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Doom Patrol 2: supereroi come non li avete mai visti. Su Prime Video

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People are strange when you’re a stranger, faces look ugly when you’re alone”. La gente è strana, quando sei uno straniero, i volti ti guardano disgustati quando sei solo. People Are Strange dei Doors, in una versione di Echo And The Bunnymen, apriva la prima stagione di Doom Patrol, la serie sbarcata due anni fa su Amazon Prime Video, dove ora, dal 28 settembre, è disponibile la seconda stagione. È una storia di supereroi tratta da un fumetto DC Comics: la casa madre di Batman, Superman e Wonder Woman. Ma non aspettatevi niente di tutto questo. Al centro della storia c’è un gruppo di eroi, di diversi… ma così diversi che, al confronto, gli X-Men sono degli impiegati statali. Robotman alias Cliff Steele (Brendan Fraser) è un ex pilota di corse rimasto in vita dopo un incidente. In realtà, ad essere rimasto in vita è solo il cervello, e così il suo corpo è completamente meccanico, quello di un robot: ma non pensate agli automi perfetti di Westworld, il suo è un corpo di ferro pesantissimo. Negative Man, nella precedente vita Larry Trainor (Matt Bomer) è un ex aviatore rimasto completamente sfigurato dopo un’azione in volo, durante la quale un’entità aliena è però entrata in lui, ed è costretto a girare ricoperto di bende. Elasti-Woman, all’anagrafe Rita Farr (April Bowlby) è un ex attrice degli anni Cinquanta, caduta in acqua ed entrata in contatto con una sostanza che, quando meno se l’aspetta, la fa liquefare, allungare, diventare elastica. C’è Cyborg, vero nome Victor Stone (Joivan Wade), metà uomo metà robot, che abbiamo conosciuto nella Justice League e nei Teen Titans. E poi c’è Crazy Jane (Diane Guerrero), una ragazza che ha ben 68 diverse personalità, ed è assolutamente imprevedibile. Il loro capo è Niles Caulder, The Chief, un Timothy Dalton che, dopo Penny Dreadful, sta vivendo una nuova fase della carriera.

Nella stagione 2, dopo la sconfitta di Mr. Nobody, ritroviamo i Doom Patrol ridotti in miniatura, come se fossero dei soldatini giocattolo, bloccati in una di quelle piste di auto da corsa elettriche con cui giocavamo da bambini. Nella loro famiglia c’è un nuovo membro, Dorothy, (Abigail Shapiro). La conosciamo attraverso un flashback che ci porta nella Londra del 1927 (e poi ancora più indietro, a fine Ottocento), in un circo che è un freak show, e la fa esibire come donna scimmia. Scopriremo che è la figlia di Caulder. È una bambina dolcissima, ma ha anche dei poteri misteriosi, è in grado di evocare mostri e creare enormi pericoli. Ma, prima ancora che con i mostri che ci sono fuori, ognuno dei nostri eroi dovrà combattere con quelli che ha dentro di sé. E risolvere il conflittuale rapporto con Caulder, il loro “padre”, colui grazie al quale sono in vita, ma a cui, in fondo, devono anche la loro natura di esperimenti falliti. Una cosa di cui sono ben consapevoli, e che non smette di farli soffrire.

Doom Patrol è qualcosa che non avete mai visto. È una squadra di eroi che è anche un gruppo di mutuo aiuto, un gruppo di rifiutati dal mondo che, insieme, può trovare il riscatto. Ma quello che colpisce nella serie sviluppata da Jeremy Carver (basata sui personaggi creati per DC da Arnold Drake, Bob Haney e Bruno Premiani) è il tono usato. I nostri eroi si trovano in una condizione che è altamente drammatica, sono imprigionati in una vita che vivono con tormento. Ma il racconto alterna il dramma a un tono ironico e beffardo che irrompe, per situazioni e battute, creando un continuo senso di straniamento, una continua doccia scozzese tra dolore e stupore. La messinscena è classica, elegante, formalmente impeccabile grazie a quelle luci dai toni caldi e uniformi che rendono l’atmosfera sospesa nel tempo. Guardando le immagini di Doom Patrol ci sembra di sfogliare un fumetto patinato e un po’ ingiallito dal tempo. Ma poi capita che in scena irrompa un asino che ci porta in un’altra dimensione, come accadeva nell’episodio pilota della stagione 1, o che si venga catapultati in una festa “Disco” nei primi anni Ottanta, dove il villain è un uomo con la testa di un orologio. A creare un effetto fortemente emotivo sono anche le musiche, da quelle originali di Clint Mansell (autore delle musiche di Requiem For A Dream. The Wrestler, Il cigno nero e Moon, solo per citarne alcune) a quelle di repertorio, che pescano nella storia della musica rock.

Quello di Doom Patrol è un mondo assolutamente originale, pur in un mosaico di rimandi a opere classiche come Frankenstein, L’uomo bicentenario, Blob, La Mummia. È un freak show che si muove tra horror e grottesco. La seconda stagione è una riflessione sul tempo che passa, che finisce per diventare un nostro nemico, qualcuno che non ci lascia il tempo necessario per tutto quello che dovremmo, o vorremmo, fare. E proprio il tempo è anche uno dei difetti della serie. Che funziona molto di più quando guarda al passato, per raccontarci le storie dei nostri (anti)eroi e le ripercussioni sulla loro vita di oggi, che quando si muove in avanti, per una storia che forse procede troppo lentamente, e lascia i personaggi troppo a lungo in una situazione di stallo. Ma Doom Patrol è come i suoi personaggi, così unica da violare in parte anche le regole della narrazione seriale dei nostri tempi. La sua forza è quella di riuscire spesso a commuovere, e a farci entrare in empatia con alcuni personaggi e i loro interpreti (Brendan Fraser e Matt Bomer) che recitano costantemente con il volto coperto. Doom Patrol porta all’estremo la visione che è propria di un’altra squadra che ben conosciamo, gli X-Men della Marvel: i supereroi come scherzi della natura, diversi, mostri potentissimi che combattono per un mondo che non vuole avere niente a che fare con loro. Sì, eroi come quelli di Doom Patrol non li avete mai visti.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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