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Captain Marvel. L’umanità è il vero superpotere. Ed è femminile

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Io non devo dimostrarti niente”. La frase di Carol Danvers, alias Vers, la protagonista di Captain Marvel, in uscita il 6 marzo, racchiude il senso di tutto il film, un’opera destinata a lasciare il segno per tutta una serie di motivi che vanno al di là delle sue qualità. Secondo molti Captain Marvel sarà quest’anno, e quindi ai prossimi Oscar, quello che è stato l’anno scorso Black Panther: un film simbolo, quello che permetterà a un’intera categoria di riconoscersi. Se Black Panther era stato un momento importante nella cultura degli afroamericani, Captain Marvel potrebbe diventare un manifesto per tutte le donne, un simbolo dell’empowerment femminile. Caroli, o Captain Marvel, è una donna normale che ottiene i suoi superpoteri dall’incontro con una tecnologia aliena. Ma, ci vuole dire il film, la sua forza è tutta nel suo coraggio, nella sua consapevolezza, nella sua ironia e nella sua umanità. I veri superpoteri sono questi. Il resto arriverà dopo, e sarà quasi un corollario.

Captain Marvel è un’origin story sui generis, camuffata, che inizia con la protagonista già nel pieno, o quasi, dei suoi superpoteri, per poi tornare indietro nel tempo per farci capire come li abbia ottenuti. Ma in questo andirivieni spaziotemporale sono altri i momenti che contano. Sono quei flash della sua infanzia e della sua giovinezza. Quando andava in go-kart, e le dicevano che lei non poteva. Quando era nel pieno di un addestramento militare, e le dicevano che lei non poteva. Quando pilotava un aereo, e non era previsto che le donne potessero andare in missione. Anche quando indossava una t-shirt dei Guns’n’Roses, e saliva sul palco di un pub per cantare del sano rock’n’roll, forse, qualcuno la guardava un po’ storto. Eppure Carol tutto questo lo ha fatto.

Captain Marvel è probabilmente l’icona femminile più potente nel mondo dei cinecomic proprio per questo. Ancora più di Wonder Woman. Perché Diana Prince è una sorta di dea, e viene da un mondo dove le donne sono forti, consapevoli, sono delle amazzoni. Deve scontrarsi con il nostro mondo, questo sì. Carol invece è cresciuta con un padre che le diceva che le corse in go-kart erano permesse solo al fratello, con dei commilitoni che le dicevano che l’esercito era una cosa da uomini. Carol ha dovuto conquistarsi tutto da sola. E, una volta che ce l’ha fatta, ora può dirlo: “Io non devo dimostrarti niente”.

A dare il volto dolce e determinato e il corpo tonico a Captain Marvel c’è quella Brie Larson che avevamo ammirato in Room (che le era valso il premio Oscar) una piccola storia, chiusa tutta in una stanza, dove si trovava a combattere con un mondo maschile, seppur dominato da un unico uomo, colui che l’aveva sequestrata per abusare di lei. Anche in quel mondo – ristretto, minuscolo, opprimente – aveva dovuto combattere per affermare i suoi diritti di donna e di essere umano.

Per tutti questi motivi Captain Marvel è un film che rimarrà anche al di là della sua effettiva qualità. Ma che film è, allora, Captain Marvel? È un prodotto che fa essenzialmente le due cose che deve fare: creare un supereroe al femminile in cui le donne possano riconoscersi, e creare un fondamentale ponte tra i due film degli Avengers, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame (non perdete la prima delle due scene post credits). Ambientato nella Los Angeles degli anni Novanta, è anche un modo per fare un revival di quei tempi, tra t-shirt dei Nine Inch Nails e le canzoni dei Nirvana e dei R.E.M., ma soprattutto di rockstar o popstar al femminile, come la Shirley Manson dei Garbage, la Courtney Love delle Hole, le TLC e la Gwen Stefani dei No Doubt. Il tono, al di là dei messaggi importanti che il film porta, è sempre ironico, brillante. Ma non siamo sulla farsa spinta di Thor. Raganrok quanto piuttosto nel tentativo di riprendere un certo cinema indie degli anni Novanta. Samuel L. Jackson è un Nick Fury giovane e con ancora entrambi gli occhi, e a volte sembra credere di essere ancora in un film di Quentin Tarantino. È in gran forma e, insieme a Brie Larson, è una delle chiavi del film.

Captain Marvel è un invito a seguire l’istinto e non gli ordini, a mantenere – e qui il riferimento è ai giorni nostri – qualcosa che siamo sempre sul rischio di perdere, cioè l’umanità. Nel momento in cui i villain del film dicono a Carol che senza i loro poteri lei è debole, è imperfetta, lei capisce che è proprio questa la sua forza: il fatto di essere umana. Probabilmente Captain Marvel è il migliore esempio possibile di un segno dei tempi portato in un prodotto pop.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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