Cine Mood

First Man. Il primo uomo sulla luna visto da Damien Chazelle

Published

on

For here am I sitting in a tin can, far above the moon. Ricordate queste parole di David Bowie? La sua Space Oddity, che era stata scelta come colonna sonora delle trasmissioni sullo sbarco sulla Luna, era ispirata a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. First Man, di Damien Chazelle, racconta proprio questo, la storia del primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong. Si chiama “primo uomo”, e infatti racconta l’uomo, più che la Luna. E non c’è niente di più lontano dal film di Kubrick come questo First Man. Non ci sono navicelle che sembrano fluttuare leggere nello spazio, danzare a ritmo di valzer e agganciarsi tra loro facilmente come se bastasse stringere una mano. No, le astronavi e i moduli in cui Neil Armostrong (Ryan Gosling) e gli altri candidati allo sbarco sulla Luna viaggiano, provano, tentano e ritentano, e quella che alla fine arriva sulla Luna sono come i barattoli di latta di cui canta Bowie. Traballanti, precarie, tremanti, rumorose, apparentemente sempre sul punto di spezzarsi. E terribilmente difettose.

It’s silly, no? When a rocket ship explodes and everybody still wants to fly, cantava Prince, anche se erano già gli anni Ottanta. Quando i viaggi spaziali erano ormai una scienza esatta. Ma qui, signori, siamo in un film di Damien Chazelle, e il rischio di morire si sente tutto. Che poi è la verità: in quegli anni si moriva, si partiva per una missione e non si tornava più. Si doveva lasciare la propria casa, pieni di speranza e di eccitazione per il fatto di poter entrare nella storia, ma anche dovendo confessare ai figli che, sì, c’era anche la possibilità di non tornare più.
Eppure si va avanti, verso un sogno, perché non si devono cercare di fare le cose facili, ma le cose più difficili. Lo sentiamo dire a John Fitzgerald Kennedy, in un discorso di repertorio registrato prima della morte, e trasmesso dalla televisione americana dopo lo sbarco sulla Luna, per confermare che quell’obiettivo era raggiunto. Le parole di Kennedy potrebbero essere un manifesto del cinema di Chazelle, e probabilmente, anche se non la conosciamo, della sua vita, tanto è deciso a portarla in scena, seppur in storie completamente diverse, in ogni film. Cercare le cose più difficili, provare a migliorarsi continuamente, non accontentarsi. Come Charlie Parker, che se Jo Jones non gli avesse tirato un piatto, non sarebbe mai diventato lui. In Whiplash, in fondo, Chazelle ci aveva raccontato la stessa storia. E in La La Land anche.

I personaggi di Chazelle sono uomini, e talvolta donne, che vanno dritti verso il loro obiettivo, il loro sogno. Sono disposti a lasciare indietro una relazione appena iniziata (Whiplash), l’amore della vita (La La Land), un’intera famiglia, come fa Neil Armstrong, una moglie e due figli (un’altra figlia era scomparsa prematuramente) che non abbandona ma è pronto a rischiare di non abbracciare più. Come l’Andrew di Whiplash, anche Neil Armstrong è sottoposto a una selezione, e una dura, e continua, competizione interna. Entrambi sono sottoposti ad allenamenti sfiancanti. E, mentre uno finisce coperto di sangue, l’altro finisce coperto di vomito.

Giant steps are what you take, walking on the moon. Non c’è spazio, o ce n’è pochissimo, per la gloria, nel cinema di Damien Chazelle. C’è invece tanto spazio per la fatica che si fa per arrivarci. La Storia è così, fissa un’immagine, come quella camminata sulla Luna immortalata dalla televisione, che sembra leggiadra, che viene ripresa dalle canzoni, come quella dei Police. Ma prima c’è la paura per comparti che si devono staccare, motori da fermare e riavviare, rotte da riprendere, carburanti che rischiano di finire prima dell’atterraggio. Le scelte di regia di Chazelle confermano l’understatement nella visione dell’impresa: la Luna appare per la prima volta dietro un finestrino mezzo coperto dal ghiaccio. L’atterraggio è visto attraverso un piede della capsula, che si appoggia sul suolo. E così, anche il primo passo è una ripresa del piede e dell’impronta che lascia. Perché la gloria, la Storia, la felicità sono un momento. Ma la vita è il duro sforzo per arrivarci.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Click to comment

Trending