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Dispatches From Elsewhere. La serie da guardare in questo momento. Su Prime Video

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Cosa accadrebbe se, un giorno, vi arrivasse un messaggio scritto e indirizzato proprio a voi e vi convocasse nella sede di una misteriosa società che sembra conoscervi molto bene? È quello che accade a Peter, Simone, Janice e Fredwynn, i quattro protagonisti di Dispatches From Elsewhere, la nuova serie di Amazon Prime Video disponibile in streaming dal 15 giugno. Sono quattro persone nella cui vita manca qualcosa, ma non riescono a capire che cosa sia. Peter, Simone, Janice e Fredwynn si ritrovano insieme, forse per caso, forse per un disegno superiore. C’è un enigma da risolvere che prima li appassiona, poi comincia a diventare un’ossessione. Dispatches From Elsewhere è creata, prodotta e interpretata da Jason Segel, ed è prodotta da Scott Rudin, Eli Bush e Garrett Basch. Nel cast, ricchissimo, ci sono Richard E. Grant, Sally Field, Eve Lindley e Andre Benjamin, attore e rapper del duo hip hop degli Outkast. La serie è ispirata al documentario The Institute, del 2013, che ricostruisce la storia del Jejune Institute, un gioco di realtà alternativa ambientato a San Francisco che coinvolse 10mila persone…

Dispatches From Elsewhere è presentata come una serie antologica, composta da 10 episodi tra i 40 e i

60 minuti, ma in realtà è qualcosa di molto diverso. Gli episodi sono profondamente connessi tra loro, come e ancor di più di quelli di un’altra serie antologica, Tales From The Loop, disponibile su Prime Video da qualche mese: lì gli episodi, pur connessi, potevano essere visti anche separatamente, anche non in ordine. Qui sono uno la conseguenza dell’altro, ogni episodio contribuisce alla progressione del racconto, allo svelamento del mistero, e sono assolutamente da vedere in sequenza. La natura “antologica” della serie è data dal fatto che ogni episodio è dedicato a un personaggio e segue il suo punto di vista, ma presenta sempre tutti i personaggi e porta avanti una storia lineare a livello temporale. I primi quattro episodi si chiamano come i quattro protagonisti, Peter, Simone, Janice e Fredwynn, e ci presentano le loro vite, per poi trascinarci con loro dentro il mistero della storia. L’episodio 5 è dedicato a Clara, misteriosa artista bambina che è al centro del mistero. Il n.6, Everyone, è dedicato a tutti, e il n.7, Cave Of Kelpius, a un luogo dove la storia sembra risolversi. Ma gli ultimi tre episodi, Lee, The Creator e The Boy, scoprono altre carte quando credevamo che fossero tutte già sul tavolo.

Dispatches From Elsewhere è una di quelle serie da guardare fino alla fine, da non abbandonare quando sembra avere un momento di stanca, nelle prime puntate. Possono esserci dei momenti in cui potrebbe sembrarvi troppo intellettuale, o troppo astratta, o troppo fantasiosa, troppo tesa a sorprendere a discapito dell’empatia con i personaggi e il loro approfondimento. D’altra parte l’anfitrione che ogni volta ci introduce alle storie guardando in macchina e parlando direttamente a noi ce lo dice chiaramente: vuole spiegarci in pochi cenni le back story dei protagonisti per gettarci subito nel racconto. È probabilmente una tattica: come il Jejune Institute al centro del racconto, vuole trascinarci nel gioco, attirarci, stupirci, giocare con le nostre percezioni e le nostre sensazioni. Ma è solo la prima parte del “gioco”. I sentimenti dei personaggi verranno fuori, e con essi la nostra empatia con loro.

Dispatches From Elsewhere è come un videogame, dove a ogni schema c’è una sfida nuova e diversa, uno di quei “tunnel of love” dei Luna Park in cui dietro a ogni curva sbuca una sorpresa. È un caleidoscopio di forme e colori che cambia continuamente lo scenario dove i nostri si muovono. È come in The Game di David Fincher, dove in ogni momento si è in dubbio tra l’essere nel gioco o nella realtà: senza il senso di pericolo di quella storia, ma con un continuo senso di stupore e di mistero. Se vi piace abbandonarvi al racconto senza troppi richiami alla logica, Dispatches From Elsewhere è la serie che fa per voi. Se siete alla ricerca della razionalità, forse non lo è.

Dispatches From Elsewhere è una caccia al tesoro in cui il premio non è scontato. Forse è la verità, forse il proprio posto nel mondo, forse il tassello mancante alla propria esistenza. È immagine stordente (fatta anche di un eccezionale lavoro sulle scenografie, eclettiche e retrò, e alla musica elettronica di Atticus Ross) che in alcuni casi diventa anche cartone animato, ma per ricordarci che la vita non è un cartoon. È un racconto che sa essere motivazionale, oltre che emozionale. Ci dice che “it’s ok to be wrong”, che è giusto essere sbagliati. Che, nella vita, si può prendere una decisione e, se non va bene, se ne può prendere un’altra. È un inno alla libertà, alla liberazione dalle convenzioni. È un mondo dove, per un attimo, si possono fermare tutte le playlist che ci impongono gli algoritmi e può partire Good Vibrations dei Beach Boys.

Clara, l’episodio 5, è tutto dedicato al valore dell’arte, della bellezza come ancora di salvezza. È l’arte che può trasformare il mondo dove viviamo in “un posto in cui fuggire” invece che “un posto da cui fuggire”. Non sappiamo ancora dirvi, a caldo, se Dispatchers From Elsewhere sarà la migliore serie dell’anno. Forse non lo è, troppo di nicchia, troppo eterea. Ma probabilmente è la migliore serie che potete vedere quest’anno, la più adatta da guardare in questo momento di buio e di chiusure, e di una (nuova) normalità che non lo è. Allora aprite questi “dispacci dall’altrove” e state al gioco.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

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