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Euphoria – Trouble Don’t Last Always: Rue e la seduta di autocoscienza. Su Sky Atlantic e NOW TV

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In primo piano c’è la schiena nuda di Jules. Non è ancora mattina. Ma presto arriva la luce del giorno, arriva Rue, che bacia Jules, sulla schiena, sulla bocca. Inizia così lo speciale Euphoria – Trouble Don’t Last Always (Parte Uno: Rue), il primo di due episodi che faranno da ponte tra la prima e la seconda stagione della serie, scritto e diretto dal creatore della serie HBO Sam Levinson, (in onda su Sky Atlantic e NOW TV dalle 23.00 del 7 dicembre). La scena è colorata da tinte pastello, è un idillio. Le due ragazze sono insieme, sono innamorate, tutto è perfetto. Ma è solo un sogno a occhi aperti, un’aspirazione. Tornati nella realtà vediamo Rue uscire da un bagno. Si tocca il naso, sembra aver appena tirato un po’ di coca. Rue (Zendaya), dopo essere stata lasciata da Jules (Hunter Schafer) alla stazione ferroviaria e aver avuto una ricaduta, trascorre una vigilia di Natale particolare, in un diner, insieme all’umo che è lo sponsor nel suo percorso di disintossicazione e di riabilitazione (Colman Domingo). I due iniziano a parlare. Di lei, della sua sobrietà, di quanto è importante essere puliti. Ma anche del padre e della madre di Rue.

Euphoria – Trouble Don’t Last Always è il primo di due speciali che HBO ha creato per traghettare la prima stagione verso la seconda in un anno dove la produzione, come si può immaginare, è saltata. Euphoria tornerà tra un anno, e la prima di queste due puntate speciali, dedicata a Rue (la seconda, in arrivo in primavera, sarà probabilmente dedicata a Jules) ha il ruolo di collante, di link, di ponte. Serve a tenere alta la nostra attenzione, a riportarci in sintonia con i personaggi principali, a farci riacquistare, qualora ce ne fosse bisogno, la familiarità e la connessione che avevamo con loro. Sono delle puntate prodotte quando non era possibile produrre a pieno regime. E per questo sono produzioni più piccole: solo un paio di attori in scena, una o due location in interni. È insomma una produzione a scala ridotta, quando lo standard di Euphoria prevedeva tanti personaggi principali e tante comparse, molte location, scene di massa. La nuova puntata speciale è allora l’occasione per puntare i riflettori su Rue, la nostra protagonista, e ascoltarla in una profonda confessione, una lunga seduta di autocoscienza. L’incontro, una sera a cena, con il suo sponsor, è l’espediente per far parlare Rue, per farcela conoscere, per farci scoprire qualcosa di lei, per farci sapere a quale punto è della sua vita.

Il risultato è quello di far salire ancora di più l’attesa per la seconda stagione di Euphoria, in arrivo probabilmente tra un anno. Ci fa capire che abbiamo amato quei personaggi, quegli adolescenti così disastrati, così dipendenti da qualcosa, amore, amicizia, sesso, sostanze di tutti i tipi. Nel suo piccolo, questo speciale ci ricorda che cosa rende così speciale Euphoria. È un ritratto a luci al neon della generazione Z. Una serie di immagini patinate e fluorescenti fuori, una serie di storie durissime, scioccanti e senza sconti dentro, per raccontare senza filtri una generazione che sembra essere sconfitta senza nemmeno aver avuto la possibilità di iniziare a partecipare, tanta è la condizione di impotenza in cui l’ha lasciata la generazione precedente, i loro genitori, le loro famiglie. Euphoria è una continua doccia scozzese, è il bastone e la carota. Seduce con i colori accesi, con un’immagine lucidata e risplendente, con corpi bellissimi, ma poi colpisce con il dolore, con il male di vivere, con il continuo senso di inadeguatezza, di insufficienza.

L’adolescenza è una terra di mezzo, è una continua ricerca del proprio posto nel mondo, è essere grandi senza esserlo veramente, è provare a essere adulti senza alcun mezzo per farlo. Tutto questo c’è sempre stato in tutti i teen drama che abbiamo visto in tv. Eppure stavolta tutto è ancora più duro, evidente, sincero. Tutto è più viscerale. E anche empatico, perché questi ragazzi ci trascinano nel loro mondo, si aprono, si mettono a nudo senza alcuna difesa. Euphoria, in qualche modo, è universale: quello che vediamo non sembra mai riguardare solo questi ragazzi, ma tutti. Forse perché in Euphoria, in fondo, niente è futile, niente lezioso, ma tutto è così denso, intenso, importante da essere compreso da tutti. Euphoria è arrivata come un meteorite nel mondo dei teen drama. Non porterà all’estinzione degli altri, ma alla loro evoluzione: tutti i prodotti di questo tipo, in qualche modo, dovranno fare i conti con Euphoria. E i risultati, secondo noi, si stanno già vedendo: in uno degli episodi della terza stagione di Baby, quello diretto dallo sceneggiatore Antonio Le Fosse, esordiente alla regia, abbiamo trovato una sorta di effetto Euphoria, nell’estetica, nei colori, in una certa amara ironia.

Ecco, se c’è qualcosa di Euphoria che ci è mancato in questo speciale è proprio l’ironia, che contraddistingueva la serie, e che serviva da contrappunto ai grandi, dolorosi problemi di questi ragazzi. Il fatto che qui Rue (una Zendaya sempre più brava) sia sempre in scena, in primo piano in un dialogo che è una sorta di monologo, la toglie dal ruolo di narratore onnisciente, dal ruolo di voce narrante. Guardando dall’esterno, riusciva a raccontare se stessa e gli altri con un’ironia e un distacco che ci faceva amare ancora di più lei e i suoi amici. Questo aspetto viene a mancare. E ovviamente, dato il taglio del racconto, manca anche il moto perpetuo tra i personaggi, quel continuo entrare gli uni nelle storie degli altri, i collegamenti, le affinità e le antipatie, la relazione del loro mondo con il mondo dei grandi. Allora questo speciale Euphoria – Trouble Don’t Last Always è Euphoria ma allo stesso tempo non lo è, non è la serie che abbiamo conosciuto. Ma serve a ricordarci quanto ci manca. Aspettiamo allora il prossimo speciale, e l’attesissima seconda stagione. Ormai ci siamo dentro fino al collo.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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