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Wonder Woman 1984: Gal Gadot ritorna, per ricordarci quanto è importante la verità

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Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo. Questo aforisma, attribuito ad Oscar Wilde, ci permette di entrare nel mondo di Wonder Woman 1984, il secondo film stand alone dedicato all’eroina DC Comics, con il volto di Gal Gadot e la regia di Patty Jenkins. Al centro della storia c’è un oggetto che arriva dal passato e che fa avverare ogni desiderio. È qualcosa che tutti vorremmo, ma, come sappiamo, in questi casi c’è sempre un prezzo da pagare, come ci insegna il Faust di Goethe, che aveva venduto l’anima al Diavolo. Wonder Woman 1984 dal 12 febbraio è disponibile per l’acquisto e il noleggio premium su Amazon Prime Video, Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity.

Dopo un inizio nel mondo delle Amazzoni che abbiamo imparato a conoscere nel primo film, in cui vediamo Diana da bambina in una competizione gladiatoria che sembra uscita dal mondo dell’antica Roma, veniamo catapultati, come promesso dal titolo, nel 1984, a Washington. E allora ecco i colori accesi, i centri commerciali, le sale giochi Arcade, gli occhiali da sole colorati. La scena di una rapina è funzionale all’ingresso in scena di Wonder Woman. I colori della sua divisa, ancora più accesi del solito, si inseriscono alla perfezione tra i colori degli anni Ottanta. A differenza di molti film ambientati in quest’epoca, Wonder Woman 1984 non eccede in troppi ammiccamenti e citazioni, a parte un grande gioco su abiti e costumi, e una canzone dei Frankie Goes To Hollywood (Welcome To The Pleasurdome).

La scelta di ambientare il film negli anni Ottanta nasce, più che per seguire una tendenza in voga, per portare Diana Prince, che era arrivata nel nostro mondo ai tempi della Prima Guerra Mondiale, in un’era dove gli Stati Uniti erano al massimo della potenza mondiale, dove imperava l’Edonismo Reaganiano, il successo era promesso a tutti e l’avere tutto e subito sembrava essere l’imperativo categorico. È in questo momento storico che, allo Smithsonian Museum di Washington, la storia di Diana Prince incontra quella di Barbara Minerva (Kristen Wiig), una geologa/gemmologa e con Max Gold (Pedro Pascal), affarista e imbonitore televisivo, “un Gordon Gekko senza la sua eleganza”, come l’ha definito l’attore. Un misterioso oggetto in arrivo da un tempo molto lontano, che permette a chiunque di far avverare i propri desideri, porterà ognuno di loro a fare delle scelte che in alcuni casi si riveleranno discutibili, in altri molto pericolose.

Gal Gadot  – ormai al quarto film, di cui due stand alone, nei panni dell’eroina DC – si conferma una scelta perfetta per dare un volto a Wonder Woman. Ci piace la sua naturale eleganza, il portamento, l’ironia e l’espressività del suo volto mentre è in azione, il suo sguardo tagliente, il sorriso, la bocca che sembra un fiore carnoso. Il fatto di non averla praticamente mai vista in altri ruoli fa sì che lei sia a tutti gli effetti Wonder Woman, solo Wonder Woman. Come è nella tendenza dei cinecomic di oggi, non è appare molto in scena con il suo costume, ma spesso la vediamo in abili civili, sempre impeccabili, da lunghi abiti da sera con spacco, a intriganti abiti tre pezzi da uomo. Prima dell’eroe, insomma, qui conta la donna. Quando Wonder Woman è in azione, ovviamene Gal Gadot fa risaltare il suo fisico. Le spalle larghe, le gambe lunghe e affusolate, una figura tonica e slanciata ma mai muscolosa, regalano al personaggio un senso di agilità e potenza senza perdere nulla della sua eleganza.

Kristen Wiig è perfetta invece per portare in scena Barbara Minerva, alias Cheetah, amatissimo villain dei fumetti di Wonder Woman, che vira al femminile la figura del classico scienziato un po’ pazzo, il disadattato, il sottovalutato che diventa pericoloso, che è il percorso dell’Enigmista di Batman o dell’Electro di Spider-man. Kristen Wiig ci dimostra come un’attrice brillante possa anche essere sexy, e poi pericolosa, e anche il villain di un cinecomic. Versatile e sfaccettata, la Wiig cambia registro più volte nel corso del film.  Ci sembra invece da subito caricaturale, eccessivo, non completamente riuscito il personaggio di Max Gold interpretato da Pedro Pascal. Nel cast c’è anche Chris Pine nei panni di Steve, il grande amore di Diana, che si muove tra divertenti gag sugli abiti anni Ottanta e momenti più commoventi.

Pensateci. Steve è ridicolo nei suoi tentativi di vestirsi. Max Gold è goffo e impacciato anche mentre acquista sempre più potere, Diana Prince e Barbara Minerva sono elegantissime. Wonder Woman 1984, come il suo predecessore, nasce come film in qualche modo femminista. E allora sarà un caso o no che tutte le donne sono sexy e intelligenti e tutti gli uomini, che siano i buoni o i cattivi, siano impacciati, o comunque un passo indietro alle donne?  A proposito di femminismo, il personaggio di Barbara Minerva, ottenuti i poteri desiderati, li utilizza certamente nel modo sbagliato. Però, in una scena, lo fa anche per reagire alle molestie. Ecco, il film di Patty Jenkins sembra volerci dire anche che non dovrebbero servire superpoteri alle donne per difendersi. Le molestie non dovrebbero esserci e basta. La grande differenza tra gli uomini e le donne, nel mondo di Wonder Woman 1984, però, sono soprattutto nei desideri. Gli uomini, che siano il Presidente degli Stati Uniti o un affarista da strapazzo, una volta ottenuto di esaudire un desiderio, chiedono più armi o più potere. Le donne chiedono l’amore, la sicurezza in se stesse, non essere considerate “una qualunque”.

Sono tutti temi importanti, che però il film non riesce ad affrontare con la giusta forza, che non riesce a mettere pienamente a fuoco. A volte temi anche delicati vengono affrontati in modo grossolano. È un film che si dilunga molto, che, ogni volta che la storia sta per decollare, entrare nel vivo, si prende una pausa, e sembra chiederci di aspettare ancora un po’. È un film che, come detto, non cita a profusione gli anni Ottanta, ma ne vuole cogliere lo spirito. A volte sembra riprendere alcuni aspetti dei Superman di Richard Donner, prendendone però i lati più eccessivi, confusionari, grotteschi. Tanta carne al fuoco, non tutta necessaria, per ricordarci che non dobbiamo desiderare più di quello che abbiamo, di considerare prezioso il qui e ora. E di non perdere mai di vista la cosa più importante: la verità.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

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