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La fiera delle illusioni – Nightmare Alley: Guillermo Del Toro, il noir e i mostri dentro di noi

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“Che ti è successo?” “La vita. Mi è successa la vita”. È uno di quei dialoghi secchi, tranchant, battute che ti colpiscono come una pallottola al cuore e ti restano dentro. Le parole fanno male, lo sapete, e queste sono parole tipiche di uno di quei film che non si fanno più, di quei noir anni Quaranta avvolti nel fumo e nell’alcol. È quel mondo che ritroviamo nell’ultimo film di Guillermo del Toro, La Fiera Delle Illusioni – Nightmare Alley, tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham pubblicato nel 1946, in uscita al cinema il 27 gennaio.

Stanton Carlisle (Bradley Cooper), avventuriero affascinante ma senza arte né parte, finisce in una fiera, un mondo fatto di giostrai, maghi, forzuti e fenomeni da baraccone. Qui incontra la chiaroveggente Zeena (Toni Collette) e a suo marito Pete (David Strathairn), ex mentalista, Inizia una relazione con lei, e ruba i segreti del mestiere a lui: i modi da imbonitore, quelle frasi giuste da dire, generiche al punto giusto da funzionare con tutti. Capisce ben presto che la sua strada sarà quella, ma lontano dal luna park. Ha in mente di sfruttare le abilità che ha imparato per truffare l’alta società newyorkese degli anni Quaranta. Si innamora di Molly (Rooney Mara), che al luna park era la ragazza elettrica, e la porta con sè. Ma in città incontra una misteriosa psichiatra (Cate Blanchett), che può essere la sua più grande alleata. Ma anche una donna terribilmente pericolosa.

Guardi Cate Blanchett e ti sembra di vedere Veronica Lake, Lauren Bacall o Barbara Stanwyck. Parliamo di quelle dark lady tipiche del noir anni Quaranta. Quelle donne dai capelli pettinati di lato, dall’aplomb inscalfibile e dagli sguardi che tagliavano come lame di coltello. Ma anche Rooney Mara, eterna donna bambina in grado di cambiare look da un momento all’altro, ha un volto d’altri tempi. E Bradley Cooper ha una faccia che, stropicciata ad arte, diventa quella del perfetto loser. Volti senza tempo, iconici, sagome che si stagliano contro la luce e gli elegantissimi sfondi, che sembrano davvero arrivare a noi da un’altra epoca.

Ma è La fiera delle illusioni – Nightmare Alley ad essere così, ad omaggiare un’altra epoca. È come sei i registi che in tanti anni di carriera hanno creato un immaginario visivo forte nel pubblico sentano il bisogno di confrontarsi con quegli immaginari che sono stati creati prima di loro. In fondo prima che regista ognuno di loro è un grande appassionato di cinema. Lo ha fatto Robert Zemeckis con Allied, che riprendeva Casablanca e il cinema di Hitchcock, lo ha fatto Steven Soderbergh con Intrigo a Berlino, omaggio a film come Il terzo uomo. Lo ha fatto anche Spielberg, ma questa è un’altra storia. Si capisce allora l’amore che c’è nel fare un film di questo tipo.

E come il film contenga suggestioni di un cinema che non si fa più, iconico, potente, ambizioso. Ci vengono in mente Casablanca, Gilda, La fiamma del peccato. La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è un film è un film a colori – caldi, a volte desaturati – ma è come se fosse in bianco e nero (e, non a caso, in alcune sale in America è stata distribuita una versione di questo tipo). Perché i giochi di luci e ombre, quella luce che arriva obliqua e divide la scena, o taglia in due i volti è proprio quella di quei film. Non si può non rimanere incantati di fronte alla forza visiva di Nightmare Alley.

Ma quello di Guillermo Del Toro è anche, e soprattutto, un film sull’illusione. Stanton Carlisle si presenta come un mentalista, ma in fondo è un grande illusionista. Inganna gli spettatori, li illude, li ammalia, fa credere loro qualcosa che non esiste, fa credere loro di essere qualcuno che non è. La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è in fondo un film sullo spettacolo, sull’arte della messinscena, l’arte di incantare il pubblico, è un sul cinema e la recitazione. “Io sono sempre in scena” risponde Stanton al personaggio di Cate Blanchett. La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è come The Prestige di Christopher Nolan. Con la differenza che lì – pensando al cinema – Nolan ci suggeriva che c’era un patto tra artista e pubblico, che non vuole vedere il trucco contento di non farlo. Qui c’è un uomo che punta sulle debolezze delle persone, sui vuoti delle loro vite, per mostrare loro quello che vogliono vedere.

La vita stessa di Stanton è un’illusione, quella diventare qualcosa di diverso di quello che è stato, di non essere solo “un contadino con i denti dritti”, di illudere se stesso, prima ancora degli altri, di avere una nuova vita. E in fondo è anche Guillermo Del Toro ad illudersi e a illuderci. In tutta la prima parte del film, ambientata al luna park, crediamo che sia ancora una volta il suo cinema fantastico, quello dei mostri e dei freak. Ma è solo un’illusione, appunto. Il vero film inizia quando Stanton lascia la fiera. E i mostri allora non sono i fenomeni da baraccone ma sono quelli che abbiamo dentro di noi. E sono molto, molto più pericolosi.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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