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Tales From the Loop. La fantascienza che ci guarda dentro. Su Amazon Prime Video

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Sono il volto e la voce di Russ, cioè quelli di Jonathan Pryce, in primo piano, a introdurci alle storie di The Loop, la nuova serie tv disponibile su Amazon Prime Video dal 3 aprile. Russ viola la quarta parete e si rivolge direttamente a noi. Ci dice che siamo in una cittadina dell’Ohio, dove si trova una macchina creata per esplorare i misteri dell’universo. Quella macchina è chiamata comunemente The Loop. E ognuno, in città, è legato al Loop in un modo o nell’altro. Ognuno, in città, ha la sua storia.

Avrete già capito che Takes From The Loop, la serie creata da Nathaniel Halpern e prodotta da Matt Reeves, è qualcosa di molto particolare. È tratta dal libro dal libro svedese di Simon Stälenhag, un libro formato da grandi tavole, da disegni. I creatori della serie, così, si sono lasciati ispirare delle immagini e da lì hanno tratto le storie. È per questo che Tales From The Loop conquista subito a livello visivo, cattura con la sua atmosfera. Siamo nell’Ohio, nel cuore dell’America rurale, ma potremmo essere in Svezia. Tutto è silenzioso, deserto. Nel primo episodio tutto è bianco, innevato. Ci colpisce subito vedere una storia di fantascienza lontana da grandi città e da mondi hi-tech. E raccontata con un tono sommesso, con atmosfere rarefatte, con un ritmo sospeso, dal respiro ampio. Tales From The Loop è una serie di storie che si prendono tutto il loro tempo per essere raccontate, vivono nell’attesa, nello stupore e nella paura dell’ignoto. Una musica elegiaca che, almeno nel primo episodio, cita la Sonata al chiaro di luna di Beethoven, ci trasporta ulteriormente in un’atmosfera malinconica.

Come dice il titolo, Tales From The Loop è una serie di racconti. Storie autoconclusive, ma in qualche modo collegate tra loro. È stato detto che Tales From The Loop è un mosaico. E, per apprezzarne il disegno, va visto nel suo insieme, da lontano. Abbiamo visto in anteprima due episodi. In uno c’è una bambina che vive sola con la madre. Lei lavora al Loop, e dice di aver preso in prestito qualcosa da quel luogo per fare un esperimento, ma a un certo punto scompare. Capiamo che probabilmente l’esperimento ha a che fare con la forza di gravità, e in qualche modo ne ribalta le regole. Ma, lo capiremo guardando fino alla fine, la storia ha anche a che fare con lo stravolgimento delle regole del tempo. Nell’altra storia, un bambino e il nonno, che è Russ, l’anfitrione che ci ha introdotto alla serie di racconti, fanno una passeggiata e incontrano una vecchia sfera di ferro. Se si prova a dire qualcosa al suo interno, questa restituisce la nostra voce in un effetto di eco. Ma le volte che ripeterà la nostra voce ci dirà quanto a lungo vivremo.

Come avrete capito, Tales From The Loop è una fantascienza che ci racconta, più che fenomeni e scoperte tecnologiche, i nostri sentimenti, le nostre sensazioni di fronte a certi fenomeni. È un racconto umanista, in un certo senso. Le storie sono il pretesto per una serie di riflessioni sul tempo che passa, sui nostri legami, sulla vita e la morte. Siamo agli antipodi di un’altra serie legata alla tecnologia, come Black Mirror. Se la serie creata da Charlie Brooker ci porta in un futuro prossimo, e vuole darci ogni volta un pugno nello stomaco, e sceglie di puntare sulla distopia, la serie di Nathaniel Halpern e Matt Reeves ci riporta in un passato prossimo e vago (potremmo essere tra gli anni Settanta e gli Ottanta), e preferisce sussurrarci nell’orecchio qualcosa in grado di insinuare un dubbio, di farci riflettere. E punta sulla nostalgia, È un mondo vintage, meccanico e lo-fi.

Se Matt Reeves, il produttore, si è già trovato in qualche modo a portare in America il mondo scandinavo, adattando per il mercato americano e internazionale il romanzo – e il film – svedese Lasciami entrare (Let Me In), l’atmosfera si deve anche ai registi che hanno diretto gli episodi. La prima storia che vi abbiamo raccontato è diretta da Mark Romanek, il regista di One Hour Photo e, soprattutto, di Non lasciarmi, un altro esempio di fantascienza umanista: è un regista che ha fatto del bianco, del gelo, inteso come raffreddamento delle emozioni, il suo marchio di fabbrica. E anche qui, come in Non lasciarmi, riesce a trattenere le lacrime da una storia che potenzialmente ne aveva e, proprio in questo modo, a toccarci di più. La seconda è diretta da Andrew Stanton, il regista che arriva dalla Pixar e che tutti ricordiamo per Alla ricerca di Nemo. Vedendo il suo racconto dal Loop capiamo che la forza di quel film, oltre che nel disegno, era nell’emozione. E anche qui riesce a raccontarci benissimo i sentimenti di un personaggio giovane che sente di perdere il legame con un suo punto di riferimento. Accanto a Jonathan Pryce è da menzionare sicuramente Rebecca Hall, qui in versione dimessa, un’attrice straordinaria. È anche grazie alla sua sensibilità se veniamo letteralmente tirati dentro questi racconti.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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