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Westwood. Punk. Icona. Attivista: “I miei vestiti possiedono una certa eternità”

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“Westwood. Punk. Icona. Attivista”. È questo il titolo, azzeccatissimo, del documentario su uno dei simboli della moda mondiale, diretto dalla regista Lorna Tucker, che arriva nelle sale da mercoledì 20 febbraio, in occasione della Settimana della Moda, distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema. È un titolo azzeccato perché racchiude tutto quello che è Vivienne Westwood, non solo una stilista. E il film di Lorna Tucker è imperdibile non solo per chi ama la moda. Ma anche per chi ama il rock, il punk, il costume.

La storia di Vivienne Westwood è stata sempre in salita, controcorrente, contro ogni aspettativa. A undici-dodici anni si fa già gli abiti da sola, e viene sconvolta dall’immagine di una crocifissione. È lì che scopre l’inganno dei genitori, che le hanno parlato sempre di Gesù Bambino e nascosto l’altra parte della storia. Capisce che deve camminare da sola. Sogna di essere un guerriero che impedisca agli altri di farsi del male. Rimarrà sempre così. Negli anni Sessanta, gli anni del rock’n’roll, sposa Derek Westwood e, per un po’, vive il Sogno Americano, quello della casalinga tutta sorrisi e devozione al marito. Le sta, ovviamente, stretto. Non riesce ad avere una sua visione del mondo. Finirà la storia con Derek, giovanissima e con un figlio. E inizierà quella con Malcom McLaren. Rock’n’roll.

E non solo perché qui inizia lo show. Ma perché dall’idea di McLaren di comprare vecchi dischi di rock’n’roll e venderli a persone alla moda inizia il loro show. Il loro negozio preferito, il Mr. Freedom allo storico n. 430 di King’s Road, dà loro uno spazio per vendere i dischi. Poi iniziano a creare vestiti, e quello spazio diventa loro. E cambia nome ogni volta che cambia lo stile: Let it Rock, Too fast to live too young to die, Sex, Seditionaries. E poi World’s End, il negozio che dura fino ad oggi, caratterizzato dall’orologio che gira al contrario.

È qui che nasce il punk. McLaren, che in America era stato il manager dei New York Dolls, fonda una band con il commesso del negozio, Glen Matlock, due clienti, e Johnny Rotten. Il punk nasce con la loro musica, ma anche con i suoi vestiti. Come la t-shirt simbolo indossata da Johnny Rotten, la Destroy Muslin, realizzata in mussola, dalle maniche molto lunghe, che si arrotolavano e fissavano con una spilla da balia e sembravano quelle di una camicia di forza. Stampati sulla maglia ci sono i simboli di rottura: una svastica, un crocifisso invertito, la scritta “destroy” e le parole dei Sex Pistols “io sono un Anticristo”. È il modo in cui Westwood e McLaren stanno sfidando la società.

Ma è proprio dalle parole di Vivienne Westwood che arriva una delle più lucide e disilluse letture del fenomeno punk. “Volevamo sovvertire l’establishment. La svastica, tutte quelle cose, volevano solo dire che non accettavamo i valori della vecchia generazione. La odiavamo, la volevamo distruggere. Eravamo la gioventù contro la vecchiaia. Poi mi sono accorta che non stavamo attaccando il sistema. Era tutto marketing. Ho capito che tutto questo stava nel fatto che la società inglese poteva vantarsi di essere libera e democratica per aver permesso ai ragazzi di ribellarsi così. In realtà non stavamo assaltando l’establishment. Eravamo solo una strategia di distrazione”.

E Vivienne Westwood va oltre il punk. Con la famosa Pirate Collection, del 1981, anno della sua prima sfilata a Londra, la stilista comincia a misurarsi con vestiti storici, di varie epoche – come quella dei pirati – e a mescolare la storia per creare qualcosa di nuovo. La Pirate Collection è una collezione gioiosa, colorata, una risposta decisa al nichilismo e all’oscurità del punk. Inizia a disegnare gonne enormi e voluminose, e a creare una moda unisex. Il suo rapporto con la Storia dei costumi sarà una costante della sua carriera. È stata la prima stilista a riproporre, attualizzandoli, elementi antichi come il corsetto e il faux-cul. Nel documentario la vediamo mentre ci mostra abiti ispirati ai pastori greci, ai banditi di campagna. La Westwood pensa ai suoi abiti come a qualcosa di antico. “I miei vestiti possiedono una certa eternità”.

Non sarà eterno l’amore con Malcom McLaren, che sembra restare fermo mentre Vivienne continua a crescere, sfila a Parigi, vince due volte di fila il premio come stilista dell’anno in Gran Bretagna. La separazione con McLaren non sarà indolore, e sarà causa anche della rottura di un contratto con Giorgio Armani. Nella sua vita arriverà Andreas Kronthaler, studente di moda diventato suo marito e partner nel lavoro. Vedremo Vivienne ricominciare da zero, nel retro del suo negozio, ricominciando a cucire vestiti con l’anziana madre. E tornare sulla vetta del mondo, con flagship store che aprono a New York e Parigi, nel cuore della moda mondiale. La vediamo vivere gli anni delle grandi top model, con Kate Moss che sfila a seno nudo con in bocca un lecca lecca e Naomi Campbell cadere da tacchi di altezza siderale. Vediamo il suo attivismo per Greenpeace, il suo impegno contro il riscaldamento globale e il fracking, cioè l’estrazione gas naturale anche da sorgenti non convenzionali. Gli striscioni e gli slogan entrano direttamente nelle sue sfilate.

Ma “Westwood. Punk. Icona. Attivista” è anche un atto d’amore per la sartoria, per la moda, per un lavoro faticoso e fatto di pazienza e precisione certosina. “Quando fai un vestito devi curare ogni dettaglio. Prendere ogni piccola decisione. Lo ripassi più volte”. Oggi, che ha 120 negozi in giro per il mondo, un brand consolidato e, a differenza di quasi tutti i grandi nomi della moda, un’azienda indipendente, e non in mano a una multinazionale, Vivienne Westwood vuole vendere solo cose che le piacciono. Non vuole andare in pensione, perché si va in pensione per fare ciò che ci piace, e lei questo lo fa ogni giorno, da anni. All’età di settantasette anni, i capelli bianchi, come la pelle, Vivienne Westwood ha il portamento di una regina. Ed è anche tutto il suo contrario, è sempre quella ragazzina punk con i capelli biondi usciti da un’esplosione. Vivienne Westwood è un’icona, come la regina con la spilla da balia sulla bocca delle cover di God Save The Queen dei Sex Pistols. Una perfetta, immortale, regina punk.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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