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Millennium: Quello che non uccide

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Incipit vita nova. Millennium: Quello che non uccide (The girl in the spider’s web) è il nuovo film tratto dalla saga Millennium. Al cinema abbiamo già visto quattro film (tre battenti bandiera svedese e una versione hollywoodiana che era il remake del primo film svedese). Quello che non uccide è il quarto episodio della saga Millennium, tratto da un libro che non è scritto da Stieg Larsson, scomparso, ma da David Lagercrantz, autore svedese che ha raccolto il testimone di Larsson e ha preso sulle sue spalle il compito di proseguire la saga di successo. Al centro, ovviamente, ci sono sempre i due personaggi principali che il pubblico ha imparato ad amare, il giornalista Mikael Blomqvist e la hacker Lisbeth Salander. Ma, se nel primo libro, e film, il protagonista è Blomqvist, dalla seconda storia in poi, e anche qui, l’attenzione è quasi tutta su Lisbeth. Al centro c’è la sparizione di un file molto importante, che in pratica controlla tutte le armi nucleari del mondo. Lei è coinvolta, e cercherà di rimediare.

Millennium: Quello che non uccide è un nuovo inizio per la saga, in tutti i sensi. Chiusa l’avventura della produzione svedese dei primi tre film, quelli con Michael Nyqvist e Noomi Rapace, e chiusa anche l’avventura, di tutt’altro livello qualitativo, del Millennium americano, diretto da David Fincher con Rooney Mara e Daniel Craig, il nuovo capitolo della saga è una produzione internazionale (Gran Bretagna, Germania, Svezia, Canada, Stati Uniti) e alla regia vede l’uruguayano Fede Alvarez, regista con un passato soprattutto nell’horror (sono suoi Man In The Dark e il remake de La casa di Sam Raimi). Ma, soprattutto, è nuova Lisbeth Salander: nei panni – pelle e acciaio – che erano di Noomi Rapace e Rooney Mara c’è ora Claire Foy, che ha smesso gli abiti regali della serie The Crown e quelli sixties di First Man per entrare in quelli punk di una delle eroine più iconiche del cinema degli ultimi anni. L’attrice inglese si getta anima e corpo nell’impresa. Ma non ci convince appieno. Per chi ha visto sul grande schermo la Lisbeth di Noomi Rapace, il volto spigoloso e il corpo nervoso, o quella di Rooney Mara, volto enigmatico e fragilità che diventa forza, rimane un po’ spiazzato. La Foy non sembra avere un volto abbastanza cattivo, né qualcosa che riesca a raccontare il dolore dell’eroina di Larsson. Anche la caratterizzazione del personaggio è meno estrema, dal taglio di capelli (un caschetto corto e abbastanza anonimo), al trucco, ai piercing. La classe e la bravura dell’attrice non si discutono. La riuscita del personaggio, in questo film, neanche. È che veder cambiare tre volte il viso di un personaggio in pochi anni non aiuta (certo, negli anni Novanta abbiamo visto anche Batman cambiare tre volte aspetto nel giro di poco più di un lustro…), e il confronto con le Lisbeth precedenti, davvero indimenticabili, non è facile.

C’è poi da dire che Millennium: Quello che non uccide arriva dopo il Millennium – Uomini che odiano le donne americano, cioè dopo un film diretto da David Fincher, uno specialista nel campo del thriller (e non solo…), dopo Rooney Mara e dopo Daniel Craig. Non sappiamo perché il progetto di Fincher si sia arenato dopo solo un film, ottimo e di successo, ma venire dopo Fincher non sarebbe facile per nessuno. Non ci sembra particolarmente brillante neanche il nuovo Blomqvist di Sverrir Gudnason, che era stato un ottimo Bjorn Borg in Borg McEnroe, e qui è un protagonista piuttosto anonimo. E poi c’è la storia: l’intrigo internazionale legato ai sistemi di difesa sembra più una trama da film di James Bond che da Millennium: Uomini che odiano le donne, pur non avendo una storia irresistibile, parlava comunque di misoginia e antisemitismo, temi piuttosto attuali. Qui si prova a inserire una sottotrama legata alla famiglia di Lisbeth, ma non è sufficiente a emozionare. Millennium: Quello che non uccide ci sembra più che altro un buon prodotto di intrattenimento. A livello di azione, funziona tutto, e le scene di questo tipo, nel film, sono numerose. Solo che non ha personalità: non è il thriller cupo di Fincher, né quel cinema Ikea – è così che avevamo definito le versioni svedesi, solide ma anonime come i famosi mobili – dei primi film, che a loro modo avevano un senso.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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