Kozato durante l’inaugurazione della nuova mostra visibile sino al 20 Gennaio 2016.

Con aspetti mutanti e spesso mutevoli derivati dalla scrittura, l’immaterialità del pensiero di San Francesco d’Assisi, Molana Rumi e Kamo No Chomei, per andare oltre l’arte che si avvicina cosi sempre più agli occhi di chi guarda (e che forse, proprio  questa view nel 2013 valse allo stilista una laurea honoris causa proprio in belle arti, a Brera). E non stupisce quindi la scelta del titolo “Tempo e Tempio” dove questi sguardi “oltre” e sguardi “inediti” paiono quasi fondersi al tema della pace, per descrivere lo spazio fisico di tappeti persiani che divengono colonne, arazzi, quadri di una esposizione, fatti di storie immaginarie con un’unica pennallata in oro, in cui il tempo pare scomparire, annullarsi al suono dell’acqua che scorre in una putrida intallazione, come in un ipotetico cerchio narrativo che si chiude.

Che Antonio Marras amasse i tappeti lo si capisce dalla struttura stessa delle sue sfilate oltre che alla presentazione vera e propria di tappeti ricamati a mano da artigiani sardi, la sua terra, nel 2013 sempre a Milano (in quell’occasione vennero presentate anche le carte da parati, su disegno originale di Antonio Marras, altra grande “passione” che si evince subito entrando a Nonsolomarras). Per descrivere lo “spazio” nello spazio di questa mostra, basta citare  forse solo una frase di chi ha definito la storia dell’arte una forma sofisticata di evoluzione del genere umano. Ed infatti “Tempo e Tempio” di Mahmoud Saleh Mohammadi, è in estrema sintesi, proprio questo. Ma nelle parole di Francesca Alfano Miglietti, direttore artistico dello spazio nonostante marras insieme a Patrizia Marras, c’è forse anche di più  e sono queste: “sono oro le tracce che Mahmoud Saleh Mohammadi lascia sui tappeti, quella di Mahmoud è una visione non convenzionale dell’arte e della storia, opere fuori dai confini che si affidano tanto alla sua eredità culturale quanto alle condizioni della sua quotidianità attuale”.

Sacro o sciamanico che sia questo percorso, l’idea di estrapolare dalla tecnica Kintsugi (inserire fili piombati in oro nelle crepe di oggetti rotti per offrire loro nuova vita), proveniente dal Giappone, dove il filo conduttore dell’ipotetico racconto, è appunto la “macchia lineare” dell’oro, è vincente. Quasi il desiderio di porre riparo al disastro del mondo con armi fragili.  E cosi, se il reale nudo e crudo pare insopportabile, da “buone creature della notte” avrebbe detto la scrittrice Anna Maria Ortese, c’è stato bisogno di ripensarlo nel buio dell’immaginazione per dare al tutto nuova luce. Il risultato? Ce n’era bisogno? Ai visitatori della mostra l’ardua sentenza. Sta di fatto che le similitudini nello stile di lavoro tra Anna Maria Ortese e Mahmoud Saleh Mohammadi è insita in questa “ricetta esplosiva come modo concreto di stare nel mondo e di operare nel mondo stesso una trasformazione partendo da dove si è, con quello che si ha a disposizione”; come in “Alonso e i Visionari”, per esempio, ultima opera della Ortese, anche nella mostra di Mohammadi che si ricorda è fondatore anche dello spazio Nour di Milano, ricorre spesso l’immagine della “ciotola” con una installazione a vasche e ciotole e che è stato anche finale immaginario della performance di scrittura. E come nel racconto della scrittrice, anche nella mostra “c’è dell’acqua nella ciotola”, che viene spesso cambiata perché sia pulita e pronta nel caso del racconto ma che nel caso della installazione a vasche posta al centro della sala, data la sporcizia dei contenitori, diventa quasi icona morale attraverso lo scorrere dell’acqua pulita, come lo scorrere delle parole scritte durante la performance, che ben rappresenta quanto un essere vivente potrebbe averne bisogno per vivere (e sopravvivere) in una Bellezza, tempo e tempio, che  o non c’è o  se c’è, va cercata con un cuore puro.

di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it

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