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Per una moda più inclusiva e irriverente, Eleonora Cicchetti presenta il suo brand

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Da diverso tempo, ormai, l’industria del fashion sembra aver preso una nuova direzione, orientata verso un’idea di moda sempre più inclusiva e libera da fuorvianti e limitanti preconcetti.

A spingere verso questa nuova visione, più moderna e certamente più femminista, sono stati soprattutto i giovani stilisti. Tra questi, anche la talentuosa italiana Eleonora Cicchettti, giovane Fashion Designer che, proprio nell’anno della pandemia, ha deciso di lanciare il brand inclusivo Eleonora Cicchetti Collection.

Le sue collezioni sono un vero e proprio omaggio alla femminilità, in tutta la sua bellezza e complessità, facendo propria la battaglia femminista della body positivity per una moda più inclusiva ma anche più reale.

Eleonora come nasce la tua passione per la moda?
La mia passione per la moda nasce da quando ero piccolissima. Ricordo che guardavo le riviste di moda come se fossero la cosa più bella del mondo, tutti quei colori, quelle foto patinate che sembravano così lontane dalla realtà e mi facevano sognare. Fin da allora la passione per la moda si è manifestata anche nei giochi, tagliavo e “cucivo” abiti per le bambole, indossavo plaid in mille modi diversi realizzando sfilate per casa… Diciamo che da subito era chiaro quale sarebbe stato il mio destino!

Da Infuencer a stilista, come è nato il tuo brand? Parlaci della tua formazione.
Nasco dai social come Influencer, dopo aver lavorato per diversi anni come fotomodella. E il mio brand nasce proprio dal mio lascito di quel mondo che iniziava a starmi stretto, troppe restrizioni e troppi pregiudizi. Era tutto molto lontano dal mondo che avevo immaginato e sognato di vivere da ragazzina.

Il mio brand nasce proprio come “rivincita”, come voglia di riscatto per tutte quelle donne che come me non si sono sentite a loro agio nel proprio corpo per molto tempo, che sono state denigrate per l’aspetto fisico. L’obiettivo è stato fin da subito quello di “riscattare” la bellezza femminile, sdoganando quei canoni che ad oggi sono ancora ben saldi. Volevo portare sulle passerelle di tutto il mondo la vera inclusività, le vere donne che affrontano la loro vita quotidianamente, facendole sentire belle nei panni di tutti i giorni.

Per arrivare dove sono oggi ho studiato molto e non smetto mai di farlo. D’altronde, studiare la moda è un percorso che quando si inizia, non si termina mai. È tutto sempre in movimento ed è necessario aggiornarsi e saper stare al passo con i tempi.

Tu parli di moda inclusiva. Spesso l’industria del fashion si è fatta portavoce di un modello di bellezza, specie femminile, particolarmente fuorviante. Ecco, in che modo la moda dovrebbe e potrebbe veicolare messaggi più sani ed essere, appunto, più inclusiva?
Il modello di bellezza che fino ad ora ci è stato proposto, a mio parere, è tutt’altro che inclusivo. Ho visto modelle ancora molto (troppo) magre in passerella e, in ognuna di queste sfilate, è stata inserita una modella “Curvy”. Francamente, non credo che questo possa definirsi “inclusione”. Al contrario, credo fortemente che così si veicoli un messaggio fuorviante.

Normalizzare l’obesità è come normalizzare l’anoressia, non è più un messaggio accettabile nel 2021, ogni corpo deve essere valorizzato e non usato per semplici scopi pubblicitari, per poi proporre sul mercato taglie che non parlano dei corpi delle donne di oggi.

Credo che una moda davvero inclusiva abbia bisogno semplicemente di “normalità”, di guardare alle donne vere, quelle che si incontrano ogni giorno.

Mi piace pensare alla bellezza che Gianni Versace ci mostrava con le sue modelle formose, donne vere, che riusciva a far sentire belle con dei semplici tagli, questo è il potere della sartoria!

Quali cambiamenti noti nell’industria della moda negli ultimi anni? Come pensi che si sia evoluta in questo senso?
L’industria della moda negli ultimi anni ha sicuramente fatto passi in avanti, portando sul mercato tagli oversize o no gender, ma a mio parere non credo che sia esattamente un’evoluzione, la moda è ciclica e ciò vuol dire che tutto torna…

Parlare di evoluzione mi fa pensare a Chanel con i suoi primi tailleur o la rivoluzione dei Jeans di Levi Strauss. Un’evoluzione implica un passo in avanti, come la parola stessa ci suggerisce, ma allora perché ancora si porta una magrezza esasperata in passerella?

Le tue collezioni richiamano molto la moda degli anni Trenta dell’Ottocento, con questi corpetti romantici che ricorrono in quasi tutti i tuoi abiti. C’è molto però anche dei richiami “elisabettiani” che rimandano immediatamente al giovane e rivoluzionario designer Nabil Nayal. È così? Quali sono i tuoi modelli di riferimento nella moda?
La pittura nel pieno periodo storico del Romanticismo prende vita nelle mie collezioni, non possono appunto mancare corpetti rigidi, tulle, satin e molto altro.

Nabil Nayal è un grandissimo designer che ama giocare con i volumi degli abiti e l’utilizzo del tulle, un must in quasi tutte le sue collezioni. Non ci sono dei richiami espliciti alle sue collezioni nei miei abiti, ma certamente è uno stilista che apprezzo molto e che inevitabilmente mi ha segnata.

Se devo pensare a dei veri e propri modelli di riferimento, sicuramente direi: il grandissimo Gianni Versace, per le sue rivoluzioni nel campo della sartoria; Chanel, per aver dato un ruolo importane anche alla donna in carriera; Giambattista Valli con i suoi volumi che fanno della sartoria il ritorno della femminilità.

Non solo romanticismo, ti piace giocare con gli eccessi e con i colori. Sembra quasi che tu abbia fatto tuo il celebre motto “More Is More and Less Is Bored”…
I colori sono fatti per essere guardati, devono farci brillare, ogni abito deve raccontare una storia dopo essere stato indossato. E come si può raccontare una storia se l’abito non ci fa splendere abbastanza? Osare per splendere, insomma. E sì, direi che Iris Apfel mi e ci ha insegnato moltissimo…

 

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