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Parasite riscrive la storia degli Oscar, Brad Pitt e Joaquin Phoenix finalmente premiati

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Di Antonio Valerio Spera

La storia degli Oscar è stata riscritta. Per la prima volta in novantadue anni è una pellicola in lingua straniera ad aggiudicarsi la statuetta più ambita, quella per Miglior film. Il sudcoreano Parasite di Bong Joon-ho riesce laddove La vita è bella, La tigre e il dragone, Amour e Roma non erano riusciti. Ci era già riuscito, in realtà, The Artist nel 2012, ma in quel caso, pur essendo una produzione francese, si trattava di un film muto.

I pronostici che vedevano 1917 favorito nel duello con il dramma grottesco Palma d’Oro a Cannes sono stati dunque ribaltati. “È un momento storico, voglio ringraziare l’Academy per questa scelta“, ha dichiarato la produttrice del film Kwan Sin Ae. Un momento storico anche perché Parasite si è aggiudicato tutti i premi principali per i quali concorreva. Oltre alla statuetta come Miglior Film dell’anno, si è infatti portato a casa quella per Miglior Film Internazionale (nuova denominazione del “vecchio” Film in lingua straniera), per la miglior sceneggiatura originale e per la miglior regia, categoria in cui Bong ha battuto il favorito della vigilia per i bookmakers, e cioè Sam Mendes, il Todd Phillips di Joker, e i maestri Quentin Tarantino e Martin Scorsese. “Dopo il premio per il Film internazionale e la sceneggiatura, non avrei mai pensato di vincere anche per la regia” – ha dichiarato il regista orientale con la statuetta in man. E poi ha continuato: “vorrei avere una motosega per dividere il premio in cinque parti. Todd, Sam, vi ammiro molto. Quentin ha sempre messo i miei film nella lista dei preferiti anche quando non mi conosceva nessuno negli Usa, e poi Martin Scorsese. Quando ero a scuola studiavo i suoi film”. E così, quest’ultimo, che con il suo The Irishman è rimasto completamente a bocca asciutta nonostante le 10 nomination, è stato poi salutato da una standing ovation, con tutto il pubblico del Kodak Theatre in piedi ad applaudirlo.

Uno dei momenti più belli ed emozionanti di questa 92a edizione degli Academy Awards. Un’edizione che ha proposto nuovamente una cerimonia senza presentatore ufficiale, ma che ha comunque visto sfilare sul palco grandi nomi di Hollywood e in generale dell’entertainment internazionale.

La serata si è aperta con Janelle Monáe che ha cantato una versione modificata della sua canzone “Come Alive”, con il verso «That’s when I come alive like a schizo running wild» diventato «It’s time to come alive because the Oscars is so white» («È ora di svegliarsi, perché gli Oscar sono troppo bianchi»). D’altronde un’edizione degli Oscar senza alcun rimando alle questioni che da qualche tempo stanno segnando il panorama hollywoodiano non sarebbe degna del suo nome. Ed ecco quindi il riferimento della Monáe alla polemica che riguarda il fatto che, ormai da anni, ci siano troppi bianchi a votare e a vincere agli Oscar, e poi non poteva mancare neanche il richiamo alle battaglie del #metoo. Si è iniziato con Natalie Portman, che sul tappeto rosso ha attirato i flash dei fotografi non solo per la sua bellezza ma anche per la curiosa giacca indossata per l’occasione. Un capo con ricamati sopra i nomi di alcune registe donne che non sono entrate nelle cinquine di quest’anno: Lulu Wang (The Farewell), Greta Gerwig (Piccole Donne), Lorene Scafaria (Le ragazze di Wall Street – Business Is Business), Marielle Heller (Un amico straordinario), Melina Matsoukas (Queen & Slim), Alma Har’el (Honey Boy), Céline Sciamma (Ritratto della giovane in fiamme) e Mati Diop (Atlantics). Il tutto è poi proseguito sul palco, durante la cerimonia, con Sigourney Weaver, Brie Larson e Gal Gadot che hanno invitato tutti gli uomini presenti ad un Fight Club a fine serata: “chi perde deve rispondere alle domande dei giornalisti su come si sente una donna ad Hollywood“.

A concludere la “marcia” femminista di questa edizione, infine, è stata la splendida Hildur Guonadottir, vincitrice dell’Oscar per la colonna sonora di Joker: “abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce” – ha dichiarato la compositrice islandese rivolgendosi a tutte le donne in sala.

Vicino all’orgoglio “rosa” di queste protagoniste del cinema, non si è potuto non notare anche il viola delle giacche di Elton John, vincitore dell’Oscar per la miglior canzone originale (Rocketman), che ha incantato la serata con la sua performance live, e soprattutto quella di Spike Lee, che ha optato per questo colore per rendere omaggio a Kobe Bryant e ai Los Angeles Lakers.

Venendo agli altri premi di questa edizione, tutto è andato come previsto, senza colpi di scena. Tra gli attori ci sono state tre annunciate “prime volte”. Laura Dern, alla sua terza nomination, ha vinto come non protagonista per Storia di un matrimonio; Joaquin Phoenix si è finalmente portato a casa la sua prima statuetta (dopo tre candidature andate a vuoto) per il suo fantastico Joker, e al momento della premiazione ha fatto autocritica (“ho fatto cose brutte nella vita, sono stato egoista, cattivo e crudele”) e ha ricordato il fratello River scomparso nel 1993; ed infine Brad Pitt, che nonostante avesse già vinto un Oscar come produttore per 12 anni schiavo, si è aggiudicato il suo primo Academy Award come attore, in questo caso non protagonista per il ruolo di Cliff Booth in C’era una volta a… Hollywood. Dopo aver ringraziato l’Academy per questo grandissimo onore, Pitt ha voluto spendere parole di riconoscenza per Tarantino (“Quentin è unico, cerca sempre il meglio delle persone”) e per il compagno di set Leonardo Di Caprio (“non potrei non essere un tuo amico”), per dedicare infine il premio ai suoi figli: “Questo premio è per loro: faccio tutto per voi, vi adoro.
La miglior attrice protagonista è stata invece Reneé Zellweger, per la sua interpretazione di Judy Garland nel commovente biopic Judy. Nel suo discorso, l’attrice, al suo secondo Oscar dopo quello per Ritorno a Cold Mountain, ha rivolto il suo pensiero proprio alla Garland: “Judy non ha ricevuto questo onore, ma sono certa che questo momento sia un’estensione della sua eredità artistica”.

La serata, impreziosita dalla performance non annunciata di Eminem, che ha cantato la sua canzone Lose Yourself (premio Oscar nel 2003), ha visto poi la vittoria di Toy Story 4 come miglior film d’animazione, quella di Roger Deakins per la fotografia di 1917, quella di due premi tecnici (meritatissimi, per montaggio e montaggio sonoro) di Le Mans 66 – La grande sfida, e quella di American Factory nella categoria dei documentari. Quest’ultima è l’unica statuetta, oltre a quella della Dern, che si è riuscito ad aggiudicare Netflix. Il colosso mondiale dello streaming, nonostante le 24 nomination, si porta a casa, quindi, soltanto due Oscar, risultando il grande sconfitto della serata.

E l’Italia? Niente, ovviamente, dato che non avevamo alcun candidato. Nonostante questo, è però giusto sentirsi, in piccolissima parte, partecipi del trionfo di Parasite. A contribuire alla bellezza del film è anche la scena ormai cult in cui In ginocchio da te di Gianni Morandi commenta la violenta zuffa all’interno della villa. Per quest’anno, accontentiamoci di questa piccola soddisfazione.

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