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Joker, Joaquin Phoenix in un turbine di violenza e follia

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Un viaggio alle origini del “mostro”. Potremmo definire così l’attesissimo Joker di Todd Phillips con Joaquin Phoenix. Il primo film dedicato interamente al clown più famoso dei fumetti (e – diciamolo – anche del cinema) è una rivisitazione spiazzante e imprevedibile del personaggio della saga di Batman. Non tanto perché racconta una storia originale che prova a fornire una propria versione del passato del villain dal sorriso sfigurato, ma perché non presenta nessun elemento tipico dei cinecomics.
Ambientando il racconto in una vibrante Gotham “newyorkese”, che si distanzia notevolmente da quella espressionista di Tim Burton ma anche dalla metropoli cupa e opprimente di Christopher Nolan, Phillips ci immerge in un’atmosfera estremamente realistica, che abbraccia due mondi: da una parte quello della città, appunto, della massa, della crisi sociale, del degrado collettivo; dall’altra il mondo di Arthur/Joker, la sua mente deviata, la sua percezione del vero. Due mondi che viaggiano all’inizio paralleli, ma che, quando il protagonista decide veramente di conoscere se stesso in profondità e di far riconoscere all’esterno la sua esistenza, si vanno gradualmente ad intrecciare in un turbine crescente di follia e di violenza. Con una narrazione che deve molto al cinema di Scorsese (da Taxi Driver a Re per una notte), ma in generale a tutta la New Hollywood (c’è anche tanto De Palma in questo nuovo Joker), il regista, che per la prima volta si cimenta con delle tonalità così cupe (di suo ricordiamo la trilogia di Una notte da leoni), costruisce un climax devastante che, con un ritmo compassato, ci fa penetrare la psicologia del personaggio e ci fa seguire la crescita del suo tormento. E il risultato è destabilizzante. Perché c’è tanto dolore in questo Joker. Un dolore trasmesso sullo schermo grazie ad una fotografia livida e ad una regia soffocante, ma soprattutto grazie alla performance di Joaquin Phoenix. Lui è il Joker, lui è il film. Il suo fisico stanco, denutrito domina la scena dalla prima all’ultima inquadratura. Un fisico sofferente che, però, sa muoversi con leggiadria sulle note musicali, che nell’impianto sonoro della pellicola si alternano alla sua risata isterica, quella risata che da sempre contraddistingue il personaggio. Ma se nei precedenti film in cui è comparso Joker (dal primo Batman fino a Suicide Squad passando ovviamente per The Dark Knight), era il segno della sua malvagità, del suo cinismo, della sua vanità incontrollata, della sua brama di successo, qui – confusa nel pianto – diventa la cifra della sua disperazione, del suo conflitto interiore, del suo desiderio mai soddisfatto di comprensione e di felicità.
Presentato in concorso a Venezia 76, Joker è un’amara riflessione sulla follia, ma anche una desolante indagine della società contemporanea, dei mass media (centrale in questo il personaggio di Robert De Niro), dello spaesamento culturale e della precarietà sociale. Un film retto interamente dal suo incredibile interprete, che colpisce allo stomaco e lascia senza fiato. Altro che un cinecomic.

 

di Antonio Valerio Spera

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